"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

lunedì 24 gennaio 2022

Notiziedalbelpaese. 51 «Nelle classifiche internazionali la libertà d'informazione in Italia è stimata a livelli da Terzo Mondo».

 

Tratto da “Tutto ciò che la stampa prona non dice di Draghi” di Ivo Caizzi, pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 21 di gennaio 2022: Il premier Mario Draghi, appoggiato dal "governo dei migliori", ha usato il denaro pubblico per influenzare o magari addirittura "comprare" il consenso degli editori dei principali organi d'informazione e dell'élite dei giornalisti? Questa domanda, che gli andrebbe rivolta in conferenza stampa, può scaturire come logica conseguenza di fatti in-contestabili. 1) Tanti giornali italiani (…) hanno celebrato Draghi "a priori" e a oltranza, da quando è stato imposto a Palazzo Chigi pur senza avere avuto il consenso degli elettori. 2) Gli editori degli stessi organi d'informazione hanno sostenuto questa esaltazione di un tecnocrate della grande finanza, pur senza esperienza in cariche politiche e con un passato non privo di segreti e "ombre". 3) I giornalisti più pagati avevano implorato il governo di salvare le loro "pensioni d'oro" dal crollo della cassa Inpgi 1, che pretesero di privatizzare per godere di un sistema privilegiato rispetto a quello pubblico Inps. 4) Gli editori percettori di erogazioni pubbliche e disinvolti spremitori dell'Inpgi 1 (per tagliare i costi con i prepensionamenti) avevano chiesto ulteriori aiuti di Stato. 5) Draghi e il suo governo hanno stanziato 350 milioni di fondi pubblici per gli editori, che - se hanno interessi in altri settori - possono beneficiare di contributi statali aggiuntivi. 6) Il premier ha salvato le "pensioni d'oro" dell'élite dei giornalisti, incurante del parere negativo della Corte dei conti e senza nemmeno un ricalcolo (che avrebbe evitato allo Stato almeno di accollarsi i privilegi più imbarazzanti). Draghi dovrebbe chiarire se, da questi presupposti, può es-sere scaturito un "do ut des" tra la sua celebrazione mediatica e i fondi pubblici agli editori e ai giornalisti più pagati. E, se non fosse in grado di smentirlo, ne uscirebbe un mega-scandalo. Perfino l'Unione europea dovrebbe intervenire per tutelare il diritto fondamentale della libertà di informazione, replicando quanto ha fatto dopo le restrizioni sui media nell'Ungheria di Viktor Orbàn. Per Draghi la situazione potrebbe diventare ancora più delicata, se corresse per succedere al Quirinale a Sergio Mattarella. Il denaro pubblico, elargito agli editori e all'élite dei giornalisti, non favorirebbe la sua ambizione personale? Non indurrebbe a sottovalutare i segreti e le "ombre" di quando era alla banca privata Usa Goldman Sachs, ha frequentato super-lobby riservate della finanza e ha attuato politiche da "Robin Hood al rovescio", togliendo ai poveri per dare ai ricchi (da salvataggi di banchieri e investitori, con fondi pubblici della Bee, fino ai regali da premier a grandi imprese, finanzieri, editori e giornalisti più pagati)? Da molti anni, nelle classifiche internazionali, la libertà d'informazione in Italia è stimata a livelli da Terzo Mondo. Le reti pubbliche Rai appaiono sotto il controllo del governo e di partiti. Le tv Me-diaset appartengono al capo di Forza Italia Silvio Berlusconi. Agenzie di stampa e tante testate ricevono aiuti di Stato. Un "do ut des" di Draghi con editori ed élite dei giornalisti, se provato, lascerebbe libertà di informazione critica sul premier e sul governo praticamente solo al Fatto e a pochi altri giornali. Un contesto mediatico opaco, omertoso e collusivo può impedire ai cittadini di conoscere informazioni fondamentali. Mentre dovrebbe bastare che un blog riveli una notizia critica su Palazzo Chigi per vederla rilanciata da tutti i media. In Italia tanti editori e direttori di giornali non hanno solo nascosto - in conflitto d'interessi - che tocca ai cittadini pagare gli aiuti ai padroni di testate (spesso molto ricchi) e per salvare "pensioni d'oro" e privilegi dei giornalisti meglio retribuiti. Nella corsa per il Quirinale non sta emergendo nemmeno che Draghi potrebbe essere percepito - per le sue politiche da "Robin Hood al rovescio" - come un tecnocrate divisivo da milioni di italiani poveri o disoccupati. Né che, dietro ai suoi segreti alla Goldman Sachs e nelle lobby riservate, potrebbero celarsi patti e conflitti d'interessi incompatibili per un capo dello Stato. Se poi davvero avesse "comprato" il consenso dei principali media insieme al "governo dei migliori", si potrebbe intuire perché tanti giornali non hanno dato grande risalto anche alle "ombre" di altri candidati al Quirinale, tipo Giuliano Amato, Paolo Gentiloni, Gianni Letta, Pier Ferdinando Casini, ecc. Né hanno sbattuto in prima pagina l'incredibile "candidato" Berlusconi come pregiudicato per frode fiscale: reato ancora più grave per un politico in quanto contro lo Stato e la collettività.

Nessun commento:

Posta un commento