Tratto da “Draghi,
l’ideologia dello status quo” di Tomaso Montanari, pubblicato su “il Fatto
Quotidiano” del 16 di giugno 2021: (…). Chi sta col Governo sarebbe
“pragmatico”, cioè obiettivo, chi si oppone sarebbe invece “ideologico”, e cioè
propagandistico. Quest’uso della parola “ideologia” è di per sé sintomatico del
ribaltamento avvenuto negli ultimi decenni. Nel linguaggio filosofico marxista,
quello che l’ha più largamente usata, “ideologia” significava «l’insieme delle
credenze religiose, filosofiche, politiche e morali che in ogni singola fase
storica sono proprie di una determinata classe sociale. […] In quanto tale,
l’ideologia, lungi dal costituire scienza, ha la funzione di esprimere e
giustificare interessi particolari, per lo più delle classi proprietarie ed
egemoni sotto l’apparenza di perseguire l’interesse generale o di aderire a un
preteso corso naturale» (così, sinteticamente, il vocabolario Treccani). È
precisamente in questo senso che è davvero, e profondamente, ideologica la
posizione di quelli che sostengono lo stato delle cose come una sorta di dogma
senza alternative. Il sostegno a Draghi e al suo Governo ha assunto fin
dall’inizio toni ultraideologici, addirittura religiosi: i giornali e i
giornalisti di sistema l’hanno raccontato come l’uomo della provvidenza, un re
taumaturgo capace di risanare il Paese col semplice tocco delle mani. Come
succede appunto con le ideologie, nessun dato di realtà è riuscito a incrinare
il dogma. Il mito del governo «di alto profilo» (Mattarella dixit) non si è
dovuto misurare con i nomi imbarazzanti, a tratti mostruosi, di ministri e
sottosegretari. Il mito che si tratti di un Governo libero dai partiti non ha
risentito all’evidenza di un condono fiscale e di una riapertura affrettata
imposti dalla Lega. Il mito di un Governo verde («La rivoluzione verde di
Draghi», ha titolato Repubblica) non appare scalfito dalla resurrezione di
nucleare, inceneritori, Ponte sullo Stretto, o da un PNRR che continua a
consumare suolo per Grandi Opere in buona parte inutili, e dunque dannose. Il
mito dell’efficienza mimetica di Figliuolo non risente dell’ovvietà per cui le
dosi ci sono state solo quando gli sono state recapitate, né dell’incredibile
caos su AstraZeneca, né dell’irresponsabile accelerazione propagandistica che
ha portato il Governo a benedire gli Open Day delle Regioni per i minorenni. Il
mito di un Governo che lotterebbe contro le diseguaglianze non si è dissolto
dopo lo sdegnato “no” di Draghi alla pallidissima proposta di tassa di
successione di Enrico Letta. No: la realtà non esiste, esiste l’ideologia del
governo dei migliori. Ma c’è qualcosa di più profondo. Questa ideologia non è
certo stata messa a punto per sostenere Draghi, anzi è vero il contrario: e
cioè che Draghi è l’espressione più autorevole, in Italia, del pensiero unico
occidentale che ha condotto il mondo sull’orlo del baratro ambientale, sociale
e politico. Quel pensiero unico si riassume nella «fede nel mercato […] ovvero
nel fatto che i meccanismi del mercato siano i principali strumenti per
realizzare il bene pubblico». Sono parole di Michael Sandel (La tirannia del
merito, Feltrinelli 2021), che insegna Teoria del governo ad Harvard. Non per
caso egli usa una parola che ha che fare con l’ideologia per eccellenza, la
«fede». Una fede condivisa, nota Sandel, da tutti i leader e dai partiti del
centrosinistra globale, da Clinton a Blair al nostro Pd. In una pagina che cita
esplicitamente anche quest’ultimo, Sandel nota che questo fronte politico,
«prima che possa ambire a riconquistare il sostegno pubblico, deve rivedere il
proprio modo tecnocratico orientato al mercato di approcciarsi al governo e deve
inoltre riflettere su un elemento più impercettibile, ma altrettanto
importante: l’atteggiamento verso il successo e il fallimento che ha
accompagnato la crescita della disuguaglianza negli ultimi decenni».
L’operazione Draghi punta a evitare proprio questa riflessione, blindando
l’ortodossia ideologica: riportare al governo il Pd, e riportarcelo insieme ai
populisti che avevano raccolto il consenso contestando l’ortodossia, significa
affermare che non c’è nulla da cambiare, nessun errore da riconoscere. Il
discorso di Draghi a Rimini nell’agosto scorso era esattamente questo, uno
sperticato manifesto ideologico: l’imperativo era «la crescita», e l’obiettivo
era impedire, sono parole sue, «una critica contro tutto l’ordine esistente». Difficile dire cosa possa essere più “ideologico” che continuare a propugnare
una crescita infinita in un pianeta finito, e continuare a difendere un «ordine
esistente» già di fatto collassato. Le parole di Sandel sull’ideologia del
successo e del fallimento spiegano l’ondata di criminalizzazione dei lavoratori
che sta montando in questi giorni: ad essere colpevolizzato è chi, ridotto in
povertà, riesce a sottrarsi a un “lavoro” schiavistico grazie al reddito di
cittadinanza (l’odiato frutto “di sinistra” del populismo al governo). Ancora
una volta l’establishment sta dando la colpa alle vittime, invece di accettare
e analizzare il fallimento della globalizzazione di mercato: è l’errore
drammatico che ha portato a Trump presidente, e alla Brexit. E perseverare –
con accanimento ideologico – in quell’errore significa continuare ad alimentare
il consenso di chi solo apparentemente è contro il sistema: e cioè correre
verso l’abisso di governi di estrema destra anche in Europa occidentale, a
partire dall’Italia. Stare con chi vince (con i ricchi, con il privilegio, con
i padroni…) sarebbe pragmatico, stare dalla parte degli sconfitti (i poveri, i
discriminati, i lavoratori) sarebbe ideologico. Invece, sono due ideologie: la
prima a difesa dei presunti “dati di fatto” certificati da “esperti” al
servizio dello stato delle cose, la seconda fondata su alcuni valori
scardinanti. In Italia sono i valori dell’articolo 3 della Costituzione:
un’eguaglianza non di opportunità (comunque oggi lontanissima!), ma di
condizione finale, «che permetta, a quanti non ottengono grandi ricchezze o
posizioni di prestigio, di vivere una vita decente e dignitosa» (Sandel). La
necessità di «dare a ogni uomo la dignità di uomo» (Calamandrei). Si può
scegliere tra l’ideologia conservatrice del mercato e quella riformatrice della
Costituzione: ma far passare la prima come l’ordine naturale delle cose è solo
disonestà intellettuale.
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