Ha lasciato scritto Norberto Bobbio nel Suo volume “Autobiografia”: (…). E il passato rivive nella memoria. Il grande patrimonio del vecchio è nel mondo meraviglioso della memoria, fonte inesauribile di riflessioni su noi stessi, sull’universo in cui siamo vissuti, sulle persone e gli eventi che lungo la via hanno attratto la nostra attenzione. Meraviglioso, questo mondo, per la quantità e la varietà insospettabile e incalcolabile delle cose che ci sono dentro: immagini di volti scomparsi da tempo, di luoghi visitati in anni lontani e non mai più riveduti, personaggi di romanzi letti quando eravamo adolescenti, frammenti di poesie imparate a memoria a scuola e mai più dimenticate; e quante scene di film e di palcoscenico e quanti volti di attori e attrici dimenticati da chi sa quanto tempo ma sempre pronti a ricomparire nel momento in cui ti viene il desiderio di rivederli e quando li rivedi provi la stessa emozione della prima volta; e quanti motivi di canzonette, arie di opere, brani di sonate e di concerti, che ricanti dentro di te (…). Di seguito, “La sottile arte di invecchiare” del settantottenne scrittore argentino Alberto Manguel, pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” di oggi, 12 di gennaio 2022:
"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
mercoledì 12 gennaio 2022
Dell’essere. 29 «Cerco di tenere a bada il tempo in un luogo seguendo certi rituali. C'è un elemento di eternità nella routine».
A lato. Klimt. "Le tre età della donna" (1905).
(…). Conosco con esattezza il momento in cui
sono diventato vecchio. Fu il 15 novembre 1999 o giù di lì, otto mesi dopo il
mio cinquantacinquesimo compleanno. Vivevo a Calgary, nella provincia canadese
dell'Alberta. L'inverno era cominciato presto e i marciapiedi erano ricoperti
di ghiaccio. Stavo portando un vassoio di muffin alla mia vicina quando,
proprio davanti alla sua porta di casa, scivolai sul ghiaccio e caddi. Forse
per proteggere i muffin, stesi in avanti le braccia e le mie gambe scivolarono
all'indietro facendomi cadere in avanti, con conseguente strappo dei muscoli
addominali. Cercai di rialzarmi e tutto quello che riuscii a fare fu sollevarmi
con cautela a quattro zampe e arrivare, come un cane malfermo, fino alla casa
della mia vicina. Non sentivo un gran dolore, ma nelle settimane successive
un'ombra nera, come uno sversamento di petrolio, dilagò sulla mia pancia; non
riuscivo nemmeno a piegarmi in avanti per allacciarmi le scarpe, o a sollevare
le braccia per pettinarmi i capelli. Pian piano, l'ombra sparì, ma da allora
non sono più riuscito a usare i muscoli addominali come si deve. Come in una
Gestalt rovesciata, il mio corpo mi stava annunciando la sua presenza
attraverso l'assenza progressiva delle sue componenti. La mia identità comincia
e finisce con il mio corpo, che fosse presente alla fine o assente all'inizio.
Ora scopro parti del mio corpo che non sapevo esistessero, una terra incognita che
sono costretto a esplorare come un viaggiatore stanco e disilluso. Adesso il
piacere deriva principalmente dal pensare, e i sogni e le idee sembrano più
ricchi e chiari. La mente vuole dare piena prova di sé, ma il corpo, come un
tiranno deposto, rifiuta di farsi da parte e insiste per avere attenzioni
costanti: morde, prude, preme o cade in uno stato di torpore o di sfinimento
ingiustificato. Una gamba si infiamma, un osso si raggela, una mano si blocca e
un dolore non meglio precisato mi punzecchia in qualche punto delle viscere,
distraendomi dai libri e dalla conversazione, e perfino dal pensiero stesso. Da
giovane, mi sentivo sempre solo, perfino quando ero in compagnia di altri,
perché il mio corpo non mi assillava mai, non sembrava mai qualcosa di distinto
da me, un ignominioso doppelgänger. Era assolutamente e indivisibilmente il mio
unico io, singolare, invincibile, che non proiettava ombra, come Peter
Schlemihl. Ora, perfino quando sono solo, il mio corpo è sempre lì, come un
visitatore indesiderato, che fa rumore quando voglio pensare o dormire, che mi
pianta il gomito nel fianco quando me ne sto seduto o me ne vado in giro. La
morte non mi spaventa; il dolore sì. Cicerone, che non mi è mai piaciuto come
personaggio, fin da quando lo studiavamo al liceo, ha degli sprazzi di
intuizione. Mettendo in bocca le sue parole all'ottantaquattrenne Marco Porzio
Catone in un dialogo sulla vecchiaia, gli fa dire di aver sempre seguito la
Natura come la migliore delle guide. "Non è verosimile che essa abbia
descritto bene tutte le altre parti della vita", aggiunge, "per poi
buttare giù l'ultimo atto, come un poeta senz'arte". Non ha tutti i torti.
Nessun lettore può immaginare un libro che ama senza un'ultima pagina: il libro
infinito immaginato da Borges è un orribile incubo. Vogliamo posticipare le
ultime parole il più a lungo possibile, ma sappiamo che devono esserci.
Monsieur de Fontenelle, all'età di novantanove anni, era seduto accanto al
fuoco assieme a sua sorella, di pochi anni più giovane. "Ah, Monsieur de
Fontenelle", esclamò lei. "La morte si è dimenticata di noi!".
Monsieur de Fontenelle si mise il dito sulla bocca e sussurrò: "Sssh!".
Le uniche richieste pressanti che mi ha fatto il mio corpo dalla prima
adolescenza e fino a qualche anno fa erano di natura sessuale. Chaucer dice che
l'Indolenza è il custode che introduce gli uomini nella dimora di Venere:
l'allegoria suona vera per me, nel senso che, a voler essere del tutto sinceri,
gli svaghi sessuali mi hanno reso indolente in tutto il resto. Almeno fino ai
trent'anni, tutto il resto, ogni altro genere di esplorazione, veniva in
secondo piano rispetto al persistente godimento del corpo. Ora rimane una sorte
di interesse archeologico per il sesso, attraverso la memoria, attraverso la
narrazione, attraverso i piaceri estetici della contemplazione. Il corpo ha
surrettiziamente rimpiazzato gli impulsi sessuali con piagnucolosi appelli
all'attenzione per le articolazioni, i tendini, l'apparato urinario. Come una
casa in cui viviamo da troppo tempo, ogni giorno c'è una cosa nuova da
riparare. Cerco di tenere a bada il tempo in un luogo seguendo certi rituali: i
preparativi la sera prima per la colazione del mattino dopo, sgombrare la mia
scrivania e disporre penne e libri in ordine simmetrico, la sequenza di scarpe,
mascherina e cappello prima di uscire a fare una passeggiata nel mio quartiere.
Leggo Dante al mattino, un saggio a colazione e un romanzo giallo prima di
andare a letto. Scrivo ogni giorno fino all'ora di pranzo e prendo appunti nel
pomeriggio. Vado al mercato tutti i sabati. C'è un elemento di eternità nella
routine. Il segreto di Shangri-La e l'eterna giovinezza dei suoi abitanti era
che non cambiava nulla nella vita della lamasseria in cima alle montagne del
Tibet, come nel castello della Bella Addormentata. Il sonno, naturalmente, è il
fratello della Morte, ci dice il poeta di Gilgamesh. Ma la routine non può
impedire le tormentose trasformazioni della mia fisionomia. Credo di riuscire a
ricordare di quando vidi per la prima volta la mia faccia nello specchio
dell'armadio di mia madre, da bambino. La faccia che vedo adesso tutte le
mattine è irriconoscibile per me. Ho una foto dei miei trisnonni appesa alla
parete della mia camera da letto e ho sempre pensato che lui avesse un aspetto
remoto. Ora trovo che gli assomiglio: le stesse borse sotto gli occhi, lo
stesso sopracciglio corrugato, la stessa barba, la stessa aria distante. Cerco
invano il viso che resta aggrappato alla mia mente, l'adolescente occhialuto
con grandi orecchie e l'aria spaventata che ero una volta, ma è come se
qualcuno avesse scarabocchiato sopra l'immagine, disegnando linee grosse sopra
una superficie che fino a quel momento era intonsa. Cicerone faceva dire a
Catone che l'età anziana è naturalmente portata a parlare troppo. Lo so. Forse
il motivo è che da giovani proviamo costantemente cose nuove, ci lanciamo nel
mondo, mentre da vecchi la memoria del mondo irrompe e ci sommerge, e le parole
e le immagini straripano. Monsieur de Fontenelle (ancora lui), quando il suo
medico gli chiese come si sentisse rispose: "Provo una certa difficoltà
d'essere". La domanda di Amleto non regge: è limitata. Essere con
difficoltà, essere sottoposti ai capricci di un corpo brontolone, essere meno
agili, meno capaci fisicamente, più vigili, più curiosi. Di questo, sono
immensamente grato.
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