Tratto da “Quell’usura
dell’anima che obbliga a cambiare” di Bernardo Valli, pubblicato sul
settimanale “L’Espresso” del 7 di febbraio 2021: Alla fine dello scorso anno s’era
aperto uno spiraglio: il 2021 sarebbe stato liberato dal coronavirus grazie a
un vaccino, anzi dai vaccini già pronti o in preparazione. Nel frattempo, sono
tuttavia spuntate le varianti del killer e le statistiche danno l’impressione
che la sua velocità nel diffondersi non sia seriamente diminuita. Né sia sul
punto di esserlo. I nostri governi, quelli europei, quando modificano i
regolamenti sembrano intimoriti al tempo stesso dalla pandemia e dagli umori
delle loro opinioni pubbliche vicine alla collera. I vaccini arriveranno un
giorno nella quantità richiesta dalla situazione, ma nell’attesa i contagi e le
morti continuano a incupire l’orizzonte. Le certezze rassicuranti enunciate
dalle fonti pubbliche suonano puntualmente come dichiarazioni zigzaganti, che
alimentano, non attenuano le angosce. Le incertezze creano un’atmosfera di
malinconia che avvolge strati sempre più ampi della società: chi perde il
lavoro anzitutto, la cui malinconia è drammatica; e tutti i settori associati
all’arte di vivere: dai teatri, ai cinema, ai musei, ai negozi, a molte scuole,
ai bar, ai ristoranti che aprono a singhiozzo sfidando a volte i regolamenti
per sopravvivere. I giovani si sentono privati della loro giovinezza. Gli
anziani si sentono sul punto di essere stroncati dai troppi anni che li rendono
vulnerabili. Lo scontento ha già cominciato a riempire alcune piazze. Sono
segni, ancora esitanti, della collera che cova sotto la malinconia. Un
neuropsichiatra, Boris Cyrulnik, con le sue opere ci ha illuminato sulla grande
influenza dell’ambiente sul nostro cervello: clima e geografia, violenza e
dolcezza, parole ed emozioni. Adesso sostiene che abbiamo affrontato bene il
primo confinamento per contenere l’epidemia. La gente ha reagito, anche con
humor, sui social network, organizzando rituali dibattiti, che riguardavano
persino la cucina, nell’isolamento imposto dal coronavirus. Sempre secondo il
professor Cyrulnik la situazione è però cambiata: siamo entrati in una fase di
intorbidimento psichico provocato dalla ripetizione degli argomenti usati per
evadere dall’ angoscia. Dice: «C’è un’usura dell’anima».
La percezione della morte è mutata, è più presente nei nostri pensieri. La
psicologa, specialista delle relazioni sociali, Dominique Picard sottolinea la
rassegnazione e la stanchezza. Sostiene (sul Figaro) che «cambiare le
abitudini» è una necessità vitale. Non sapendo quanto tempo durerà questa
situazione non bisogna limitarsi ai rapporti casalinghi, come se la vita
limitata a quella della famiglia avesse un carattere carcerario: è necessario,
ad esempio, camminare nel proprio quartiere, per scoprire quel che in tempi
normali non avevamo avuto l’occasione di vedere, tanto eravamo affaccendati.
Non sapendo quanto tempo ci vorrà per eliminare il virus che ci minaccia, non si
deve restare prigionieri delle piccole cose del nostro passato che abbiamo
perduto. Bisogna saper vivere nello spazio consentito. Un altro psicologo,
Boris Charpentier, suggerisce di adeguarsi alla situazione dedicandosi alla
ginnastica, studiando lingue straniere, imparando a suonare uno strumento. La
Picard, come Charpentier, non sembra badare “all’usura dell’anima” di cui parla
il neuropsichiatra Boris Cyrulnik. Né alla collera che cresce in larga parte
della società, la quale non può permettersi di studiare musica o lingue
straniere per occupare il tempo durante il confinamento, ma deve cercare di
sopravvivere perché l’inattività significa, per molti, anche mancanza di lavoro
e quindi di un reddito, di un salario.. Nel mondo non prevale la stessa morale.
È dubbiosa, incerta in quasi tutte le contrade ed è tutt’altro che unanime. Nei
paesi ricchi e democratici prevale l’imperativo di salvare le vite umane. Anche
tra gli Stati autoritari, repressivi, poveri, ve ne sono con identici
obiettivi. Ma non sono molti. Agire per salvare le vite significa applicare
strette regole di confinamento, o provvedimenti affini che colpiscono
inevitabilmente l’attività economica. È il prezzo per salvare vite umane. È la
condotta legittima, per la nostra morale, che non è condivisa da tutti i paesi
in cui si vuole anzitutto salvare il commercio, l’economia, più delle esistenze
di uomini e donne. Il giudizio non è cosi semplice, perché nei paesi poveri
frenare l’attività economica equivale a sacrificare la popolazione più
indigente. La lotta contro il Covid-19 può uccidere come il Covid-19. Il mondo
che uscirà da questa crisi forse non sarà più lo stesso.
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