Da una corrispondenza – “Il bisnonno del Bunga Bunga” –
pubblicata sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 7 di gennaio 2022. Scrive
il lettore A.R.: (…). …negli ultimi tempi c’è una cosa che non capisco per niente e mi
chiedo come sia possibile che il mondo della politica, il mondo della
comunicazione, il mondo della cultura, ma anche la gente normale e soprattutto
le donne tutte non abbiano urlato allo scandalo davanti alla candidatura alla
presidenza della Repubblica di un personaggio come Silvio Berlusconi, che
rappresenta, perché ci ha speculato, lo ha praticato e sbandierato per
marketing politico, quell’universo culturale maschilista che tutti stiamo cercando
in tutti i modi di rimuovere dalle nostre esistenze. Come è possibile che
questa candidatura vada avanti senza che nessuno esprima indignazione? L’Italia
e le donne italiane non possono essere rappresentate dal padre dei Bunga Bunga,
che ha rovinato la vita a tante giovani, a volte minorenni. La risposta
di Natalia Aspesi: (…). …Berlusconi dovrebbe ritirarsi e l’informazione democratica
uscire dalla sua inaccettabile acquiescenza. Ma giustamente lei, che ha passato
la vita a voler capire le donne e a subirne le eventuali ferite, a rispettarle
e a seguire il loro vissuto e la loro liberazione, si stupisce di questo
silenzio femminile, che si spera si spezzi al più presto. Credo però che il
presente non abbia memoria del nostro più recente passato, e quindi che le
ragazze di oggi, che hanno cancellato il femminismo liberatorio delle nonne,
trovino più attuale criminalizzare la pacca sul sedere dell’uomo qualunque che
le migliaia che potrebbe aver allegramente imposto questo signore. Né per ora
hanno dimostrato sdegno per la possibilità di essere rappresentate nel mondo da
un personaggio che nei quattro governi da lui presieduti mi pare non abbia
fatto approvare, tra le tante leggi ad personam, una che riguardasse la vita
delle donne; che si faceva organizzare le cosiddette “cene eleganti” da un
prosseneta che gli portava decine di fanciulle (e al cui processo dovrà tra
poco testimoniare) che ha una lunga storia anche giudiziaria con minorenni; che
definiva “culona” la Merkel e “inchiavabili” altre signore. Ricordo
parzialmente solo i fatti e le parole riferibili al mondo femminile, il resto è
un baratro oscuro di cui non si saprà mai la totale verità. Al Quirinale
entrerebbe, come ovvio, con la sua attuale compagna, la deputata di Forza
Italia Marta Fascina, che ha 31 anni, la stessa età di Lucrezia, di cui lui è
nonno, e che lo ha appena reso bisnonno: 54 anni di talebanica differenza. E
comunque non bisogna dimenticare che il presidente della Repubblica presiede
anche il Consiglio superiore della magistratura, cioè dell’ordine con cui non
ha ancora finito di scontrarsi. (…). …spero che nel frattempo le donne, e non
solo loro, abbiano invaso le piazze, mascherinate ovvio. Tratto da “I dieci falsi del Cavaliere/2” di
Massimo Giannini – oggigiorno direttore del quotidiano “La Stampa” – pubblicato
sul quotidiano “la Repubblica” del 16 di gennaio dell’anno 2013: (…). 1
“Mai alzato le tasse”. Il leader della destra populista piazza un doppio
affondo sul fisco: «In tanti anni di governo non ho mai aumentato le tasse, non
ho mai messo le mani nelle tasche degli italiani e ho sempre mantenuto i conti
in ordine». Poi, per attaccare Monti, aggiunge: «Mentre Monti ha aumentato la
tassazione, noi abbiamo ridotto la spesa ed eliminato gli sprechi». Nessuna di
queste affermazioni regge al vaglio dei numeri ufficiali. Secondo i dati Istat
e Banca d’Italia, durante il primo governo Berlusconi (1994-1996) la pressione
fiscale è aumentata dal 40,6 al 41,4% del Pil. Con il secondo e terzo governo
Berlusconi (2001-2006) la pressione fiscale è cresciuta dal 40,5 al 41,7%. Con
l’ultimo governo Berlusconi (2008-2011) siamo passati dal 42,7 al 44,8%. La
prima manovra del marzo 2011
ha introdotto l’Imu, sia pure sulle abitazioni
secondarie. L’ultima manovra dell’agosto 2011 ha introdotto un
taglio lineare da 20 miliardi di tutte le agevolazioni fiscali, a partire
dall’esenzione Irpef sulla prima casa e le detrazioni per familiari a carico e
lavoro dipendente. Quanto ai tagli di spesa, il governatore della Banca
d’Italia, nelle sue «Considerazioni finali» del 2010, afferma testualmente:
«L’incidenza della spesa primaria corrente nel 2008 ha toccato il valore
massimo dal dopoguerra, e nel 2009 salirà di altri 3 punti percentuali». Questi
sono «i conti in ordine» del demiurgo azzurro.2 “Il nostro redditometro era diverso”. Ancora sul fisco, Berlusconi
afferma: «Il nostro redditometro era totalmente diverso da quello portato
avanti da Monti: ad esempio ora c’è l’onere della prova e ci sono tutte quelle
voci che spaventano i cittadini». Anche in questo caso, la Vandea anti-tasse
dell’ex premier si fonda sulla manipolazione della realtà. Lo spiegano i
tecnici dell’Agenzia delle Entrate: «È vero, il redditometro è cambiato
dall’anno scorso, ma in senso più favorevole al cittadino. Già con
l’accertamento unilaterale, il contribuente può dimostrare che
l’Amministrazione finanziaria ha commesso un errore. Ora, con il nuovo
redditometro, questa possibilità viene anticipata, e il contribuente ne può
usufruire prima del contraddittorio». 3 “Ho rispettato il contratto”. Il
Cavaliere è sicuro: «Ho mantenuto tutte le promesse, nessuna esclusa, fatte
agli italiani sia nel 2001 che nel 2008. Scriverò un nuovo contratto, quello
precedente è stato rispettato all’80%». Non è così. L’Università di Siena ha
calcolato che l’ex premier ha rispettato l’84% degli impegni, «ma «solo
considerando 4 i disegni di legge presentati, e mai approvati». Luca Ricolfi,
economista liberale e non certo bolscevico, nel suo «Tempo scaduto, il
contratto con gli italiani» (Il Mulino, 2006) ha stimato che la percentuale di
«rispetto» del contratto è arrivata al 61%. I fallimenti più gravi si sono
concentrati proprio sui temi più forti del berlusconismo: la riduzione delle tasse
(la pressione è rimasta stabile o è salita), il dimezzamento della
disoccupazione (scesa solo dal 9,9 al 7,1%), l’aumento dell’assegno per i
pensionati al minimo (secondo la Uil aumentati da 5,9 a 8 milioni) e
l’abbattimento della micro-criminalità grazie al «poliziotto di quartiere»
(secondo l’Istat l’escalation dei reati è stata del 6,7% l’anno). Su queste
basi, un «nuovo contratto con gli italiani» non è una promessa, ma semmai una
minaccia. 4 “Lo spread non c’entra con i governi”. Per mantenere alta la
tensione contro il Professore, il Cavaliere rilancia sullo spread: «Monti usa
lo spread per accusarmi di non essere credibile? È una mascalzonata. Lo spread
non c’entra nulla con i governi, è indipendente ed è frutto dei movimenti
finanziari e della speculazione». La teoria è affascinante, ma del tutto
inconsistente. Basta citare un altro economista liberale, e dunque non
tacciabile di «comunismo». Mario Seminerio, per confermare quanto conti il
fattore-governo sugli spread, fa un raffronto tra i differenziali dei tassi
italiani e spagnoli e scrive: «Fino a inizio ’98 lo spread tra i due Paesi era
prossimo a 0. La tendenza si inverte da giugno 2011, quando l’Italia comincia
ad esser messa nel mirino dei mercati a causa della paralisi del governo
Berlusconi, lacerato da contrasti interni di varia natura oltre che da problemi
personali del premier. Tra giugno e inizio novembre 2011 è una caduta quasi
verticale. Il 9 novembre 2011, nel momento di massima incertezza politica ma di
ormai avvenuto decesso dell’esecutivo, lo spread Italia-Spagna tocca i 140
punti base a svantaggio del nostro Paese: un catastrofico “swing” di 220 punti
base in cinque mesi. Le dimissioni di Berlusconi e la nomina di Monti piacciono
ai mercati, che in una sola settimana riportano lo spread a zero punti». Lo
«spread politico», com’è evidente, pesa moltissimo su quello finanziario.5 “La
congiura e la lettera della BCE”. Il Cavaliere non demorde sulle «trame oscure»
che avrebbero portato alla caduta del suo governo: «La lettera della Bce faceva
parte di una congiura per cacciare un governo che non piaceva all’Europa… Posso
garantire che non ho scritto io la lettera della Bce, è la prima volta che
sento questa cosa». La teoria della «congiura di palazzo», per di più europea,
non regge alla verifica storica. Che Berlusconi fosse sgradito all’Europa è
chiaro a tutti. Ma intanto, giova ripeterlo, il governo si dimette perché non
ha più la maggioranza alla Camera, dove l’8 novembre 2011 il Rendiconto dello
Stato passa con soli 308 voti. In secondo luogo: la lettera della Bce con le
raccomandazioni sul rafforzamento della manovra arriva a Roma il 4 agosto 2011,
e viene resa nota solo a settembre. Si scatena immediatamente una ridda di
ipotesi su chi ne sia l’ispiratore in Italia. L’11 maggio 2012 Giulio Tremonti,
a «Servizio Pubblico», dice: «Basta leggere quella lettera per capire che è
stata scritta da Roma. Qualcuno l’ha chiesta, dentro il governo…». L’ex
ministro del Tesoro, in quei giorni isolato dai falchi berlusconiani nel
governo, allude a Renato Brunetta. Quest’ultimo non smentisce, ed anzi l’1 ottobre
2012 al «Foglio», quasi conferma: «Ora che la lettera è diventata pubblica
posso smettere di nascondere la mia reazione quando la lessi: i signori della
Bce hanno ragione…». Dunque, se «congiura» c’è stata, è partita da Roma, non
dalle cancellerie europee. 6 “Draghi alla BCE l’ho imposto io”. Berlusconi è
convinto del suo «standing» internazionale: «In Europa io ero temuto, non
irriso. Draghi a capo della Bce l’ho imposto io, contro Tremonti che era
contrario, e contro Sarkozy». È una favola che al Cavaliere piace raccontare, a
ancor più raccontarsi. Ma è drammaticamente bugiarda. La contrarietà di
Tremonti non risulta dalle cronache di allora. Draghi viene nominato
all’Eurotower il 24 giugno 2011, ma già in inverno Tremonti, anche per
togliersi di torno lo scomodo governatore della Banca d’Italia, lo candida:
«Bce, Tremonti sponsorizza Draghi», titola «Repubblica» il 14 febbraio. Un
sostegno che continua nei mesi successivi: «Tremonti candida Draghi», ribadisce
il «Corriere della sera» il successivo 12 maggio. Quanto a Sarkozy, l’ex
premier manomette la cronaca. Il no del capo dell’Eliseo, in quei mesi, non è a
Draghi, ma è a Bini Smaghi che non vuole dimettersi dal board dell’Eurotower
per lasciare spazio al neo-presidente italiano. Infatti il 26 aprile 2011, al
termine del vertice italo-francese di Villa Madama, lo «statement» ufficiale di
Sarkozy recita: «La Francia è felice di appoggiare Mario Draghi alla presidenza
della Bce. È un uomo di qualità, ed è importante per noi che un italiano abbia
un tale incarico». Se questo è un «veto». 7 “Mai leggi ad personam e
salvacondotti”. Sulla giustizia, il premier più inquisito del mondo ripete: «Io
non ho mai chiesto nessun salvacondotto. E le leggi ad personam erano leggi di
civiltà, tutte approvate dalla Corte costituzionale». Tra tutte, questa è la
falsità più smaccata, e anche la più grave. I «salvacondotti», pretesi dall’allora
capo del governo e imposti al Parlamento, sono due. Il primo è il Lodo
Schifani, scattato con la legge 140 del 22 giugno 2003, pendente la sentenza
sul processo Sme. Prevede che non possano essere «sottoposti a processo penale
il presidente della Repubblica, il presidente del Senato, il presidente della
Camera, il presidente del Consiglio e il presidente della Corte
costituzionale». La consulta dichiara illegittima la legge il 13 gennaio 2004,
con la sentenza numero 24. Il secondo salvacondotto è il Lodo Alfano. scattato
con la legge 124 del 5 agosto 2008, mentre incombe il processo Mills. Prevede
la «sospensione dei processi penali» per le quattro «alte cariche dello Stato».
La Consulta dichiara incostituzionale anche questo, con la sentenza numero 262
del 7 ottobre 2009. Quanto alle leggi ad personam, dal ’94 la sequela è
infinita. Solo su giustizia e tv se ne contano almeno 17. se ne possono
ricordare 5, le più devastanti: la legge sulle rogatorie (incide sul processo
Sme-Ariosto), la depenalizzazione del falso in bilancio (salva Berlusconi su
All Iberian 2 e Ariosto 2), la legge Cirami (serve al Cavaliere per spostare
tutti i processi da Milano a Brescia), la legge ex Cirielli sulla prescrizione
(utile per una parte dei processi diritti tv Mediaset e Mills) e la legge
Pecorella sull’inappellabilità delle sentenze di proscioglimento (bocciata
anche questa dalla Consulta con la pronuncia 262 del 2009). Possono bastare,
come «leggi di civiltà». 8 “Siamo la lista più pulita”. La questione morale sta
a cuore all’ex premier che afferma: «Io ricordo che siamo la lista più pulita
del Parlamento». Purtroppo l’evidenza dimostra il contrario. «Se ci saranno
candidati indagati non ci sarò io»: il monito lanciato il 27 novembre scorso
dal segretario Alfano cade miseramente nel vuoto. In lista gli indagati,
inquisiti e processati abbondano. Da Marcello Dell’Utri (imputato per
associazione mafiosa) a Denis Verdini (tre inchieste in corso). Da Nicola
Cosentino (due processi per camorra e corruzione) a Luigi Cesaro (citato dai
pentiti di mafia e inquisito per violazione della normativa bancaria). E poi,
solo per ricordare i più noti, Aldo Brancher, Altero Matteoli, Salvatore Sciascia,
Marco Milanese, Alfonso Papa. La «pulizia» non è mai troppa, nel Pdl. 9 “Le autorità
preoccupate per me”. Il leader della destra affronta la sfida del voto con
animo inquieto: «C’è una forte preoccupazione da parte di certe autorità: mi
hanno pregato di non fare discorsi nelle piazze». Il «pericolo» che il
Cavaliere paventa non trova riscontro. Il «clima d’odio» che evoca si nutre
spesso delle sue stesse elucubrazioni. Il ministero degli Interni, unico
responsabile della sicurezza della campagna elettorale, non si riconosce in
quelle «certe autorità» citate da Berlusconi. «Non ci sono segnalazioni
specifiche, nessun segnale di pericolo reale è giunto alle agenzie di intelligence
e alle forze di polizia». La scelta di non fare comizi, dunque, viene
considerata «esclusivamente personale». A influenzare il Cavaliere, forse, è la
paura dei fischi. 10 “Nel 2006 la sinistra vinse con i brogli”. Quella dei
brogli è un’altra ossessione: «La sinistra ci ha fatto perdere le elezioni del
2006 con i brogli: hanno truccate tutte le schede bianche e poi hanno vinto». La
campagna sui brogli parte la notte stessa del voto, nell’aprile 2006. L’allora
premier minaccia un decreto legge che non proclama il vincitore e riconta le
schede. Dopo qualche giorno il Viminale chiude il caso: «C’è stato un errore
materiale, le schede contestate si riducono da 43.028 a 2.131 allaCamera,
e da 39.822 a
3.135 al Senato». La bolla si sgonfia. Nel dicembre 2006 la Giunta per le
elezioni di Palazzo Madama avvia il riconteggio delle schede bianche, nulle e
contestate nelle 7 regioni principali. La verifica si conclude il 18 settembre
2007, e il presidente della Giunta Domenico Nania (di An, dunque uomo della
maggioranza) scrive nella relazione finale: «Gli scostamenti riscontrati sono
assolutamente fisiologici, quindi risulta la legittimità delle operazioni di
voto del 9 e 10 aprile 2006». (…).
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