A lato. "Raggio di sole", acquerello (2021) di Anna Fiore.
Tratto da “Dopo 40 anni ho finalmente aperto gli occhi” di Claudia de Lillo – in arte Elasti -, pubblicato sul settimanale “D” del quotidiano “la Repubblica” del 10 di maggio dell’anno 2014: È un perverso tarlo che si è insinuato in me nella più tenera infanzia. Un tarlo spocchioso, ottuso e settario di cui non conosco i perversi e nefasti effetti. Ho cominciato a coltivarlo da piccola e, per abitudine e stupidità, ho continuato a nutrirlo crescendo. E ora che sto dentro un guado a metà della mia strada, mi ritrovo a guardarlo negli occhi e a prendere finalmente coscienza della sua insulsaggine. Ma torniamo indietro.
Quando
ero in terza elementare, consideravo i bambini di prima e di seconda creature
insulse e indegne della mia attenzione. Per non parlare dei botoli della
materna, appena qualche centimetro sopra gli invertebrati, nella scala
dell'evoluzione. Tutta colpa del tarlo che mi istillava, anno dopo anno, classe
dopo classe, la convinzione che solo i coetanei e i pari fossero interlocutori
meritevoli e alla mia altezza. Quattordicenne, guardavo i dodicenni con
l'interesse che riservavo alle briciole della merenda, durante l'intervallo a
scuola. Ventenne e navigata, nutrivo un irritato sospetto nei confronti dei
diciottenni neopatentati e neovotanti. «Pfui! Sono piccoli», commentavo
sprezzante, lasciandomi dietro le spalle, man mano che diventavo grande,
schiere sempre più numerose di potenziali compagni di strada e avventure. Il
piano di sopra, inteso come l'insieme dei più vecchi di me, mi metteva
soggezione. Erano tutti - i grandi - troppo saggi, colti, disinvolti, esperti,
talentuosi e troppo intimidenti per essere frequentabili con serenità. Così, il
mio tarlo ed io, ce ne stavamo lì, al centro dell'universo, prevenuti e
ripiegati su un intorno del nostro anno di nascita, chiusi e selettivi,
stoltamente convinti che il nostro posto fosse accanto a quelli come noi, che
avevano visto gli stessi cartoni animati, cantato le stesse canzoni di Sanremo,
guardato le stesse pubblicità, mangiato le stesse merendine, condiviso gli
stessi languori nelle stesse epoche, e che, un giorno, lo stesso nostro,
sarebbero imbiancati e invecchiati. Poi ho compiuto quarant'anni. Ed eccomi in
quella terra di mezzo, equidistante dagli estremi, accompagnata nel mio viaggio
da una fitta folla di residenti sopra, sotto e accanto a me. Una fitta folla
che non posso più ignorare perché composta da colleghi, affetti, amici e
partner di amici, conoscenze sempre più strette, scoperte divenute
irrinunciabili. Una folla che non voglio più ignorare perché, lì dentro, ho
trovato mondi meravigliosi e necessari, anche se sono lontani e non conoscono
Maledetta primavera e La famiglia Bradford. Mi ci sono voluti otto lustri e
anche qualcosa di più ma finalmente ho ammazzato il tarlo, ho buttato i
pregiudizi generazionali nel cassonetto e ho aperto gli occhi. E ho chiacchierato
a lungo con Viola che ha sedici anni e una curiosità candida e insieme puntuta.
Passo i miei dopocena insieme alla ragazza alla pari americana che vive
temporaneamente a casa nostra. Lei di anni ne ha venticinque, è saggia e
ironica, rassicurante, disarmata e ascoltarla mi incanta. Raccolgo storie
coraggiose e deprimenti di trentenni che hanno sogni uguali ai miei, ma un
ambiente ben più ostile in cui realizzarli. Mi accorgo che i cinquantenni, che
un tempo guardavo di nascosto con il cannocchiale, sono esattamente uguali a me
e che vorrei somigliare alla mia amica Mariella, che ha appena 62 anni e ha un
umorismo acuto e inimitabile. Mio papà aveva 70 anni e, se ripenso a lui, uno
così me lo sarei scelto come amico e non solo come genitore. Il tarlo è morto.
Io devo recuperare il terreno perduto, per colpa sua. «Guarda che i ventenni
sono fantastici! I trentenni poi… ce ne sono alcuni geniali». «Ti senti bene,
Elasti?». «Mai stata meglio! Ho finalmente scoperto che l'importante è avere in
comune la visione del mondo. L'età è del tutto ininfluente». «Stai pensando a
un toy boy?». «No, non credo. Guardo con interesse anche a quelli più grandi».
«Mi fai paura». «Tranquillo. Ho solo fatto fuori il tarlo». «Mi fai ancora più
paura».
"Certe affinità non hanno una logica, in un attimo si crea un ponte fra due anime e senza farsi domande ci si ritrova a percorrere insieme il viale dell'amicizia... Ma accade solo con persone speciali".(Mena Lamb). "Nell'amico c'è qualcosa di noi, un nostro possibile modo di essere,il riflesso di una delle altre identità che potremo assumere".(Andrea De Carlo). "Era solo una volpe come centomila altre.Ma ne ho fatto il mio vero amico, ed ora è unica al mondo".(Antoine de Saint-Exupery). "Ditemi: l'amore è compreso nell'amicizia o l'amicizia nell'amore?" (Gotthold Ephraim Lessing). Carissimo Aldo, comunemente accade che il fatto di assomigliarsi, di condividere l'appartenenza alla stessa cultura, alla stessa generazione, religione o altro siano motivi decisivi affinché nasca un rapporto di amicizia tra due persone. Ma Socrate non è d'accordo,perché per lui l'amico è "colui che ha ciò che io non ho". Quindi bisogna riconoscere che spesso l'amico ci risveglia, ci destabilizza, mettendo in discussione le troppe certezze e le abitudini consolidate che ci impediscono di liberare l'energia compressa dentro di noi. Ci sono amici che ci aiutano a percorrere strade nuove e inesplorate, lungo le quali potremo scoprire che la relazione piena e la diversità possono essere condizioni essenziali per la ricerca della felicità. Grazie per questo stupendo post e buona continuazione.
RispondiEliminaAmica carissima, grazie per le puntuali, "documentate" tue riflessioni. Ed il prezioso pensiero di Socrate, che hai riportato, aiuteranno non poco a rivalutare l'amicizia oltre le personali "costruzioni" mentali.
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