A lato. 1969. "Rue de Bourgogne" a Orléans".
Questa è una “storia” vera – ma “nera” – avvenuta al
tempo in cui la “infodemia” non aveva ancora infarcito a dovere le nostre povere
vite. A quel tempo non avevano grande cittadinanza le “fake news”, oggigiorno
di gran moda. E sì che di “bufale” ne esistessero anche al tempo di questa
terribile “storia vera ma nera”. La non presenza delle “fake news” in quell’anno
– 1969 – costringe l’illustre Autore, Carlo Lucarelli, a definirle molto più
semplicemente le “voci”. E narra la “storia vera ma nera” di quel tempo in “La violenza delle voci”, delle “voci”
per l’appunto, pubblicata sul settimanale “il Venerdì di Repubblica”
del 21 di maggio 2021: (…). Succede in Francia, a Orléans, nel
1969. Arrivano in aprile, con le prime brezze di primavera. Voci, appunto. È
sparita una ragazza. Era entrata in un negozio e non ne è uscita più. E non è
l'unica, è successo ad altre.
Giovani, carine, sono entrate in un negozio di
abbigliamento e sono scomparse, nessuno le ha più viste. E mica un negozio
solo, anche in altri, le ragazze entrano per comprare qualcosa e ciao. Le voci
si spargono, crescono, e all'inizio di maggio si trasformano, diventando
notizie. Finiscono sulla stampa locale, trafiletti, in principio, poi articoli
più approfonditi, perché nel frattempo si aggiungono dettagli. Le ragazze sono
tante, giovani e belle. I negozi sono boutique che stanno in Rue de Bourgogne.
Le ragazze entrano e vanno nelle cabine per provarsi un vestito. Lì vengono
stordite, qualcuno le droga con una iniezione narcotizzante. Le portano fuori
di nascosto e quando si risvegliano si ritrovano nelle mani di
un'organizzazione criminale che le immette nel giro della prostituzione. Tratta
delle bianche, si chiamava allora. Si aggiungono dei particolari, molto precisi
e sempre più inquietanti. Le ragazze drogate vengono portate fuori dai negozi
attraverso un reticolo di sotterranei che li collegano al fiume Loira, dove c'è
una barca che le aspetta. Rete, organizzazione, complotto. I negozi di Rue du
Bourgogne sono tutti di proprietà di titolari ebrei. La gente di Orléans ha
paura. Le voci trasformate in notizie cambiano ancora e diventano indagini. La
polizia verifica accuratamente, interroga, perquisisce, controlla. E non trova
niente. Perché non è vero. Non è scomparsa nessuna ragazza, non c'è stata nessuna
denuncia in quel senso, non esistono sotterranei, niente di niente. Erano solo
voci. Pesanti, però. La gente, spaventata, diserta i negozi di Rue de
Bourgogne, molti dei quali falliscono. Non solo, la gente, arrabbiata, un
giorno si riunisce davanti ad una delle boutique, ed è solo un miracolo se non
succede il peggio. Le voci di Orléans diventano un'indagine sociologica
importante, La rumeur d'Orléans di Edgar Morin. Vengono studiate anche nelle
altre città in cui si sono riprodotte, inossidabili e prolifiche come tutte le
leggende metropolitane. E continuano ancora. Pericolose, concrete e violente
come solo le voci sanno essere. Di
“voci”, di
“bufale”, di
“fake
news” che devastano in eguale misura le nostre vite ne ha scritto Michele
Serra in
“L'invidia per chi non sa
niente” pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” del 9 di maggio ultimo:
Se il
razzo cinese vi cade sulla testa potrebbe farvi molto male, e dunque, in
un'area di parecchi milioni di chilometri quadrati, sarebbe più prudente
rimanere in casa. Autorità coscienziose (di molti Paesi) ci hanno messo in
guardia sull'evenienza di rimanere vittime della conquista del cosmo anche se
stiamo andando dal panettiere a Pescara o a passeggio con il cane a Baku. Per
carità, fanno benissimo, e molti media hanno dato doveroso rilievo a questa
ulteriore probabilità di disgrazia, anche se infinitesimale. Solo che a volte
viene da chiedersi come sarebbe la vita del perfetto ignorante, in senso lato.
Uno che non sa nulla e non prevede nulla, e se il razzo cinese arriva proprio
sulla sua testa lo folgora mentre è felice e inconsapevole. Non solo non sapeva
che il razzo stava per cadere sulla Terra, non sapeva nemmeno che i cinesi
sparassero razzi, niente di niente, sapeva, e proprio in virtù di questo saper
niente conduceva una vita serena, mentre tutto attorno l'ansia
rode noi consapevoli. Indenni, ma rosi dall'ansia. Questo ipotetico nuovo
idiota dostoevskiano, questo Dersu Uzala attento solo ai venti, alla
temperatura, alla foresta, questa monaca che parla solo a Dio e niente più sa
della società umana, questo guardiano del faro che ha spento il wi-fi e guarda
le onde, questa creatura asociale e intatta: non è certamente il cittadino
modello. Non è informato, come amiamo dire noi informatori, e a ben vedere non
essere informati è la condizione in assoluto più escludente, nell'epoca del
web, dei social, dell'oceano di notizie che ci sommerge. Ma un filo d'invidia,
ditemi, non vi viene, pensando a lui, a lei, che si sveglia ogni giorno senza
tenere in alcun conto le cose che invece determinano l'umore di noi informati?
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