"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

venerdì 25 giugno 2021

Notoziedalbelpaese. 17 «Mario Draghi, serio, ma non serioso, si è sempre dichiarato “un liberal socialista”, un “Civil servant”».

Tratto da “Grazie Mario: ecco il Salvator Mundi tra i buoi e gli asinelli” di Pino Corrias, pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 5 di febbraio 2021: Questa volta il Salvator Mundi non è nato a Betlemme, ma a Roma, quartiere Parioli. A differenza del suo antico predecessore, Mario Draghi è sceso tra noi accompagnato dalla luce cometa della nostra ultima stella, quella del Quirinale. E a riscaldare quel suo commovente pallore atermico – forse contrastato da qualche vampata di irritazione per il disturbo che lo allontana dagli uliveti di Città della Pieve – arriveranno in gran numero i buoi e gli asinelli della nostra disgraziata classe politica, finita tutta quanta in castigo, dopo il baccano inconcludente dell’ultima ricreazione. In compenso il nostro Draghi, appena evocato nel nome e nel sembiante, qualche miracolo l’ha già fatto, ha abbassato di molto lo Spread, verso la quota minima dei cento punti, ha alzato il totalizzatore della Borsa, pompando un po’ di ossigeno nei calamitosi conti economici e sociali della bella Italia assediata dal virus che non passa, dai vaccini che non arrivano e da Matteo Renzi che non riparte per Riyad. Le banche e i mercati gli credono, come sempre, visto che li governa da una trentina d’anni. Gli umani del vasto fondovalle sociale un po’ meno, considerandolo un “apostolo delle élite” (…). Al netto di molte scempiaggini terrapiattiste, Mario Draghi, serio, ma non serioso, professore di economia e banchiere, si è sempre dichiarato “un liberal socialista”, un “Civil servant” e annovera nella sua lunga carriera il prestigio di molti successi, a cominciare dal suo famoso “whatever it takes” pronunciato il 26 luglio 2012 con cui annunciava che la Banca centrale avrebbe comprato il debito pubblico dei paesi dell’eurozona per salvare l’euro “a qualunque costo”. Imbracciando da allora il bazooka del “quantitative easing” con cui finanzia i bilanci degli Stati, compreso il nostro, e che fu una autentica rivoluzione per gli standard d’austerità germanica, ostili a Draghi fin quasi all’ultimo. Ma uscendone sconfitti. Al punto che anche la cancelliera Angela Merkel finì per inchinarsi “al suo coraggio”. Lo stesso coraggio che gli aveva insegnato suo padre (“se perdi il coraggio perdi tutto”), che raccomanda da sempre ai suoi studenti (“agite con conoscenza, umiltà, coraggio”) e che massimamente gli servirà in questa avventura del tutto inedita per lui, tra gli gnomi della nuova politica che conosce poco e male, ampiamente ricambiato. Mario Draghi nasce nel 1947. Famiglia benestante. A 15 anni perde il padre e la madre, cresce con i fratelli e la zia. Studia dai gesuiti. Si laurea in Economia alla Sapienza con Federico Caffè, si specializza all’Mit di Boston con il Nobel Franco Modigliani. Sembra destinato alla carriera universitaria. Se interpellato dice “La politica non fa per me”. Invece sarà proprio la politica ad allevarlo come principe tra i tecnici. Lo pesca Guido Carli, nominandolo direttore generale del Tesoro, durante un remoto governo Andreotti VII, anno 1991, apoteosi finale del Caf, debito pubblico alle stelle, Tangentopoli alle porte, il tuono di Capaci imminente, la lira fuori dal serpente monetario, la prima Repubblica che scivola nell’abisso. Lui tiene la rotta per 11 anni, mentre la tempesta si porta via 7 ministri del Tesoro e 9 governi – da Amato a Berlusconi, da Prodi a D’Alema – fino a quando scende sulla terra ferma di Goldman Sachs, la banca d’affari a stelle e strisce, anni 2002-05, per poi risalire al timone della Banca d’Italia, appena sgomberata da Antonio Fazio, travolto anche lui da uno scandalo, quello di Bancopoli. Da governatore guida la stagione delle fusioni bancarie – le principali tra Banca Intesa e San Paolo, tra Unicredit e Capitalia – compresa quella rovinosa di Monte dei Paschi che compra Antonveneta al doppio del suo valore, mandando in malora i suoi bilanci. Il disastro lo sfiora appena surclassato da quello del fallimento di Lehman Brothers, che terremota tutte le economie d’Occidente. È da quello sprofondo che Draghi salta più in alto di tutti, in cima alla torre della Banca centrale europea di Francoforte, il suo vero trampolino di lancio internazionale: parla con i governi, partecipa ai summit, diventa il referente di ogni emergenza (compresa quella finale dell’ultimo governo Berlusconi) incoronato tra gli uomini più influenti del pianeta. Chiamato da papa Francesco alla Pontificia Accademia. Una visibilità che sparisce dentro una vita privata perfettamente anonima. Una moglie, due figli, un casale in Umbria, una utilitaria bianca. Viaggia in economy. La foto di lui con la moglie in fila al supermercato ha fatto il giro del mondo. Parla poco e quando lo fa dice l’essenziale: “L’Euro è irrevocabile”. “Esiste il debito cattivo” che vola via dalla finestra, e “il debito buono” che serve agli investimenti. In piena pandemia, marzo 2020, lancia il più grande investimento di tutti i tempi con un articolo sul Financial Times, il Next Generation Eu, 1100 miliardi da distribuire in Europa nei prossimi sei anni, 209 all’Italia. Se nasce il governo toccherà a lui gestirli. Mattarella ci crede, il Parlamento vedremo.

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