"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

venerdì 28 gennaio 2022

Paginedaleggere. 83 «Il tratto nichilista della nostra economia, per la quale il consumo dei prodotti non coincide tanto con la loro fine ma è il loro fine».

 

Tratto da “Vietato condannare l'indifferenza dei nostri ragazzi” di Umberto Galimberti, pubblicato sul settimanale “D” del quotidiano “la Repubblica” del 28 di gennaio dell’anno 2017: Se il mondo che abbiamo creato per loro è immodificabile, perché dovrebbero darsi da fare? Prima di accusare i giovani d'indolenza, mancanza di sacrificio e incapacità di promuoversi in qualsiasi attività lavorativa, anche se non necessariamente connessa con la tipologia dei loro studi, i vecchi, (…), dovrebbero rendersi conto che forse i giovani sono come (…) li (si) descrive per effetto del mondo in cui sono nati e cresciuti. Un mondo che noi vecchi, e più siamo vecchi più siamo responsabili, abbiamo creato per loro. Nessuno di noi è individualmente responsabile, se non per il fatto di aver lasciato avanzare, senza contrastarla, una cultura che non ci percepisce più come "persone", ma come semplici produttori e consumatori, quindi come funzionari delle merci, dalla cui circolazione si alimenta, come per noi un tempo, anche l'odierna economia. Con una differenza radicale, che consiste nel fatto che l'economia dei nostri tempi concepiva il denaro come un "mezzo" per soddisfare bisogni e produrre beni, oggi invece l'odierna economia lo concepisce, in modo perverso, come un "fine", per realizzare il quale, si vedrà se soddisfare i bisogni e in che misura produrre i beni. Questo capovolgimento, che ha messo da parte l'uomo, i suoi bisogni e i beni necessari per soddisfarli, per privilegiare dell'uomo unicamente le sue prestazioni, purché siano funzionali alla produzione del denaro, ha determinato la miseria estrema dei disperati della Terra che abitano un'Africa la cui ricchezza non è nelle loro mani, la schiavitù nei Paesi più poveri e più ricchi dell'Asia, e infine l'espansione della povertà qui da noi, dopo il relativo benessere di cui abbiamo goduto noi vecchi, non per merito nostro, ma perché ai nostri tempi l'economia era più reale che finanziaria. Per essere apprezzati dal mondo finanziario bisogna produrre con il minor costo possibile merci che si rinnovino nel modo più rapido possibile, per una loro sempre più veloce e massiccia circolazione sul mercato. Qui subentra il tratto nichilista tipico della nostra economia, per la quale il consumo dei prodotti non coincide tanto con la loro fine ma è il loro fine. Le cose vanno condotte alla loro fine nel modo più rapido possibile, per cui la data di scadenza non l'hanno solo gli alimentari, ma anche le automobili, i frigoriferi, i televisori, per non parlare dei telefonini e dei computer. In ciò la nostra economia ha due potenti alleate che riempiono le pagine e i video dei media: la pubblicità, che quando non si riesce più a vendere i prodotti interviene per produrre i bisogni che poi richiedono i prodotti, e la moda, che di anno in anno trasforma beni ancora funzionanti e utilizzabili in oggetti socialmente improponibili. Come chiamiamo una cultura che si regge sul consumare e ridurre al nulla nel tempo più rapido possibile tutte le cose? Io la chiamo nichilista. E non vedo perché i giovani dovrebbero essere entusiasti di vivere in una simile stagione della storia. E per giunta senza speranza, per due ragioni: innanzitutto perché gli abbiamo fatto vedere solo questa, come se non ci fossero altri mondi possibili, in secondo luogo perché in effetti non ce ne sono davvero, dal momento che, con la globalizzazione, il mercato ha sottoposto a sé sia i "servi" sia i "signori", che non possono più contrapporsi come ai nostri tempi, ma devono allearsi per stare sul mercato, che ormai più nessuno contesta, come se fosse una legge di natura. Di qui l'invito agli anziani di non pensare che noi eravamo meglio dei giovani d'oggi, al contrario vivevamo in un mondo decisamente più umano e meno caratterizzato dai valori di efficienza, funzionalità, produttività come il mondo che abbiamo creato per loro, e che in loro non desta alcun entusiasmo. Semplicemente ci fa capire la ragione profonda del loro lamento, reso tragico dalla consapevolezza dell'impossibilità di modificare la loro situazione.

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