"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

lunedì 24 maggio 2021

Paginedaleggere. 19 «L'ansia rode noi consapevoli. Indenni, ma rosi dall'ansia».

 

A lato. 1969. "Rue de Bourgogne" a Orléans".

Questa è una “storia” vera – ma “nera” – avvenuta al tempo in cui la “infodemia” non aveva ancora infarcito a dovere le nostre povere vite. A quel tempo non avevano grande cittadinanza le “fake news”, oggigiorno di gran moda. E sì che di “bufale” ne esistessero anche al tempo di questa terribile “storia vera ma nera”. La non presenza delle “fake news” in quell’anno – 1969 – costringe l’illustre Autore, Carlo Lucarelli, a definirle molto più semplicemente le “voci”. E narra la “storia vera ma nera” di quel tempo in “La violenza delle voci”, delle “voci” per l’appunto, pubblicata sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 21 di maggio 2021: (…). Succede in Francia, a Orléans, nel 1969. Arrivano in aprile, con le prime brezze di primavera. Voci, appunto. È sparita una ragazza. Era entrata in un negozio e non ne è uscita più. E non è l'unica, è successo ad altre.

Giovani, carine, sono entrate in un negozio di abbigliamento e sono scomparse, nessuno le ha più viste. E mica un negozio solo, anche in altri, le ragazze entrano per comprare qualcosa e ciao. Le voci si spargono, crescono, e all'inizio di maggio si trasformano, diventando notizie. Finiscono sulla stampa locale, trafiletti, in principio, poi articoli più approfonditi, perché nel frattempo si aggiungono dettagli. Le ragazze sono tante, giovani e belle. I negozi sono boutique che stanno in Rue de Bourgogne. Le ragazze entrano e vanno nelle cabine per provarsi un vestito. Lì vengono stordite, qualcuno le droga con una iniezione narcotizzante. Le portano fuori di nascosto e quando si risvegliano si ritrovano nelle mani di un'organizzazione criminale che le immette nel giro della prostituzione. Tratta delle bianche, si chiamava allora. Si aggiungono dei particolari, molto precisi e sempre più inquietanti. Le ragazze drogate vengono portate fuori dai negozi attraverso un reticolo di sotterranei che li collegano al fiume Loira, dove c'è una barca che le aspetta. Rete, organizzazione, complotto. I negozi di Rue du Bourgogne sono tutti di proprietà di titolari ebrei. La gente di Orléans ha paura. Le voci trasformate in notizie cambiano ancora e diventano indagini. La polizia verifica accuratamente, interroga, perquisisce, controlla. E non trova niente. Perché non è vero. Non è scomparsa nessuna ragazza, non c'è stata nessuna denuncia in quel senso, non esistono sotterranei, niente di niente. Erano solo voci. Pesanti, però. La gente, spaventata, diserta i negozi di Rue de Bourgogne, molti dei quali falliscono. Non solo, la gente, arrabbiata, un giorno si riunisce davanti ad una delle boutique, ed è solo un miracolo se non succede il peggio. Le voci di Orléans diventano un'indagine sociologica importante, La rumeur d'Orléans di Edgar Morin. Vengono studiate anche nelle altre città in cui si sono riprodotte, inossidabili e prolifiche come tutte le leggende metropolitane. E continuano ancora. Pericolose, concrete e violente come solo le voci sanno essere. Di “voci”, di “bufale”, di “fake news” che devastano in eguale misura le nostre vite ne ha scritto Michele Serra in “L'invidia per chi non sa niente” pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” del 9 di maggio ultimo: Se il razzo cinese vi cade sulla testa potrebbe farvi molto male, e dunque, in un'area di parecchi milioni di chilometri quadrati, sarebbe più prudente rimanere in casa. Autorità coscienziose (di molti Paesi) ci hanno messo in guardia sull'evenienza di rimanere vittime della conquista del cosmo anche se stiamo andando dal panettiere a Pescara o a passeggio con il cane a Baku. Per carità, fanno benissimo, e molti media hanno dato doveroso rilievo a questa ulteriore probabilità di disgrazia, anche se infinitesimale. Solo che a volte viene da chiedersi come sarebbe la vita del perfetto ignorante, in senso lato. Uno che non sa nulla e non prevede nulla, e se il razzo cinese arriva proprio sulla sua testa lo folgora mentre è felice e inconsapevole. Non solo non sapeva che il razzo stava per cadere sulla Terra, non sapeva nemmeno che i cinesi sparassero razzi, niente di niente, sapeva, e proprio in virtù di questo saper niente conduceva una vita serena, mentre tutto attorno l'ansia rode noi consapevoli. Indenni, ma rosi dall'ansia. Questo ipotetico nuovo idiota dostoevskiano, questo Dersu Uzala attento solo ai venti, alla temperatura, alla foresta, questa monaca che parla solo a Dio e niente più sa della società umana, questo guardiano del faro che ha spento il wi-fi e guarda le onde, questa creatura asociale e intatta: non è certamente il cittadino modello. Non è informato, come amiamo dire noi informatori, e a ben vedere non essere informati è la condizione in assoluto più escludente, nell'epoca del web, dei social, dell'oceano di notizie che ci sommerge. Ma un filo d'invidia, ditemi, non vi viene, pensando a lui, a lei, che si sveglia ogni giorno senza tenere in alcun conto le cose che invece determinano l'umore di noi informati?

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