Ri-parto da
Filelfo o meglio dalla Sua straordinaria favola ecologica che ha per titolo “L’assemblea degli animali” (2020), pubblicata
da Einaudi. Ha scritto il “misterioso” Filelfo alle pagine 72-73 che “…si
crede di dover portare fuori il cane a mezzogiorno e a sera per i suoi bisogni
corporali, ma è un grave errore: sono i cani che ci invitano due volte al
giorno alla meditazione. In effetti non è mai chiaro, nelle rodate abitudini e
negli itinerari prestabiliti che accomunano uomini e cani a passeggio, chi
guidi e chi segua. È di solito un’impresa in cui il comando viene equamente
suddiviso: il cane detta il percorso, l’uomo i tempi, ma può accadere che l’uomo
cambi tragitto a capriccio o che il cane rivendichi per sopraggiunte esigenze
pause più lunghe. Adesso era tuttavia evidente che l’equilibrio di quell’accordo
vacillava e il cane aveva conquistato il maggior peso cosicché l’uomo gli aveva
conferito pieni poteri. (…)”. “Quello che i cani sognano” di Michele
Serra, tratto dal volume “Osso” – Feltrinelli
Editore, pagg. 128, euro 16, in uscita il 13 di maggio - riportato sul
settimanale “Robinson” del quotidiano “la Repubblica” dell’8 di maggio 2021: Non
sapremo mai dove si era rifugiato. E neppure sappiamo se davvero abbia sognato.
Ma è molto probabile che lo abbia fatto. Forse sognava la ciotola argentea
dentro la quale aveva trovato il cibo che lo aveva sfamato. Sognava quel
vecchio - dieci volte più grande di lui, un gigante ai suoi occhi - che aveva
lasciato la ciotola in mezzo al prato, e poi era sparito dentro la sua immensa
tana. Sognava l'uomo e la sua casa, che di notte faceva luce e dalla quale
uscivano rumori misteriosi e sconosciuti alle bestie, porte che si chiudono,
voci, musica, motori. I suoni della civiltà umana. Magari Osso era nato in una
casa, o in un cortile, e aveva già sentito suoni simili. Ma se gli uomini che
abitavano in quella casa lo avevano picchiato, o maltrattato, o abbandonato,
"casa" e "uomo" per lui non significavano protezione e
nutrimento, ma dolore e tradimento. Quando dormono, gli animali e gli uomini si
assomigliano molto. Il corpo, dopo tanto camminare, correre, sedersi, alzarsi,
piegarsi, finalmente è immobile. Solo il respiro e il battito del cuore dicono
che quella figura inerte è viva. Così viva che sta accumulando energia per il
tempo che verrà. Nel sonno si diventa orizzontali. Forse, per riposarsi meglio,
è necessario adagiarsi lungo la grande linea che separa la terra dal cielo.
(Solo il serpente è orizzontale anche da sveglio, e dev'essere proprio per
questa sua facoltà che molti diffidano di lui). Certi animali, anche quelli
mastodontici, così grandi che quando sono in piedi li vedi a un chilometro di
distanza, quando dormono quasi non si vedono. Il corpo di chi dorme è
abbandonato sul letto o sul divano, nell'erba della savana o in una grotta, su
un prato, sotto un albero, ovunque si senta al sicuro. La mente non deve più governare
i movimenti, decidere la direzione da prendere, e nel caso di noi umani non
deve più scegliere le parole da dire, compito molto faticoso. Quando si dorme
la mente è libera da impegni, è in vacanza, e comincia a girovagare. La mente
galleggia nel buio e quasi subito incontra luci impreviste. Sono ricordi
profondi, vicini e lontani. Possono essere di poche ore prima oppure
dell'infanzia, mescolati tra loro come se non avessero tempo. Possono essere
immagini di persone che non ci sono più, eppure qui parlano, sorridono, ti
abbracciano quasi fossero ancora insieme a te. E poi, nei sogni, ci sono molte
immagini mai viste, una specie di cinema a sorpresa, e al risveglio ci
domandiamo da dove sono arrivate. Non le avevamo mai vissute. Le abbiamo solo
sognate. Gli antichi credevano che quelle immagini fossero profezie:
anticipavano il futuro. Se erano luminose e serene, annunciavano la fortuna. Se
erano spaventose o tristi, annunciavano disgrazie. Quando facciamo un bel
sogno, ci svegliamo felici. Quando il sogno è brutto, fino a quando la realtà
non ha ripreso il sopravvento rimaniamo turbati. È così per gli uomini, è così
per i cani. Dunque, se immaginiamo che quella notte Osso abbia sognato il
vecchio, proprio mentre il vecchio stava sognando Osso, quasi sicuramente
abbiamo immaginato la verità. Si sognarono a vicenda, quella notte, l'uomo e il
cane. Ma torniamo al vecchio. Appena uscito dal suo sogno, e dopo essersi
lavato la faccia con manate d'acqua fredda, si vestì in fretta, mise il solito
giaccone, prese la torcia e andò nel prato. La ciotola era vuota. Anche quella
notte - la seconda - il cane aveva mangiato. Furtivo, quando non c'era nessuno.
Certo, potevano essere state le bestie del bosco. Ma il vecchio pensava che
fosse stato proprio Osso. Ne era quasi sicuro. Forse era ancora lì intorno.
Forse Lucilla, sabato, avrebbe potuto vederlo e strillare il suo nome. Mentre
la prima luce del giorno cominciava a dare rilievo alle cose del mondo, il
vecchio gridò il nome di Osso, ma niente si mosse, attorno a lui. Tutto era
fermo, misterioso. Tutto sfuggiva al suo controllo. Il vecchio, solo davanti al
bosco, percepì la grande potenza che gli stava di fronte. Da lì, da quel fitto,
da quelle ombre era arrivato Osso, e là dentro era tornato a nascondersi. In
piedi sul prato, davanti alla sua casa, il vecchio si sentì l'ultimo abitante
del mondo conosciuto, alle soglie di un mondo sconosciuto. Se voleva rivedere
Osso, poteva solo riempire una ciotola e aspettare. Cercare un cane piccolo e
spaventato in quel labirinto di alberi era un'impresa impossibile. Poteva solo
aspettare. Rimase per qualche istante a testa bassa, con gli occhi chiusi e le
braccia conserte. Sentiva l'aria fresca del mattino sfiorargli le tempie.
Respirò forte, e il respiro entrava e usciva dal suo corpo con la forza del
vento.
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