Due anni addietro, il 25 di maggio dell’anno 2019,
Vittorio Zucconi ci lasciava. Mi garba ricordarlo proponendo la lettura del Suo
“La mia droga si chiama Wall Street”,
pubblicato sul settimanale “D” del quotidiano “la Repubblica” del 3 di
settembre dell’anno 2016: C'è un vizio che pochi hanno e dal quale
pochissimi si disintossicano. Non si beve, non si fuma, non si annusa, non si
inghiotte, non si inietta e spesso neppure si tocca con le mani perché si
manifesta soltanto in numeri sulla schermata di un computer: è il vizio del
danaro. Chi lo contrae esibisce il sintomo classico di tutte le
tossicodipendenze: il fix, la dose non basta mai. Più se ne ha, più se ne
vorrebbe avere. È un vizio che molti vorrebbero avere, sognando il colpo grosso
alla lotteria, l'eredità di un ricco parente, la fortuna nel commercio e mi
sembra di sentire i sospiri, di vedere gli occhi rivolti al cielo di chi è
quotidianamente alle prese con i conti, le bollette e la spesa e ora teme di
sentirsi ripetere il frusto luogo comune sul danaro che non fa la felicità. Ma
ascoltate, prima di sbuffare, la storia di Sam Polk, un uomo di quarant'anni
che l'ha raccontata in un libro di memorie, Per amore del denaro. Fresco di
università a New York, Sam, che pure era stato un pessimo studente, fu assunto
da una banca e messo a lavorare nel settore dei prodotti finanziari più
rischiosi, ma anche più remunerativi. Alla fine del suo primo anno ricevette un
bonus, in pratica una parte del bottino, di 250 mila dollari. Soldi come non ne
aveva mai visto prima. Spiccioli, rispetto a quello che lo attendeva. Il bonus
continuò a crescere, anno dopo anno, fino a raggiungere 3 milioni e mezzo. Fu
una cifra che lo fece infuriare. Altri suoi colleghi avevano ricevuto cinque,
sei, anche dieci milioni e Sam marciò nell'ufficio del megadirettore e
distributore di bonus per fare una piazzata, risultata inutile. E la sera,
tornando nell'appartamento di Manhattan da 10mila dollari al mese, sgombrato
dalla fidanzata che si era stancata del suo vizio, ebbe una rivelazione: ho 40
anni, sono solo, vivo con un gatto che lei non ha voluto e che ignora, lavoro
dalle cinque del mattino a mezzanotte e sono sconvolto perché quest'anno ho
guadagnato "soltanto" tre milioni e mezzo. Sono un tossico. Sam
lasciò la banca. Seguendo il consiglio della terapeuta che l'aveva avvertito
spiegandogli semplicemente che ci sarebbe sempre stato qualcuno che avrebbe
avuto più soldi di lui, si trasferì a Los Angeles, per essere il più lontano
possibile da Wall Street. Con i milioni accumulati creò due start up senza fine
di lucro, dedicate a recuperare e distribuire alimentari ai bisognosi e a
educare i poveri all'alimentazione corretta, perché sono i poveri, e non sembri
un paradosso, i più obesi. Ingrassano, soprattutto i bambini, mangiando
porcherie per sentirsi sazi di grassi e di zuccheri. Sam non si considera un
apostolo, un santo, un profeta, ma soltanto un ex tossico che deve lottare ogni
giorno contro il richiamo del vecchio vizio. Si è sposato, ha una bambina e ha
affidato alla moglie tutta l'amministrazione delle sue società non profit e gli
investimenti dei soldi di famiglia e di quelli dei donatori, per stare lontano
da quei siti online e da quelle schermate delle finanziarie che, come sirene,
lo invitano suadenti a tornare fra di loro. «Non passa giorno nel quale non
senta la voglia di provare ancora lo sballo di una puntata in Borsa, di una
speculazione, di un azzardo per fare soldi. E so che potrei farne ancora
tanti». Ma come l'alcolista tornato sobrio che sta alla larga dalla taverna, così
Sam sta lontano dalla finanza. «Un investimento riuscito, oggi per me, è vedere
una famiglia di immigrati senza documenti che riesce a nutrirsi senza
imbottirsi la pancia di cheeseburger. Sapere che forse ho salvato un bambino
dal diabete». Ha scritto che il vizio del danaro è un pozzo che non si può mai
colmare, perché nessuno sa dove sia il fondo, quanti soldi siano abbastanza
soldi e più se ne hanno più se ne vorrebbero avere. Sam Polk ha ritrovato,
lasciando il bordo del pozzo, non la felicità, ma «la mia umanità, nella
umanità degli altri». Un bell'esempio, il suo, di persona che ha saputo
staccarsi dalla ricchezza. Con un piccolo problema, tuttavia. Che per saper
rinunciare al denaro, prima si dovrebbe averlo.
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