Tratto da “Cari
medici, non basta mettere quiete nella vostra coscienza” di Umberto
Galimberti, pubblicato sul settimanale “D” del quotidiano “la Repubblica” del
13 di maggio dell’anno 2017: Interruzione di gravidanza e pillola
abortiva: nel rapporto con i pazienti ricordate di essere servitori della
salute pubblica. Lasciamo perdere le tonache, nere, viola, rosse, bianche che,
a partire dalla loro visione religiosa del mondo, esprimono una morale che, a
differenza di quel che accadeva un tempo, può essere accolta o rifiutata in
tutta libertà. E volgiamo invece la nostra attenzione ai camici bianchi che si
astengono da alcuni atti medici, come l'interruzione di gravidanza, la
sterilizzazione, la prescrizione della pillola abortiva, in base a motivazioni
del tutto extra-mediche che fanno riferimento esclusivo alla loro personale
coscienza, le cui scelte hanno naturalmente conseguenze anche gravi sulla vita
di chi ne fa richiesta. La cultura medica ha fatto un passo avanti quando ha
tematizzato il rapporto medico-paziente ("tematizzato" significa che
sono apparsi molti studi e si sono organizzati molti congressi che avevano come
tema il fatto che l'arte medica non ha a che fare solo con un organismo, ma
anche e soprattutto con un soggetto). Questo rapporto duale medico-paziente,
anche se non è sempre e ovunque attuato, è una cosa buona, perché è vero che la
medicina ha a che fare con l'oggettività dell'organismo, ma non può trascurare
il fatto che in questa oggettività è iscritta la soggettività di una persona.
L'organismo è l'elemento oggettivo, ma è il soggetto a essere in gioco. E
tuttavia il rapporto medico-paziente non esaurisce la responsabilità del primo,
perché questa non è mai esclusivamente "personale", ma anche
"sociale". E ciò è dovuto al fatto che, in quanto mandatario della
società, il medico è un servitore della salute pubblica, e pertanto la sua
coscienza, oltre che della soggettività del paziente, deve farsi carico anche
della società. Come peraltro già accade nella medicina preventiva, nella
pratica delle vaccinazioni, nell'isolamento delle malattie infettive e in altri
casi analoghi. Ora, può accadere che l'etica della responsabilità sociale possa
dare ordini diversi rispetto all'etica personale. E questo sia su vasta, sia su
piccola scala. Su vasta scala la sfera riproduttiva, per esempio, non è mai una
questione esclusivamente privata dell'interessato e neppure del medico e della
sua coscienza. Infatti sappiamo tutti che l'eccessiva esplosione su scala
mondiale della popolazione è il principale problema dell'umanità, passata dai
due miliardi degli anni '50 del secolo scorso agli attuali sette miliardi. E
ciò ha determinato la progressiva distruzione dell'ambiente, il degrado della
biosfera dovuto all'aumento dei consumi e all'incremento della tecnica
necessaria per nutrire tutti, con la prospettiva della miseria di massa di
un'umanità affamata e col rischio che l'istinto di sopravvivenza, il più
primitivo degli istinti per cui o vivo io o vivi tu, metta fuori gioco tutte le
etiche umane faticosamente conquistate nel corso dei secoli. Questa
responsabilità a lungo termine, che forse non è così lontana, è presa in
considerazione dalla coscienza personale del medico? O anche qui scatta
l'obiezione di coscienza? Al di là di questi scenari apocalittici, ma non
improbabili e tantomeno remoti, su piccola scala mi chiedo se i principi che
regolano le decisioni del medico in base alla sua coscienza (principi che sono
poi le sue convinzioni, frutto dell'educazione, della morale personale o della
fede) si fanno carico degli effetti della decisione che ne consegue? O sono
principi che soddisfano unicamente la coerenza della propria coscienza
personale che non si fa carico minimamente delle condizioni di miseria di chi ha
già molti figli nell'indigenza, della tragedia delle gravidanze in età
adolescenziale, dell'infelicità futura di feti affetti da malattie ereditarie,
delle conseguenze di interventi non professionali a causa del rifiuto di
intervenire da parte di troppi medici, ai quali basta la quiete della propria
coscienza che non si fa minimamente carico della responsabilità che assume nei
confronti degli altri come conseguenza dei suoi atti mancati. E quando l'etica della responsabilità sociale dà ordini
diversi rispetto all'etica personale, perché è quasi sempre la prima a
essere sacrificata da parte di medici, che tra l'altro dimenticano di essere
servitori della salute pubblica?
"Agisci in modo da considerare l'umanità, sia nella tua persona, sia nella persona di ogni altro, sempre anche come scopo, e mai come semplice mezzo".(I.Kant). "Il primo passo nell'evoluzione dell'etica è un senso di solidarietà".(Albert Schweitzer). "La grande ricchezza dell'umanità sta nella solidarietà".(Adolfo Perez Esquivel). "Difendere i diritti degli altri è il fine più alto e nobile di un essere umano".(Khalil Gibran). "Non c'è uomo che non ami la libertà, ma il giusto la esige per tutti, l'ingiusto solo per sé".(Ludiwig Boerne). "La libertà di ognuno ha per limite la libertà degli altri".(Alphonse Karr). "L'egoismo non consiste nel vivere come ci pare, ma nell'esigere che gli altri vivano come pare a noi".(Oscar Wilde). Grazie, carissimo Aldo, per questo post eccezionale, la cui interessantissima lettura mi ha indotto a riflettere molto... Buona serata e buona continuazione.
RispondiElimina