Nella ricorrenza del settantacinquesimo della
Repubblica Italiana il quotidiano “la Repubblica” dell’1 di giugno 2021 ha
riportato un estratto – “Ora e sempre
antifascisti” – dal discorso (inedito) che Norberto Bobbio tenne per l’evento
del 2 di giugno dell’anno 1976: Vi è ancora un punto in cui lo spirito della
Costituzione è stato continuamente violato: la sopravvivenza del fascismo.
Questo marchio d’infamia della storia italiana avrebbe dovuto da tempo essere
cancellato. La sopravvivenza del fascismo, (…), è contraria non soltanto allo
spirito della Costituzione, che è nata dall’antifascismo militante, ma anche
alla lettera. Non vi è articolo della nostra carta costituzionale che sia stato
più calpestato che l’art. XII delle disposizioni transitorie il quale aveva
solennemente e seccamente proibito «la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma,
del disciolto partito fascista». Intendiamoci, il fascismo, il fascismo
storico, non è un pericolo. Ma è peggio che un pericolo: è una vergogna.
Dobbiamo chiedere e lo chiederemo sino a che avremo fiato, che questa vergogna
sia lavata per sempre. Verremmo meno a un preciso dovere se (…) non
riaffermassimo che nell’Italia repubblicana e democratica non c’è posto per il
fascismo, che l’attuazione della Costituzione passa anche per la fine della
incredibile tolleranza, di cui abbiamo ogni giorno inconfutabili prove, per i
fascisti e i loro alleati. Se la cerimonia del 2 giugno ha un significato,
questo non può essere altro che quello di riconfermare il patto costituzionale.
Nonostante tutto, la nostra Costituzione ha dimostrato, (…), una notevole
vitalità. Nella storia delle Costituzioni, trent’anni di vita sono già una
buona prova. Tentativi eversivi seri, voglio dire veramente pericolosi, non ve
ne sono sinora stati. Possiamo deplorare che ve ne siano stati e denunciare il
fatto che la vigilanza di chi aveva l’obbligo di proteggere i nostri istituti
democratici da tentativi di sovvertimento è stata spesso tutt’altro che
esemplare. Ma la libertà non muore sino a che, come diceva Machiavelli, il
popolo ci tiene sopra le mani. Ora credo fermamente che il nostro popolo abbia sinora
tenute le mani sulla libertà e sia disposto a farlo anche per l’avvenire. Direi
che anche sul fronte della proposta di riforme della Costituzione non vi siano
stati movimenti di grande rilievo. Ogni tanto si affaccia qualche proposta. Ma
non fa passi avanti. A ogni modo si tratta pur sempre più di ritocchi che non
di mutamenti radicali. Insomma, la Costituzione ha tenuto. Non ci nascondiamo
che attraversiamo un momento delicato. Ma a ben guardare si sente ogni giorno
parlare di crisi economica, di crisi morale, di crisi politica, ma non mi pare
si parli con altrettanta insistenza di una crisi costituzionale. La
Costituzione è pur sempre il quadro di riferimento in cui si iscrive ogni
proposta di nuove alleanze, di un nuovo blocco storico, in termini più tecnici,
l’efficacia nel tempo di una Costituzione è il fondamento di legittimità di un
sistema politico. Ora, nonostante la presenza attiva di una destra eversiva e
la formazione di una sinistra rivoluzionaria, la legittimità del nostro sistema
politico non è posta in discussione dalla stragrande maggioranza del popolo
italiano. Tutti sono convinti che la situazione sia grave. Ma mi pare
altrettanto generale la convinzione che la più grande iattura che potrebbe
capitare al paese sarebbe quella di non riuscire a superare la prova mediante i
rimedi previsti dalla Costituzione. Il processo di delegittimazione del
sistema, che dovrebbe cominciare dal ripudio della Costituzione nella sua
ispirazione democratica, non si è allargato, nonostante la culpa in vigilando,
come direbbe un giurista, della nostra classe politica. Mi pare che il
qualunquismo nazionale, che pur esiste e con cui dobbiamo pure fare i conti,
contesti più gli uomini che il sistema. Badate, io non sono per temperamento un
ottimista. La nostra generazione ne ha viste troppe per credere di vivere nel
migliore dei modi possibili. Ma per quel che riguarda l’avvenire della
democrazia nel nostro paese, sono disposto a fare una scommessa. Certo occorre
un impegno severo. Soprattutto occorre non accontentarsi del già fatto. Bisogna
essere sempre scontenti, aprire nuovi varchi alla partecipazione dei cittadini,
al controllo dal basso, non avere paura di estendere il potere popolare a tutti
i livelli. È necessario rendersi conto che i difetti della democrazia si
correggono soltanto con la democrazia. Chi crede di correggerli in altro modo o
è uno che non ragiona o è un illuso. Se un giorno la storia gli dovesse dare
ragione, sarebbe il primo a pentirsene. Facciamo benissimo ad essere critici e
anche non indulgenti, ma dobbiamo anche essere tanto onesti da confrontare il
passivo con l’attivo, le ombre con le luci. E anche se il passivo dovesse
superare l’attivo, guai se ci lasciassimo prendere dalla tentazione di fare
tabula rasa, di ricominciare da capo. Una delle grandi virtù del metodo
democratico e quello di permettere di correggere gli errori del sistema senza
cambiare il sistema. L’autoregolazione del sistema è ciò che contraddistingue
un regime democratico da uno autocratico: una dittatura non può essere
corretta, può soltanto essere eliminata. Sono cose elementari, di cui credo la
maggior parte degli italiani, più o meno chiaramente, siano convinti. Ma
conviene ripeterle, perché nei momenti difficili qualcuno può di nuovo credere
alle scorciatoie. A causa del mio mestiere io sono continuamente in contatto
coi giovani. Sono persuaso della validità e della fondatezza della maggior
parte delle accuse che muovono a tutta la nostra classe dirigente (professori
inclusi). Non hanno peli sulla lingua. Sono ancora incorrotti e credono nella
incorruttibilità. Sono meno persuaso dalla scelta che alcuni di essi fanno dei
rimedi. Molti di essi credono nel fuoco purificatore. Ma la differenza fra il
fuoco purificatore e il fuoco distruttore non mi è chiara. E quasi sempre nella
storia l’uno si è convertito nell’altro. Preferisco il fuoco lento che scalda
senza bruciare. L’importante è non lasciarlo spegnere. L’importante è non
lasciarlo spegnere! Quest’anno l’anniversario del 2 giugno cade pochi giorni
prima delle elezioni generali politiche, di una competizione elettorale di cui
è vano nascondersi l’importanza. Le elezioni generali politiche sono l’ora
della verità di una Costituzione democratica. I pericoli permanenti di ogni
regime democratico sono due: l’indifferenza, ciò che i sociologi chiamano
l’apatia politica, e la manipolazione del consenso, ovvero la mancanza di
partecipazione e la partecipazione distorta da una propaganda informata allo
spirito della crociata, fondata sull’intimidazione, sul ricatto, richiamantesi
all’immagine dell’ultima spiaggia. Contro questi due pericoli l’unico rimedio è
in noi stessi, nella nostra maturità di cittadini, nell’impegno personale e
nella responsabilità individuale, nel rifiuto di delegare altri al nostro
posto. Alla democrazia non si confà lo spirito della crociata, perché dopo un
governo, se la democrazia è reale e non fittizia, ne viene un altro e dopo
quest’altro un altro ancora, senza che le linee maestre della Costituzione in
cui gli uni e gli altri operano debbano essere alterate. In una democrazia, se
questa costituisce il quadro generale in cui si muovono secondo le proprie
tendenze le varie forze politiche, non ci può essere mai l’ultima spiaggia. Chi
parla di ultima spiaggia vuol dire che ha già perduto la fiducia nella suprema
regola secondo cui, quale che sia il mutamento del governo, il sistema
generale, entro cui si muovono i vari organi predisposti al funzionamento della
macchina statale e alla formazione della volontà collettiva, non muta. Quale
migliore augurio possiamo formulare oggi nel trentesimo anniversario della
fondazione della Repubblica che quello di segnare con le prossime elezioni una
nuova tappa del faticoso e difficile cammino del rafforzamento e
dell’allargamento della nostra democrazia? Una nuova tappa cui ne seguiranno
altre nel progresso continuo e irreversibile verso una società più giusta e più
umana? Una tappa, non un traguardo. Credo che nulla sia più esiziale allo
spirito della democrazia che le visioni catastrofiche, le profezie
apocalittiche, gli appelli disperati, le invocazioni da fine del mondo, gli
ultimatum che preludono a una guerra di sterminio. L’unico modo per far vivere
uno stato democratico è quello di rispettarne il principio fondamentale secondo
cui il consenso deve essere periodicamente verificato e non vi è altro mezzo
per verificarlo se non la libera e consapevole espressione del proprio voto.
Attraverso il libero voto la Repubblica è nata trent’anni fa. Non morrà sino a
che continueremo a sostenerla col nostro libero voto. Dalla libertà è nata, di
libertà vivrà.
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