Scrittura “profetica” questa di
Guido Carandini, economista, saggista e politico nato a Roma il primo di giugno
dell’anno 1929 e mancato il 29 di settembre dell’anno 2019 – “La crisi che (per ora) non sfocia in
rivolta” – pubblicata sul quotidiano “la Repubblica” del 19 di giugno dell’anno
2013. L’Autore ha in mente, al tempo, quella crisi finanziaria innescata oltre
Atlantico nell’anno 2008 e che ha segnato tutto il tempo a venire sino alla
esplosione della “crisi” questa volta generata dalla pandemia, “crisi”
pandemica grave non soltanto per i suoi innescati ed esplosi problemi sanitari
ma per le ricadenti conseguenze sociali ed economiche tutt’oggi gravissimi. I “fatti”
tragici della “logistica” di qualche giorno addietro e quelli terribili alla “Lidl”
di Novara di ieri ci stanno a dire che le due “crisi”, finanziaria prima e
pandemica poi, che stanno segnando questo ventunesimo secolo, hanno sommato i loro
disastrosi “effetti” come tragico (?) presagio per il presente ed ancor più per
il futuro delle giovani e giovanissime generazioni. Scriveva allora Guido
Carandini: Il 31 maggio il governatore della Banca d’Italia (all’epoca Ignazio
Visco n.d.r.) dichiara nella sua Relazione che il nostro paese decade perché da 25
anni non riesce più a rispondere «agli straordinari cambiamenti geopo-litici,
tecnologici e demografici» del mondo». Il 7 giugno sul New York Times un
commentatore si domanda: come mai in Europa la drammatica disoccupazione di
massa, che per i giovani ha raggiunto il 40% in Italia, il 50% in Spagna e
oltre il 60% in Grecia, per di più aggravata dalla pesante crisi finanziaria,
non ha prodotto fin qui una rivolta sociale guidata dalle estreme di destra o
di sinistra? E come mai i regimi politici di centro sembrano riuscire a
contenere lo scontento popolare malgrado che dalla integrazione europea e dal
sistema dell’euro sotto la dominazione tedesca, nessuno ha tratto vantaggi?
(…). Provo a suggerirne uno che mi è stato ispirato ritrovando queste rime
satiriche di Matteo Boiardo, scritte nel 1453: «Così colui, del colpo non accorto,
andava combattendo ed era morto». Mi è sembrata una perfetta metafora di quel
che accade alle classi dirigenti dell’Unione europea, le quali si credono
ancora vive perché combattono nei vari paesi membri la depressione economica,
la crisi della politica e l’esilio della democrazia, senza però essersi accorte
di un cambiamento per colpa del quale, invece, sono (metaforicamente) morte. Si
chiama “globalizzazione” e non investe solo l’Europa, perché “globali” sono
diventate ovunque la politica, la società e l’economia, mentre le nazioni
occidentali, da quelle piccole della Ue ai grandi Stati Uniti, tutte fingono di
possedere ancora le rispettive sovranità e democrazia, che invece sono ormai in
gran parte in esilio nelle gigantesche banche di affari di Wall Street che con
i loro “rating” possono preoccupare Barack Obama più della Cina. E quindi lo “straordinario cambiamento geopolitico, tecnologico e
demografico del mondo” (…) è proprio la globalizzazione, alla quale non
riesce a rispondere non solo l’Italia, ma l’Europa intera. Ed è a causa sua che
sono, sempre metaforicamente, “morti” sia gli apparati politici “nazionali”,
sia le ricette di stabilità monetaria “nazionali” e sia la lotta per le
democrazie “nazionali”. Perché non ci si era accorti che nel frattempo il
potere globale stava inghiottendo le Nazioni appropriandosi dei loro passati
poteri. Ecco forse perché non scoppia la rivolta. Perché invece potrebbero
essersene accorti i popoli, la gente, i giovani che non hanno futuro, avendo
capito che contro il potere globale le rivolte sociali sono ormai impotenti, a
meno che anch’esse non diventino almeno sovranazionali. I primissimi tentativi
di “occupazione” ci sono stati, ma le nostre “morte” classi dirigenti se ne
sono disinteressate, perché certo non se n’erano accorte.
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