Tratto da “Così le favole lette ai neonati svelano l’istinto della parola” di
Elena Dusi, pubblicato sul quotidiano la Repubblica del 12 di settembre dell’anno
2011: Siamo nati per parlare. Forse nulla è più inverosimile di un bambino
che comprende una favola a due giorni dalla nascita. Ma le immagini ottenute
dai neuroscienziati del San Raffaele di Milano sul cervello dei neonati,
durante la lettura di una storia di Riccioli d´oro, dimostrano che quello del
linguaggio è un motore che corre a pieni giri fin dal primo momento. Le aree
dedicate alla comprensione e all´elaborazione delle parole sono ancora prive di
elementi e le connessioni fra i neuroni povere, dato che il vocabolario è fatto
di pagine bianche. Ma il ciak è già scattato, e ci penserà il film del mondo a
riempire di contenuti un recipiente che fin dal primo giorno è già dotato di forma
compiuta. «Le strutture neurali legate al linguaggio sono perfettamente attive
a due giorni di vita in entrambi gli emisferi» spiega Daniela Perani,
professoressa di neuroscienze all´università Vita-Salute San Raffaele (…). I
ricercatori hanno sottoposto a varie tecniche di neuroimaging 15 bambini nati
da 48 ore nell´ospedale milanese. «Però si tratta di strutture ancora molto
immature. Ci sono infatti forti connessioni solo fra i due emisferi cerebrali,
mentre negli adulti l´attivazione del linguaggio è concentrata nell´emisfero
sinistro». Appurato che il cervello di un bambino "parla" e
"ascolta" fin dalla nascita, la domanda successiva riguarda il
contenuto di quei primi discorsi. I ricercatori milanesi hanno trovato che i
neonati riconoscono fin da subito la lingua della prosodia, fatta di
intonazioni, di vocali allungate, di un tono della voce che si alza e si
abbassa in maniera ritmica, tingendo di emotività le parole dei genitori e
degli adulti in generale. «Non è un caso che in uno studio dell´anno scorso -
spiega Perani - abbiamo dimostrato la capacità dei neonati di apprezzare la
musica. I bambini a pochi giorni di vita sanno già distinguere un´armonia
perfetta da un brano musicale distorto». La favola di Riccioli d´oro letta ai
neonati durante l´esperimento (…) riusciva ad attivare le aree del linguaggio
se era letta con la giusta intonazione. Ma lasciava i bambini indifferenti
quando le parole erano pronunciate in maniera fredda e piatta, imitando la
sintesi vocale di un computer. «Dopo aver raccontato la storia normalmente,
l´abbiamo ripetuta eliminando del tutto la prosodia. Al bambino arrivava
naturalmente lo stimolo uditivo, ma l´attivazione delle aree del linguaggio si
abbatteva drasticamente. Era come se ascoltasse il suono di un martello
pneumatico, qualcosa di non umano» spiega Perani. Nei bambini piccoli -
dimostra lo studio - è la prosodia a guidare l´apprendimento del linguaggio. Le
parole cariche di intonazioni e di variazioni nell´altezza del suono (la cui
comprensione è affidata soprattutto all´emisfero destro, come per la musica)
più facilmente si imprimeranno nella memoria con i loro contenuti (elaborati
dalle aree del linguaggio, che sono concentrate invece nell´emisfero sinistro).
L´equilibrio fra le due sezioni del cervello, notato dai ricercatori del San
Raffaele a due giorni di vita, si sfalderà gradualmente per sfociare nella
specializzazione dell´area sinistra del cervello, che avviene intorno ai cinque
anni di età e si mantiene da adulti. Ai filosofi greci che si interrogavano sul
legame fra significato delle parole e realtà, alle ardite teorie sulla natura
divina del linguaggio e al dibattito moderno sull´esistenza di una grammatica
universale, le neuroscienze danno il loro contributo con gli strumenti che
hanno a disposizione. «La lingua nasce da una combinazione di
"nature" e "nurture", cioè di biologia e ambiente» riassume
Perani. «Il fatto che i circuiti cerebrali del linguaggio siano pronti alla
nascita conferma il ruolo della biologia. Ma quei rari bambini che sono
cresciuti senza essere esposti a parole e discorsi, da grandi non hanno più
imparato a parlare. Questo dimostra che anche l´ambiente è fondamentale». E
Charles Darwin, più abituato a osservare e descrivere che a offrire
conclusioni, forse si era avvicinato al giusto quando notava perplesso che
"il linguaggio non è vero istinto, perché deve essere imparato". Ma
allo stesso tempo "è differente dalle altre arti" perché il bambino
ha "una tendenza istintiva a parlare, ma non certo a scrivere o fare il
pane".
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