A lato. "Fattoria con papaveri", acquerello (2021) di Anna Fiore.
Ha scritto Kahlil Gibran in “Il Profeta”: “E una donna che stringeva un
bimbo al seno chiese: parlaci dei figli. Ed egli disse: i vostri figli non sono
i vostri figli. Essi sono i figli e le figlie della smania della Vita per se
stessa. Vengono attraverso di voi, ma non da voi, e benché stiano con voi,
tuttavia non vi appartengono. Voi potete dar loro il vostro amore, ma non i vostri
pensieri, poiché essi hanno i propri pensieri. Potete dare alloggio ai loro
corpi, ma non alle loro anime, poiché le loro anime dimorano nella casa del
futuro che voi non potete visitare neppure in sogno. Voi potete sforzarvi di
essere come loro, ma non cercate di renderli simili a voi. Poiché la vita non
va all’indietro e non si trattiene sullo ieri. Voi siete
gli archi dai quali i vostri figli vengono proiettati in avanti, come frecce
viventi. (…)”. Tratto da “Un
figlio vuol dire lasciarsi cambiare la vita” di Umberto Galimberti
pubblicato sul settimanale “D” del quotidiano “la Repubblica” del 22 di giugno
dell’anno 2013:
Scrive la psicoanalista Jeanne Van de Brouck: "Mentre l'educazione
di un figlio richiede dai 15 ai 18 anni, l'educazione dei genitori può durare
mezzo secolo e più". Siccome per avere un figlio basta seguire le leggi di
natura, molti genitori pensano che anche la sua nascita e la sua crescita siano
un processo del tutto naturale. E invece così non è, perché la nascita di un
figlio genera, in chi l'ha messo al mondo, la "genitorialità". Una
dimensione spesso sconosciuta ai genitori, che continuano a essere ciò che
erano prima di mettere al mondo il figlio, senza la più pallida idea che quella
nascita esige da loro una radicale trasformazione nel loro modo d'essere e di
rapportarsi tra loro. Persuasi che per essere buoni genitori è sufficiente
l'amore che provano per i figli (per giunta l'amore come lo intendono loro, e
spesso non come i figli lo vorrebbero), molti genitori restano quel che sono,
solo con un piccolo personaggio in più per casa, senza la minima consapevolezza
che il sopraggiunto chiede una trasformazione radicale delle loro relazioni. Di
questa inconsapevolezza, più delle madri, sono vittime i padri, il cui
contributo fisiologico per mettere al mondo il figlio è stato così insignificante,
rispetto ai nove mesi di gravidanza che impegnano la madre, da non richiedere
alcuna trasformazione della loro personalità. Incapaci di trasformarsi, sia i
padri sia le madri si appoggiano a quegli schemi tradizionali che prevedono il
padre come il soggetto che lavora e mantiene la famiglia e la madre come il
soggetto che, lavori o non lavori fuori casa, deve in ogni caso prendersi cura
della famiglia. Assolti questi compiti, i due si sentono "buoni
genitori", mentre buoni non sono perché, anche se non sono bugiardi,
infedeli, gelosi, viziosi, drogati, delinquenti, sadici, stremati, o
semplicemente assenti, con la nascita del figlio non sono minimamente cambiati.
Pensano di doverlo crescere ed educare secondo la loro visione del mondo senza
farsi interrogare dalle esigenze, dalle curiosità, dalle domande che il figlio
pone e che si fanno palesi già dai primi giorni di vita, con grida che
terrorizzano i genitori, diarree e vomiti per palesare il rifiuto del cibo,
insonnie che implorano più attenzione. E allora che fanno i genitori che si
sono trovati tali nel giro di poche ore, subendo loro il "trauma della
nascita" senza essere stati minimamente preparati? Corrono (…) nelle
strutture sanitarie, per affidare ai medici la soluzione di problemi che non
hanno saputo affrontare, mai sfiorati dall'idea che, se è vero che sono i
genitori a generare un figlio, è altrettanto vero che il figlio genera i
genitori. Ma quando i padri e le madri che non si lasciano generare dal figlio,
e io direi anche "educare", come possono considerarsi buoni genitori,
se sono incapaci persino di rinunciare al sogno che ritraeva un figlio secondo
i loro desideri, senza guardare con attenzione, cura, e amore chi quel figlio è
per davvero, quale la sua indole, che non sempre coincide col sogno che
genitori, incapaci di cambiare, a suo tempo s'erano fatti di lui?
"Non parlate "ai" vostri bambini, prendete i loro visi tra le mani e parlate "con" loro". (Leo Buscaglia). "L'impresa più difficile dell'essere genitore è lasciare che le nostre speranze per i figli abbiano la meglio sulle nostre paure".(Ellen Godman). "Se vuoi che tuo figlio cammini onorevolmente per il mondo, non tentare di liberare le pietre dal suo cammino, ma insegnagli a camminarci sopra con fermezza. Non insistere col tenerlo per mano, ma lascia che impari ad avanzare da solo".(Anne Bronte). "I figli sono come gli aquiloni:gli insegnerai a volare, ma non voleranno il tuo volo. Gli insegnerai a sognare, ma non sogneranno il tuo sogno. Gli insegnerai a vivere, ma non vivranno la tua vita. Ma in ogni volo, in ogni sogno e in ogni vita rimarrà per sempre l'impronta dell'insegnamento ricevuto".(Madre Teresa). "I genitori devono essere affidabili, non perfetti. I figli devono essere felici, non farci felici".(Madre Teresa). "Non è questo forse il dono più grande della genitorialità? Non avere aspettative su di loro,non desiderare che diventino quello che noi abbiamo in mente che debbano diventare, lasciarli liberi di sbagliare e trovare la loro via".(Massimo Recalcati). "Chi ha raccolto la sfida della vita sa che nei momenti decisivi ha dovuto disattendere o disobbedire ai legami della famiglia".(Giorgio Bocca). Anche questo post farà parte di quella raccolta preziosa a cui dedicare riletture e riflessioni ricorrenti...Grazie!
RispondiEliminaAgnese, amica carissima, grazie per l'attenzione e la considerazione accordatemi.
RispondiEliminaAldo Carissimo, grazie a te, per la profondità di pensiero e la varietà di interessantissimi contenuti che arricchiscono questo prezioso blog.
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