Tratto da “Tutto
ciò che la stampa prona non dice di Draghi” di Ivo Caizzi, pubblicato su “il
Fatto Quotidiano” del 21 di gennaio 2022: Il premier Mario Draghi, appoggiato dal "governo
dei migliori", ha usato il denaro pubblico per influenzare o magari addirittura
"comprare" il consenso degli editori dei principali organi d'informazione
e dell'élite dei giornalisti? Questa domanda, che gli andrebbe rivolta in
conferenza stampa, può scaturire come logica conseguenza di fatti
in-contestabili. 1) Tanti giornali italiani (…) hanno celebrato Draghi "a priori"
e a oltranza, da quando è stato imposto a Palazzo Chigi pur senza avere avuto
il consenso degli elettori. 2) Gli editori degli stessi organi d'informazione
hanno sostenuto questa esaltazione di un tecnocrate della grande finanza, pur
senza esperienza in cariche politiche e con un passato non privo di segreti e
"ombre". 3) I giornalisti più pagati avevano implorato il governo di salvare
le loro "pensioni d'oro" dal crollo della cassa Inpgi 1, che pretesero
di privatizzare per godere di un sistema privilegiato rispetto a quello
pubblico Inps. 4) Gli editori percettori di erogazioni pubbliche e disinvolti
spremitori dell'Inpgi 1 (per tagliare i costi con i prepensionamenti) avevano
chiesto ulteriori aiuti di Stato. 5) Draghi e il suo governo hanno stanziato 350
milioni di fondi pubblici per gli editori, che - se hanno interessi in altri
settori - possono beneficiare di contributi statali aggiuntivi. 6) Il premier
ha salvato le "pensioni d'oro" dell'élite dei giornalisti, incurante
del parere negativo della Corte dei conti e senza nemmeno un ricalcolo (che
avrebbe evitato allo Stato almeno di accollarsi i privilegi più imbarazzanti). Draghi
dovrebbe chiarire se, da questi presupposti, può es-sere scaturito un "do
ut des" tra la sua celebrazione mediatica e i fondi pubblici agli editori
e ai giornalisti più pagati. E, se non fosse in grado di smentirlo, ne
uscirebbe un mega-scandalo. Perfino l'Unione europea dovrebbe intervenire per
tutelare il diritto fondamentale della libertà di informazione, replicando
quanto ha fatto dopo le restrizioni sui media nell'Ungheria di Viktor Orbàn. Per
Draghi la situazione potrebbe diventare ancora più delicata, se corresse per
succedere al Quirinale a Sergio Mattarella. Il denaro pubblico, elargito agli
editori e all'élite dei giornalisti, non favorirebbe la sua ambizione personale?
Non indurrebbe a sottovalutare i segreti e le "ombre" di quando era
alla banca privata Usa Goldman Sachs, ha frequentato super-lobby riservate
della finanza e ha attuato politiche da "Robin Hood al rovescio",
togliendo ai poveri per dare ai ricchi (da salvataggi di banchieri e investitori,
con fondi pubblici della Bee, fino ai regali da premier a grandi imprese,
finanzieri, editori e giornalisti più pagati)? Da molti anni, nelle classifiche
internazionali, la libertà d'informazione in Italia è stimata a livelli da
Terzo Mondo. Le reti pubbliche Rai appaiono sotto il controllo del governo e di
partiti. Le tv Me-diaset appartengono al capo di Forza Italia Silvio
Berlusconi. Agenzie di stampa e tante testate ricevono aiuti di Stato. Un
"do ut des" di Draghi con editori ed élite dei giornalisti, se
provato, lascerebbe libertà di informazione critica sul premier e sul governo
praticamente solo al Fatto e a pochi altri giornali. Un contesto mediatico opaco,
omertoso e collusivo può impedire ai cittadini di conoscere informazioni
fondamentali. Mentre dovrebbe bastare che un blog riveli una notizia critica su
Palazzo Chigi per vederla rilanciata da tutti i media. In Italia tanti editori
e direttori di giornali non hanno solo nascosto - in conflitto d'interessi -
che tocca ai cittadini pagare gli aiuti ai padroni di testate (spesso molto
ricchi) e per salvare "pensioni d'oro" e privilegi dei giornalisti
meglio retribuiti. Nella corsa per il Quirinale non sta emergendo nemmeno che
Draghi potrebbe essere percepito - per le sue politiche da "Robin Hood al
rovescio" - come un tecnocrate divisivo da milioni di italiani poveri o disoccupati.
Né che, dietro ai suoi segreti alla Goldman Sachs e nelle lobby riservate,
potrebbero celarsi patti e conflitti d'interessi incompatibili per un capo
dello Stato. Se poi davvero avesse "comprato" il consenso dei
principali media insieme al "governo dei migliori", si potrebbe
intuire perché tanti giornali non hanno dato grande risalto anche alle
"ombre" di altri candidati al Quirinale, tipo Giuliano Amato, Paolo
Gentiloni, Gianni Letta, Pier Ferdinando Casini, ecc. Né hanno sbattuto in
prima pagina l'incredibile "candidato" Berlusconi come pregiudicato
per frode fiscale: reato ancora più grave per un politico in quanto contro lo
Stato e la collettività.
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