La scrittrice Elvira Seminara con “Web o delivery: le vite reinventate con la
quarantena” – pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” nella edizione di
Palermo del 29 di aprile 2021 - porta a termine il Suo periplo tra le “sfere
emotive” o meglio tra “i sentimenti della pandemia” dedicando
questo tratto ultimo alla sfera della “creatività”, dopo aver scandagliato,
da par Suo, le sfere dell’“invidia”, della “nostalgia”,
dell’”isolamento”,
della “noia” e della “compassione”: (…). Lo abbiamo
capito con la pandemia: siamo esseri trasformativi, e può salvarci la
creatività. Fra i sentimenti ridisegnati dal Covid, è quello più giocoso e
salutare. Nel primo lockdown è stata l'inventiva a riscattarci, a trasformare
il pericolo in meraviglia, l'angoscia in attesa, la solitudine in malinconia
condivisa. La creatività aiuta, conforta, sublima la rabbia e la tristezza, ma
soprattutto riempie i vuoti e il tempo scardinato. Questo lo sapevamo già, sin
da bambini. Ma ci voleva una pandemia, con la clausura e poi i divieti, il
sequestro dei corpi e la socialità amputata, a dimostrarci che siamo tutti
creativi, non solo per talento ma per necessità. Sopravvivenza. La creatività
infatti vuole essere condivisa. (…). Principiante e vip, dilettante o esperto,
maniacali o inetti, ossessivi o improvvisatori, è così: ogni artista vuole
esser visto, ancor meglio da tanti, on line, e un giorno scopriremo, ahimè, il
danno ambientale inflitto dalla massa di video lanciati incautamente
nell'etere. Tant'è. Questa gagliarda Covideomania non ha risparmiato nessuno, e
ci siamo trovati a recitare davanti al nostro Iphone bollente Dante, Manzoni e
Camus, ma anche Asimov e Huxley (…), o a produrci in sketch domesticomici a
beneficio di un pubblico intimo ma sconosciuto. Che gusto ci sarebbe a fare il
pane in casa, d'altronde, se non puoi commentare e perfezionarti con altri?
Dove trarre consigli per ricette e fornitori di lieviti? Abbiamo capito che il
gruppo on line è persino più forte di quello cosiddetto fisico, e può dare
sostegno, fantasia, distrazione, conforto. Abbiamo toccato con mano che il
cosiddetto virtuale non è affatto virtuale, ma ha una sua realtà forte e
coinvolgente, infatti faticosa. Abbiamo imparato che si può "toccare con
gli occhi". E quella on line è una forma parallela di comunicazione che
può creare legami, dipendenza, ma anche innovazione. Mai visti tanti amori e
rapporti nati e solidificati sul web, dicono gli osservatori. Mai viste, anche
e per fortuna, tante prove e iniziative di trasformazioni del lavoro. Secondo
un'accreditata scuola di pensiero ogni cataclisma naturale o sociale crea
movimento e rigenerazione, come reazione della comunità al danno. (…). Per la
pandemia abbiamo dovuto reinventare il nostro lavoro, o comunque dilatarlo in
aree ancora inesplorate con siti web, vendita on line, consegna a domicilio,
vendite con asporto (…). Abbiamo riconvertito alberghi e strutture spopolate in
nuovi spazi per smartworking, o vacanza-lavoro, creato corsi on line anche su
cose impensabili, dal pilates al lavoro a maglia, dal maquillage al verde in
terrazza, ma anche nuove competenze, per trasformare la casa in spazio
polivalente, insieme intimo e pubblico, aziendale e familiare. E poi il teatro
e il cinema in edizione da tasca, per il cellulare. Le librerie si sono
trasformate in centri di produzione e diffusione culturale a tutto campo, tra
spedizioni e corsi a domicilio, e i vivaisti hanno fatto come i librai, perché
anche le piante nutrono e fanno compagnia, e si sono specializzati in consegne
personalizzate e narrazione botanica. La nostra narrazione si è espansa, si è
fatta più ricca e ardimentosa. Qualcosa è andato bene, qualcosa meno ma tanto
altro deve ancora cominciare. (…). Vorrei concludere questa traversata insieme,
lunga sei tappe, con l'assolata Summer in solitary beach di Franco Battiato.
Sentendo l'eco di un cinema all'aperto, sulla sabbia, e un grido copre le
distanze. Mare. Mare. Ha scritto
Umberto Galimberti in “Da dove nasce
la sofferenza che molti lamentano in questo tempo di pandemia?”, pubblicato
il 1° di maggio 2021 sul settimanale “D” del quotidiano “la Repubblica”: Dall'orizzonte
entro il quale abbiamo deciso di misurarla. (…). Con che cosa ci si confronta?
Con le vite che facevamo prima, con i loro ritmi e le loro abitudini che magari
ci annoiavano e talvolta ci soffocavano, ma che ora desideriamo, come gli
studenti che prima della pandemia si rallegravano ogni volta che per qualche
ragione le scuole chiudevano e ora, davanti ai loro istituti, chiedono a gran
voce di riaprirli? Per uscire dal cerchio ristretto del nostro orizzonte, che
abbiamo assunto come misura della nostra sofferenza, proviamo a confrontarci
con un orizzonte più ampio quale è quello offertoci da questa lettera che ho
ricevuto nel febbraio scorso. Forse ci può aiutare. «Ieri a Claviere ho
incontrato una famiglia afghana, marito, moglie e due bambini di 3 e 4 anni che
alle sei di sera quando ormai era buio si incamminavano sulla montagna per
andare verso la Francia. Nevicava e a valle c'erano già 50 cm di neve, il
termometro segnava -2, tutti camminavano silenziosi e i bambini venivano presi
in braccio quando la neve superava il ginocchio. Avevano camminato prima nei
boschi della Bosnia, della Croazia e della Slovenia per mesi e dopo 15
tentativi andati a vuoto erano riusciti ad entrare in Italia. Li ho rivisti
oggi a Briançon in Francia e mi sono chiesto: Quale fiducia vi ha spinto? È
stata la forza della disperazione o quella della speranza a farvi camminare?
Come avete fatto a non scoraggiarvi? Come avete fatto con i bambini, a
trasmettergli serenità e fiducia? Invece, niente, come se il loro viaggio fosse
qualcosa di normale. Ci sono persone che meriterebbero un riconoscimento,
mentre noi ci ergiamo a protagonisti di una storia che altri vivono
quotidianamente nella piena normalità della vita». F*** F***
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