Ha scritto Norberto Bobbio nel Suo saggio “Invito al colloquio” dell’oramai remoto anno 1951:
(…). Il compito degli uomini di cultura è più che mai oggi quello di
seminare dei dubbi, non già di raccogliere certezze. Di certezze – rivestite
della fastosità del mito o edificate con la pietra dura del dogma – sono piene,
rigurgitanti, le cronache della pseudocultura, degli improvvisatori, dei
dilettanti, dei protagonisti interessati. Cultura significa misura, ponderatezza,
circospezione: valutare tutti gli argomenti prima di pronunciarsi, controllare
tutte le testimonianze prima di decidere, e non pronunciarsi e non decidere mai
a guisa di oracolo dal quale dipenda, in modo irrevocabile, una scelta
perentoria e definitiva. (…). Di seguito, “Se gli autori del passato ci aiutano nel presente” a firma di Federico
Rampini, riportato nella sua interezza e pubblicato sul settimanale “D” del
quotidiano “la Repubblica” del 7 di gennaio dell’anno 2017, può a ben vedere dare,
a chi lo leggesse, una doppia opportunità: seguirne le amorevoli sollecitazioni
alla lettura dell’Autore, stante il difficile momento che ci è toccato di
vivere, ed al contempo ricavarne un valido “catalogo” di letture pregevoli ed
intramontabili. Ha scritto al tempo Federico Rampini: Quella che chiamiamo Storia ha
occupato l'equivalente di una frazione di secondo nella stagione del Pianeta.
Con ritorni degni di Tolstoj e Kafka. Quando il mondo ci sembra impazzito,
quando vacillano tutte le nostre certezze, a che cosa possiamo aggrapparci? Io
mi rifugio nei libri. I classici di preferenza (in questo momento sono in
Guerra e pace di Tolstoj) perché nei grandi dell'Ottocento ho l'impressione che
tutto sia già stato scritto, e in maniera insuperabile. È come sentirsi
abbracciati da un maestro amorevole, un nonno più saggio e lucido di noi, che
ha già visto accadere tutto e il contrario di tutto. Mi sono portato in vacanza
il libro di Alessandro Barbero, Barbari. Immigrati, profughi, deportati
nell'impero romano (Laterza) perché tante cose mi affascinano della caduta di
quella grande civiltà italica, mediterranea, europea. I parallelismi
inevitabili col declino storico dell'impero americano. E l'idea che la storia,
a volte, procede all'indietro. Dopo avere venerato il Progresso, dobbiamo
misurarci con la possibilità che esistano lunghi periodi di Regresso? Beh,
l'Occidente dovette aspettare il Rinascimento perché le élite recuperassero
elementi di conoscenza e analisi del mondo che erano stati all'apogeo nella
cultura ellenistica. In quanto a prosperità economica, per secoli nel Medioevo
ci fu un impoverimento rispetto ai momenti migliori dell'organizzazione sociale
e produttiva di Roma. L'idea che i nostri figli debbano stare meglio di noi,
così come noi abbiamo goduto di ricchezze superiori ai nostri genitori, è un
dato recentissimo, e si è verificato per periodi molto brevi nella storia
dell'umanità. In più il tema specifico del libro di Barbero è attualissimo: se
e quando l'immigrazione diventa "invasione"; in quali condizioni
storiche è la popolazione immigrante, quella che importa e impone i propri
valori. Nel reparto audiolibri, quelli che ascolto quando corro, per me è il
momento di Da animali a dèi. Breve storia dell'umanità di Yuval N. Harari
(Bompiani, traduzione G. Bernardi). Lo ascolto in inglese e preferisco il
titolo originale: Sapiens. È un capolavoro di divulgazione di altissimo
livello. A seconda dei capitoli, alterno momenti di sconforto, vertigine,
rassegnazione… È difficile non riportare al presente questa storia che
abbraccia molte decine di migliaia di anni. Quella che
noi chiamiamo Storia, pomposamente, è una vicenda brevissima, l'equivalente
di una microscopica frazione di secondo nella stagione del pianeta e dei suoi
colonizzatori umani. Da quando esistiamo, per la maggior parte del tempo non
siamo stati capaci di scrivere o di leggere. Non abbiamo avuto fissa dimora:
l'agricoltura l'abbiamo inventata da pochissimo, la parte più lunga della
nostra esistenza come specie è stata da nomadi, raccoglitori, cacciatori. Per
forza oggi giriamo in Suv, buttiamo bottigliette di plastica in mare, eleggiamo
Donald Trump che chiama i petrolieri al governo: siamo stati quasi sempre una
minuscola popolazione affamata e sparpagliata su un pianeta immenso, dove non
c'erano limiti alle risorse naturali. Siamo passati, in pochi millesimi di
secondo, da una logica di pura sopravvivenza al possesso di capacità
tecnologiche micidiali. Ma abbiamo ancora una corteccia cerebrale da
lucertoloni. La migliore descrizione di ciò che ha reso l'Homo Sapiens
superiore al Neanderthal? La capacità di raccontare storie, di costruire miti
(incluse le religioni), per avere valori comuni e con quelli organizzarci,
cooperare su vasta scala, costruire società complesse. Anche quando il fine
ultimo della cooperazione era quello di costruire l'armata più forte e
massacrare il popolo vicino. Lucertoloni che sognano, recitano a teatro,
compongono versi, piangono di fronte a una sinfonia di Tchaikovsky e al Requiem
di Verdi, sorridono con Cervantes e Flaubert, tremano con Kafka e Dostoevskij.
Strane creature. E ci stupiamo quando i nostri simili votano giallo o verde,
anziché marrone o viola?
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