"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

venerdì 21 maggio 2021

Cronachebarbare. 89 «Non darla vinta all’Italietta furba e piagnona».

 


Ha scritto Michele Serra in “Contro l’Italietta furba e piagnona”, pubblicato sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 7 di maggio 2021: (…). …sintesi della situazione. Ci si affida a un Principe (Draghi) perché ci si ritiene troppo divisi e troppo impreparati per reggere l’urto della crisi. Una specie di auto-commissariamento. Ma forse è solo un modo per rinviare i conti con noi stessi, come facciamo dai secoli dei secoli (vedi l’obbrobriosa incapacità di fare i conti fino in fondo con la nostra caduta più tragica, che è il fascismo). Il nugolo di consorterie e corporazioni che chiamiamo Paese non è in grado di esprimere un vero “comune sentire”, tanto meno una prassi condivisa. Arriveranno una caterva di quattrini e la vera impresa sarà gestirli senza che sia la legge del più forte (la mafia più forte, la corporazione più forte) a decidere la spartizione. Essere pessimisti è inevitabile, ma essere ottimisti è un dovere. Bisogna sperare che a prevalere siano le persone e i partiti più responsabili e che quel poco (ma non pochissimo) di spirito repubblicano messo faticosamente assieme in tre quarti di secolo prevalga. Non siamo una società coesa, non lo siamo mai stati, ma qualche anticorpo contro i nostri vizi forse lo abbiamo sviluppato. Per dirla nella maniera più semplice, conosco persone che hanno affrontato la pandemia e la crisi economica subendo colpi anche duri, ma senza sgomitare, senza chiedere privilegi, senza pretendere che i loro problemi dovessero avere la precedenza su quelli degli altri. Non so dire se queste persone siano maggioranza o minoranza, ma esistono: sono coloro che hanno vissuto in modo “sociale”, non egoista, questo difficilissimo anno. Su di loro dobbiamo fare affidamento. E non darla vinta all’Italietta furba e piagnona. E chi se non il – “soi-disant” – “governatore” di quella che è stata la Campania “felix” può essere assunto ad emblema di quella “Italietta furba e piagnona” del Michele Serra? Di quella “Italietta Furba” che, pur nella sua alta veste di rappresentanza, abroga regole e quant’altro non gli interessi per ricevere il tanto sospirato vaccino anti-Covid, alla “faccia” del popolo bue. O quando il grottesco personaggio conferma l’incontestabile suo primato in una delle sue recentissime “uscite” pubbliche additando al pubblico ludibrio gli sfaccendati o i fannulloni che popolerebbero – a suo insindacabile dire – le ubertose contrade di questo disastrato, malmesso bel paese. Le sue imprese anche recenti ne confermano l’infinito suo spessore di improvvisatore d’avanspettacolo. Ha scritto Silvia Truzzi in “Mancano i camerieri. Ovvio: sono tutti sul sofà, fannulloni!” pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 19 di maggio ultimo: Chi se lo fa il sofà? I pelandroni che non hanno voglia di lavorare! Cari lettori, voi non sapete che effetti drammatici ha sull’economia quest’oggetto dei desideri dei fancazzisti di tutto il mondo. Danni incalcolabili. Sentite qua: “Non si trovano più camerieri e lavoratori per le attività stagionali, per questo alcune attività non riapriranno. Bene, questo è uno dei risultati paradossali dell’introduzione del Reddito di cittadinanza. Se mi dai 700 euro al mese e vado a fare qualche doppio lavoro non ho interesse ad alzami alle sei e ad andare a lavorare in una industria di trasformazione agricola”. Uno pensa: l’avrà detto Briatore. Invece no, è un pregevole distillato di una delle ultime dirette Facebook del presidente della Campania, Vincenzo De Luca. Come i compagni del Pd si approcciano alle questioni del lavoro non c’è nessuno. È noto che tra i percettori del Reddito di cittadinanza quelli che arrivano a prendere 700 euro sono pochissimi, ma a parte questo è una bugia malevola dire che le misure di sostegno alla povertà siano un incentivo a non lavorare. Se ne sono accorti perfino negli Stati Uniti, che non sono esattamente la patria dello Stato sociale. Leggiamo sul Corriere che a Stockton, città di 300 mila abitanti della Central Valley agricola della California, l’ex sindaco Michael Tubbs “ha iniziato quasi due anni fa, nel 2019, a versare 500 dollari al mese a 125 famiglie indigenti”, esaminando i loro comportamenti e confrontandoli con quelli di altre famiglie in condizioni analoghe che non avevano ricevuto il sussidio. Risultato: le famiglie hanno usato il denaro in modo costruttivo (37% per acquistare cibo, l’1% per alcolici), riducendo il loro indebitamento e sfruttando meglio le occasioni di lavoro: all’inizio del programma solo il 28% dei beneficiati aveva un lavoro fisso a tempo pieno, alla fine questa quota era salita al 40% mentre il numero delle famiglie che stanno rimborsando i loro debiti è salito dal 52 al 62%. Dice l’ex sindaco: “Il principale risultato del nostro esperimento è la dimostrazione che aiutare i più poveri con distribuzioni di denaro non spinge la gente a lavorare di meno ma di più”. Questi risultati sono analoghi a quelli di esperimenti simili svolti in mezzo mondo. E mentre la pandemia ha cambiato l’atteggiamento dell’opinione pubblica e della politica perfino Oltreoceano (tanto che Biden ha varato programmi di sostegno al ceto medio impoverito dalla crisi), qui ci tocca sentire discorsi irricevibili sulla mancanza di camerieri. Sussidi sul modello del reddito di cittadinanza sono previsti dalla Costituzione che, all’articolo 38, garantisce non solo gli inabili al lavoro ma anche i cittadini involontariamente disoccupati, infortunati e invalidi. Non è che abbiamo la mania della Costituzione, è che essendo la Costituzione medesima la legge fondamentale della Repubblica, ci pare rilevante che il reddito di cittadinanza abbia il suo fondamento nella norma principe del nostro ordinamento. E anzi: è grave che sia stata attuata con settant’anni di ritardo. Due sentenze sul principio di solidarietà che sta alla radice di questi diritti (la 409 del 1989 e la 75 del 1992) spiegano bene quel che vogliamo dire: “Il principio solidarista è posto dalla Costituzione tra i valori fondanti dell’ordinamento giuridico, tanto da essere solennemente riconosciuto e garantito insieme ai diritti fondamentali e inviolabili dell’uomo, dall’articolo 2 come base della convivenza sociale normativamente prefigurata dal costituente”. Ai tempi del dibattito sul reddito, nel 2018, Lorenza Carlassare spiegò: “L’avverbio ‘normativamente’ sta a significare che non siamo di fronte a un’esortazione generica, ma che la struttura normativa del sistema deve essere ispirata a quel principio. Principio indissolubilmente legato al valore primario su cui si fonda la Costituzione intera: la persona e la sua dignità”. Capito, Vincè? Ma cosa ci vogliamo fare: è la solita “solfa” sentita e risentita in tutte le stagioni della “tintarella” o meglio, nell’era del Covid, delle “ripartenze”.

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