A lato. La villa sulla riva del lago Wannsee dove il 20
di gennaio dell'anno 1942 si decise la "soluzione finale".
Tratto da “Lo
sterminio all’ora di pranzo” di Corrado Augias, pubblicato sul quotidiano “la
Repubblica” di oggi, 20 di gennaio 2022: Ottant’anni fa come oggi, 20 gennaio 1942,
quindici persone si riunivano in una villa sulla riva del lago Wannsee,
periferia sud di Berlino. La convocazione era stata fatta da Reinhard Heydrich,
potente capo dell’ufficio sicurezza del Terzo Reich. Oggetto dell’incontro la
“Soluzione finale della questione ebraica” (Endlösung der Judenfrage). Attorno
al tavolo sedevano alcuni dei massimi gerarchi a capo delle strutture che
sarebbero state coinvolte nell’operazione, compreso lo stesso Heydrich. Fungeva
da segretario l’Obersturmbannführer delle SS, uomo destinato ad una sinistra
notorietà, Adolf Eichmann. Hans Frank, direttore dell’ufficio legale del Reich,
aveva già anticipato qualche giorno prima ai suoi collaboratori l’obiettivo del
progetto e le difficoltà pratiche per la sua attuazione. In quel momento, il
termine “soluzione finale” conservava un piccolo margine di ambiguità, non per
Frank, comunque: «Non possiamo fucilarli tutti, non possiamo avvelenarli, ma
potremmo attuare interventi che in qualche modo portino a un annientamento».
Quello il dilemma che lacerava la coscienza dell’alto gerarca: come si fa ad
annientare un popolo senza ricorrere né alle fucilazioni di massa né al veleno?
Quando la riunione si aprì, l’interesse di Frank e di molti altri gerarchi era
dunque di vedere con quali modalità la “soluzione finale” avrebbe potuto essere
effettivamente applicata. Della riunione si è conservato il verbale - redatto
da Eichmann - diventato col tempo un prezioso documento storico certamente di
utile lettura per chi non avesse ancora le idee chiare sull’argomento. Heydrich
cominciò ad esporre le cifre della popolazione ebraica presente nei vari paesi
sotto il dominio del Reich ma anche nei paesi alleati, Italia compresa con i
suoi 60 mila ebrei circa. Interessante notare che nell’elenco erano inclusi
anche Stati neutrali come Irlanda, Portogallo, Svezia e Svizzera, chiara allusione
al fatto che, una volta vinta la guerra, anche i paesi neutrali in un modo o
nell’altro sarebbero stati costretti a consegnare ai nazisti i “loro” ebrei. Il
fanatismo dell’ideologia faceva sottovalutare il fatto che da quasi due mesi
gli Stati Uniti erano entrati nel conflitto cambiando, come di lì a poco
sarebbe stato evidente, l’intero quadro strategico delle forze in campo. Si può
ricordare che, quaranta giorni prima, anche Mussolini, dal balcone di Palazzo
Venezia, aveva annunciato che l’Italia dichiarava guerra agli Stati Uniti
d’America: «Le potenze del Patto d’acciaio scendono oggi a lato dell’eroico
Giappone contro gli Stati Uniti d’America...».
Al crimine di aver dichiarato
una guerra (10 giugno 1940) che l’Italia non era in grado di combattere, il
Duce aggiungeva la tragicommedia della piccola Italia che dichiarava guerra ad
un colosso industriale come gli Stati Uniti. La conferenza durò un tempo
insolitamente breve se si considera l’entità degli argomenti sul tavolo,
praticamente si chiuse all’ora di pranzo. L’idea iniziale di Heydrich era una
deportazione di massa nei territori sovietici occupati di tutti gli ebrei
rastrellati. In pratica questo voleva dire il trasferimento forzato di 11
milioni di individui senza distinzione di sesso, età, condizioni sociali,
possibile utilizzazione a fini bellici o scientifici. Una volta concentrati
alla periferia orientale del Reich, i deportati si sarebbero autoeliminati
considerati i ritmi del lavoro forzato, la scarsa alimentazione, le generali
condizioni di vita nei lager, la sterilizzazione di massa - isterectomia,
praticata a freddo, per le donne. Si trattava, secondo Heydrich, di impostare
su scala di massa, la pratica delle deportazioni già in funzione ma con scarsa
efficienza. Il verbale della riunione di Wannsee è agghiacciante per l’entità
degli argomenti dibattuti ma anche per il metodo della discussione. La storia
del genere umano è cosparsa di orrori. Non c’è stato potere, politico,
religioso, militare che non si sia macchiato di ferocia e crudeltà, in guerra e
in pace. Mai però nella storia umana lo sterminio di un popolo era stato
pianificato sedendo attorno ad un tavolo bevendo birra o tè, parlando a bassa
voce, esponendo cifre e tempi come se si stesse pianificando il ritmo di una
qualche produzione industriale. Lo stesso termine “lavoro” in genere indicato
come uno strumento di riscatto (così, per esempio, nella nostra Costituzione),
nella villa sul lago divenne sinonimo di annientamento e morte. (…). Lavoro,
considerate le modalità in cui si sarebbe svolto nei lager, divenne uno
strumento di distruzione quasi un equivalente di “omicidio”. A Wannsee non si
parlò comunque di camere a gas. I primi esperimenti per asfissiare molte
persone alla volta vennero iniziati solo nel settembre di quell’anno nel lager
di Sachsenhausen su alcuni prigionieri di guerra russi. Il metodo, rudimentale,
consisteva nel convogliare i gas di scarico dei camion all’interno di una
cabina sigillata; sistema ingegnoso ma presto giudicato inefficiente. Serviva
quasi mezz’ora per eliminare un carico di prigionieri - troppo. Con il gas
Zyklon B usato poi ad Auschwitz si ottennero notevoli progressi potendosi
eliminare velocemente anche mille “pezzi” (stück) alla volta. Dopo Wannsee,
Hitler riprese con forza la propaganda antisemita. Dieci giorni dopo la
conferenza, nel discorso per l’anniversario del cancellierato, così parlò degli
ebrei che s’erano dimostrati scettici sulle sue “profezie”: «Ignoro se ancor
oggi ridano, o se la voglia di ridere gli sia passata. Ma, attualmente, posso
comunque assicurarvelo: ovunque, la voglia di ridere gli passerà». C’è chi
considera Reinhard Heydrich, conosciuto non a caso come “La belva bionda”,
l’uomo più pericoloso del Terzo Reich. Sicuramente ha dato prova di peculiari
caratteristiche criminali. Venne però anche per lui il giorno del giudizio,
esattamente quattro mesi dopo Wannsee. Nella sua carica di Reichsprotektor per
Boemia e Moravia, usava girare spavaldo nella sua auto scoperta con la sola
scorta dell’autista. Era talmente certo dei feroci metodi repressivi applicati
da non temere pericoli. Invece, un gruppo di partigiani cechi addestrati dai
servizi segreti inglesi, organizzò un attentato. Heydrich rispose al fuoco con
la pistola d’ordinanza, dal gruppo partigiano venne lanciata una bomba a mano
che lo ferì. Nonostante questo, l’uomo scese dall’auto continuando a sparare
fino a quando non cadde svenuto. Ricoverato d’urgenza all’ospedale di Praga,
morì il 4 giugno 1942 per setticemia. Si sarebbe probabilmente salvato ma
sopravvenne un’infezione causata, si disse, dal contatto della milza spappolata
con i crini di cavallo dell’imbottitura lacerata della sua auto. Per
rappresaglia nel villaggio di Lidice vennero sterminati tutti gli abitanti,
vecchi e bambini compresi, le costruzioni furono rase al suolo. Col nome di
Heydrich venne anche battezzata l’operazione che portò alla costruzione dei
primi tre campi di sterminio: Treblinka, Sobibòr, Belzec. Quando riferirono a
Hitler il modo in cui il suo uomo girava per la città occupata, rispose: «È
stato un idiota».
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