A lato. "Amicizia", penna ed acquerello (2021) di Anna Fiore.
Tratto da “Spazio
ai giovani che sanno cos'è la passione” di Umberto Galimberti, pubblicato
sul settimanale “D” del quotidiano “la Repubblica” del 17 di maggio dell’anno
2014: Scrive Goethe: «Mi è odioso ciò che mi istruisce, senza accrescere o
vivificare immediatamente, la mia attività». Il problema che (si) pone
è davvero importante e riguarda lavoro alienante e lavoro non alienante. Chiamo
"alienanti" quei lavori che non realizzano noi stessi, ma gli
obbiettivi degli apparati di appartenenza. Tali sono i lavori dei
metalmeccanici, delle commesse dei supermercati, degli impiegati negli uffici,
delle collaboratrici domestiche, degli operatori ecologici, di quanti operano
nei call center, dove non vedo altra motivazione per l'impegno nel lavoro che
non sia lo stipendio. Poi ci sono lavori "non alienanti", tali perché
chi li esercita realizza se stesso, la propria vocazione, la propria passione.
E questo, oltre a essere un privilegio, è senz'altro un compenso decisamente
superiore a quello rappresentato dallo stipendio. Vale per i musicisti, gli
attori, gli artisti delle arti figurative, gli scrittori, e perché no: gli
insegnanti, i ricercatori, professori universitari, i medici, i giornalisti e
via elencando. In una società che ci prevede sempre più
come funzionari di apparati e sempre meno come persone, che ci fa lavorare
sempre più spesso per gli scopi che si propongono "altri" (questo è il
senso della parola "alienazione"), chiedendoci esclusivamente
efficienza e produttività, trascurando il bisogno naturale presente in ciascuno
di noi che è l'autorealizzazione, chi è sottratto alla condanna di vivere
quotidianamente una vita non sua non dovrebbe ignorare questo privilegio e
sacrificarlo per rivendicazioni monetarie che non pagano quanto paga una vita
che garantisce la possibilità di essere se stessi e di potersi esprimere
secondo la propria vocazione. Ma per questo ci vuole passione e non solo
abilità e competenza. Ciò significa che occorre una drastica selezione che
consenta di non arruolare insegnanti demotivati, medici più attenti al profitto
che ai pazienti, artisti più amanti dei compensi che della loro arte. Poi ci
sono i giovani, spesso più bravi degli arruolati, e più motivati
dall'entusiasmo che dalla remunerazione. Perché lasciarli ai margini o
utilizzarli con compensi da fame, in sostituzione di professionisti demotivati
che non perdono occasione pur di non essere sul posto del loro privilegiato
lavoro? C'è un ultimo aspetto (…) che richiama il senso di responsabilità. Gli
operatori della cultura sono responsabili del livello culturale del nostro
Paese. E com'è che noi italiani, pur disponendo di un patrimonio artistico e
culturale che ci invidia tutto il mondo, nelle classifiche europee occupiamo
posti di mezzo, quando addirittura non di bassa classifica? Si fa ancora fatica
a capire che dal livello culturale di un Paese dipende anche la sua ricchezza e
le sue possibilità di crescita. E se questo non avviene, di chi è la colpa se
non del basso profilo dei nostri operatori culturali? Qui veniamo al punto più
dolente della nostra struttura sociale, che non presta sufficiente attenzione
alla scuola, all'istruzione, all'educazione. Perché non può esserci futuro per
la musica, per il teatro, per l'arte, se queste discipline sono praticamente
assenti dalla nostra scuola e la maggior parte della popolazione è del tutto
estranea a questi mondi. La tv, solo per citare un mass media pervasivo, ha
grandi responsabilità in questa mancata educazione di massa, senza la quale
riempiremo gli stadi, ma non pinacoteche, teatri e sale da concerto.
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