A Lato. "Roma turrita", penna ed acquerelli (2021) di Anna Fiore.
Ha chiuso Umberto Galimberti il Suo “La denatalità e la debolezza delle nuove generazioni”, pubblicato sul settimanale “D” del quotidiano “la Repubblica” del 22 di maggio 2021 e di seguito riportato, così:
“Ma qual è l’orizzonte di
riferimento che misura il disagio? Il nostro mondo abbastanza privilegiato
rispetto ad altri mondi? I nostri giovani che si lamentano della didattica a
distanza che limita la loro socializzazione, sono capaci di allargare il loro
orizzonte e misurarsi con i loro coetanei siriani o afgani che da decenni
vivono sotto le bombe, per non parlare degli africani che vengono da noi?
Perché se non sono capaci di ampliare l’orizzonte, ma solo di lamentarsi della
loro condizione, è la loro debolezza ormai costituzionale che concorre a non
aprire ai loro occhi un futuro”. È stata la discreta segnalazione dell’amica
carissima Agnese A. – quasi una cortese Sua sollecitazione ad interessarmi dello
scritto di Umberto Galimberti - a spingermi a pubblicarne il testo nella
stesura sua integrale. Gradisco però, volendone fare un omaggio all’amica
carissima, far precedere lo scritto di Umberto Galimberti da un recentissimo
scritto dell’ex priore di Bose Enzo Bianchi – “Tendenza sterilità” - pubblicato sul quotidiano “la Repubblica”
del 17 di maggio ultimo; ovvero, il pensiero a confronto di due grandissime
personalità, di due visioni dell’essere, con un unico spirito ecumenico proprio,
al contempo, dell’Uomo religioso e dell’Uomo laico: Sono molte le ragioni che ci
inducono a scorgere una verità nello slogan “No future! No al futuro”, e perciò
non dovrebbe sorprendere che la denatalità sia in continuo aumento nei paesi
occidentali europei, e soprattutto nel nostro. Ormai conosciamo bene le cifre
forniteci dalle statistiche: abbiamo davanti a noi la prospettiva di una
società fatta soprattutto di vecchi, una società senza un futuro che porti
segni di pienezza e di espansione di vita; sarà un futuro maggiormente segnato
dalla solitudine per il prevalere dei single, di uomini e donne senza
discendenza; sarà un futuro senza grandi speranze collettive e con speranze
individuali ridotte all’istanza di sopravvivere nel modo migliore possibile a
livello economico. La presa di coscienza di questa situazione causa da anni
proclami di allarme, promesse di politiche finalizzate a procurare lavoro alle
nuove generazioni, a consentire loro di accedere a una casa e a un sistema di
welfare che sia di aiuto a una vita familiare con la presenza di figli che
nascono, crescono ed entrano nella vita della società senza troppi ostacoli. In
realtà tali promesse, tra cui ultimamente l’assegno unico universale, anche se
diventassero politica reale non sarebbero sufficienti a invertire questa
tendenza alla sterilità. Questa sterilità è generata dalla cultura prima che
dall’economia, la cultura di un Paese impaurito, attraversato da ossessioni
edonistiche e narcisistiche che chiedono solo il ben-essere individuale. La
famiglia della tradizione, quella patriarcale e rurale, è scomparsa e nuove
forme di famiglia si sono affacciate, ma restano in gran parte da inventare. È
necessario infatti lavorare sul tessuto sociale, riprendere l’idea di comunità
che includa nuclei famigliari e soprattutto ritracciare insieme un orizzonte
comune. Quando ascolto i giovani, al di là di quanti da adolescenti proclamano
con entusiasmo di volere molti figli, ciò che osservo in loro è una mancanza di
speranza. E sono consapevoli della loro fragilità fino a confessare di aver
timore a “fare una storia d’amore duratura”, di aver timore a fare figli.
Quante volte sento dire: “Ma fare figli, fare il padre, è difficile!”. E così
manca la speranza nella vita, nel futuro che a questi giovani appare incerto. Inoltre
alla radice del problema, senza voler colpevolizzare la donna, oggi si
percepisce un’antitesi tra libertà e maternità, come annota Ritanna Armeni,
anche perché è ancora la madre che si fa carico della nascita e della crescita
dei figli: gli uomini, mariti o compagni, quasi tutti si sentono esentati da
questa fatica che continua a ricadere sulle donne. Fare figli, diventare padri
e madri, significa fare spazio ad altri e dunque limitare il proprio, e questo
significa anche sottrarre tempo a se stessi per dedicarlo ai figli, significa
rinuncia e fatica. Eppure è un passo ineludibile per accogliere la vita,
viverla e celebrarla. Una società che non sa più dire “noi”, né vivere
“insieme” è del tutto incapace di fare figli. Ha scritto Umberto
Galimberti: Queste sono le vere cause dell’inevitabile declino della nostra
cultura. Incominciamo dalle cose ovvie e poi passiamo a quelle serie. È da
tutti riconosciuto, anche dalle indagini storiche e da quelle scientifiche, che
la denatalità è la causa principale del declino di una cultura e di una
civiltà. E questo mi pare sia il futuro che attende, non solo l’Italia, ma
anche l’Europa. La seconda ovvietà è che se non nascono più figli e il numero
degli anziani aumenta perché si è allungata la vecchiaia, con più giovani che
non lavorano e più vecchi da mantenere, non ci saranno più soldi per pagare le
pensioni, soprattutto in Italia, dove il lavoro giovanile, quando c’è, è a
tempo determinato, se non addirittura all’insegna del precariato. Se a tutto
questo aggiungiamo l’evasione fiscale che in Italia oscilla tra i 110 e i 130
miliardi all’anno, mi dica lei come, in assenza della contribuzione, sia
possibile costruire per i giovani una pensione decente. La terza ovvietà è che
l’incentivo che verrà erogato alle giovani coppie con figli, anche se, come lei
dice, non è sufficiente a motivare la natalità, è comunque un aiuto, anche se
sarebbe più equo distribuirlo non a pioggia, ma alle sole coppie il cui reddito
non supera un certo tetto fissato. Ma se andiamo oltre a queste ovvietà,
giungiamo al problema di fondo da lei enunciato nel confronto tra la
generazione del dopoguerra che aveva davanti a sé un futuro e la generazione
attuale che sembra toccare con mano la profezia di Nietzsche là dove,
annunciando il nichilismo, dice: “manca lo scopo”. A differenza dei loro nonni
e dei loro padri, per i giovani di oggi il futuro non è una promessa, ma una
minaccia e, se non è una minaccia, è imprevedibile. E quando il futuro è
imprevedibile, non retroagisce come motivazione. Inoltre rispetto alla
generazione del dopoguerra, l’attuale generazione di giovani è decisamente più
debole per troppe cure, facilitazioni, concessioni e comprensioni ricevute
prima in famiglia, poi a scuola, dove si tende a promuovere tutti in spregio
alla meritocrazia, e adesso, in occasione del confinamento in casa per via del
Covid, si sono aggiunte sollecitazioni televisive e giornalistiche a prestare
attenzione al “disagio” dei giovani chiusi in casa. Ma qual è l’orizzonte di
riferimento che misura il disagio? Il nostro mondo abbastanza privilegiato
rispetto ad altri mondi? I nostri giovani che si lamentano della didattica a
distanza che limita la loro socializzazione, sono capaci di allargare il loro
orizzonte e misurarsi con i loro coetanei siriani o afgani che da decenni
vivono sotto le bombe, per non parlare degli africani che vengono da noi?
Perché se non sono capaci di ampliare l’orizzonte, ma solo di lamentarsi della
loro condizione, è la loro debolezza ormai costituzionale che concorre a non
aprire ai loro occhi un futuro.
"L'edonismo è un modo di interpretare la vita, senza profondità, e l'egoismo una chiusura di sé in sé, senza luce e senza futuro".(Fortunato Baldelli). "L'egoismo è l'unico virus così micidiale da poter uccidere l'anima".(Enrico Gamba). "Il vero significato della vita è quello di piantare alberi, alla cui ombra non prevedi di sederti".(Nelson Henderson). "Non siamo nati soltanto per noi stessi".(Marco Tullio Cicerone). "Il valore di una persona risiede in ciò che è capace di dare e non in ciò che è capace di prendere".(Albert Einstein). "Disimparare l'egoismo è l'unica strada che ci conduce all'apprendimento dell'amore".(Matteo Cantarello). "Decidere di avere un figlio è una scelta radicale. È decidere di avere per sempre il proprio cuore che cammina per il mondo, fuori dal proprio corpo".(Elizabeth Stone). "Niente per la donna è più simile al paradiso di un figlio che le farà sognare l'amore per sempre". (Alda Merini). "La vita è una fiamma che via via si consuma, ma che riprende fuoco ogni volta che nasce un bambino".(George Bernard Shaw). Carissimo Aldo,grazie di cuore per il prezioso e graditissimo omaggio, questo post stupendo e pienamente riuscito, anche per merito dell'accostamento perfetto di quanto magistralmente espresso, su uno dei più importanti problemi del nostro tempo, da due Grandi Pensatori che apprezzo profondamente. Grazie ancora e buona continuazione.
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