Sopra. "Flyng Balloon Girl" di Banksy, opera realizzata sul Muro di separazione in Cisgiordania.
“Se devo morire”.
Se devo morire,
tu devi vivere
per raccontare
la mia storia
per vendere le mie cose
comprare un pezzo
di stoffa
e dei fili,
(fallo bianco, con la coda
lunga)
così che un bambino,
da qualche parte a Gaza
mentre guarda il cielo
negli occhi
aspettando papà che se
ne è andato tra le fiamme
-senza dire addio
a nessuno
nemmeno alla sua carne
nemmeno a sé stesso –
veda il mio aquilone,
l’aquilone che hai fatto
tu,
volare in alto
e per un momento pensi
che sia un angelo
che restituisce amore.
Se devo morire
che porti speranza
che sia una storia
“L’ultimo canto di Refaat il poeta di Gaza”, “memoria” di Francesca Caferri pubblicata sul quotidiano “la Repubblica” di ieri, lunedì 24 di novembre 2025: È la cronaca di una morte annunciata - la sua - quella che il poeta Refaat Alareer ha scritto in Se devo morire, il libro che raccoglie i suoi scritti (…). Palestinese di Gaza, insegnante di Letteratura presso l’Università islamica della Striscia, con il suo inglese perfetto Alareer è stato nelle prime fasi della guerra una delle voci del racconto dall’interno di Gaza, in particolare sui social e presso i media americani: raccontava la paura dei bambini, la mancanza di cibo e di medicinali, il terrore che la Storia - quella delle precedenti operazioni israeliane contro la Striscia, con le loro migliaia di morti e la distruzione che si erano portate dietro - fosse destinata a ripetersi. Lo raccontava bene, tanto bene che la madre lo aveva pregato di smettere: per paura che Israele decidesse di metterlo nel mirino ed eliminarlo pur di farlo tacere. Una paura che si è concretizzata il 22 ottobre 2023, quando un missile israeliano ha centrato il palazzo dove viveva, uccidendo tre persone e costringendone decine alla fuga: allora Alareer decise di separarsi dalla moglie e dai figli, per non metterli a rischio. Ma non di restare in silenzio. Una scelta coerente con quelle fatte durante tutta la sua vita: nel 2007, il poeta aveva creato un sito web, Eye on Palestine, in cui i suoi studenti potevano raccontarsi in inglese. Negli anni, i loro testi sono diventati un libro. Il sito si era poi evoluto in wearenotnumbers.org, piattaforma web dove i giovani di Gaza hanno in questi mesi raccontato le loro storie, sfidando una narrativa che ne faceva solo numeri o al massimo vittime collaterali. A ispirarli, una poesia che Alareer aveva scritto nel 2011: «Se devo morire, tu devi vivere per raccontare la mia storia. Se devo morire, che porti speranze, che sia una storia». Parole che in poche ore hanno fatto il giro del mondo il 6 dicembre 2023, quando un missile israeliano ha centrato la casa della sorella dove Alareer aveva cercato rifugio, uccidendo il poeta, la donna, due dei suoi figli e un altro fratello. Una strage seguita, pochi mesi dopo, a quella in cui in circostanze simili è morta la figlia del poeta, Shymaa. Se devo morire raccoglie gli scritti di Refaat Alareer sull’offensiva israeliana contro Gaza scatenata dall’attacco di Hamas sul 7 ottobre 2023, ma anche quelli precedenti, dal 2010: c’è la vita quotidiana di Gaza sotto assedio ma senza guerra aperta. Chi muore per cancro perché non ha il permesso di curarsi. Chi viene ucciso al confine e un perché non c’è. Chi vuole vivere, ridere e amare nonostante tutto. Fra le decine di libri che sono usciti in questi mesi — alcuni per mano di chi nella Striscia non ci è mai stato, altri firmati da chi più che dai fatti si è fatto guidare dall’ideologia — questo è un racconto importante. E per più di un motivo. Il primo, che può sembrare banale ma non lo è affatto: viene da Gaza e da chi Gaza la conosceva profondamente e profondamente la amava, tanto da tornarci quando avrebbe potuto restare all’estero. Il secondo: c’è l’ideologia, come sempre c’è quando si parla con un palestinese o con un israeliano. Ma ci sono i fatti, le storie, i nomi: quelli che Alareer per anni aveva valorizzato — per chi aveva voglia di leggerli — su Internet. Il terzo: questo libro è figlio dei tempi, di una guerra a cui noi giornalisti occidentali non abbiamo potuto assistere se non attraverso il filtro imposto dalle Forze armate israeliane con i loro embed. E in cui i giornalisti palestinesi hanno preso la titolarità della narrazione, portando i loro nomi e le loro testimonianze nelle case del mondo, principalmente attraverso i social network: proprio come Alareer faceva da anni e ha fatto fino a quando non è stato ucciso. Infine: a chi ha scoperto Gaza l’8 ottobre del 2023, il poeta racconta che questa è una storia vecchia, che di guerre questo territorio ne ha viste dozzine, per quanto non lunghe o sanguinose come quella che forse si sta concludendo. E non sarà un piano di pace — per quanto sponsorizzato dall’uomo più potente del mondo — a cambiare la situazione. Piccola lezione di Storia che quando si parla di questa parte di globo è indispensabile. «Questo libro - scrive nella prefazione Yousef M. Aljamal, studente di Alareer - nasce per tenere vivo il lascito di Refaat. Se devo morire parla di un uomo che amava la vita, che ne traeva piacere e che, allo stesso tempo, prendeva molto seriamente la sua missione di educatore per la liberazione del suo popolo. La sua vita è stata spezzata ingiustamente dai suoi oppressori perché lui impiegava la parola scritta per sfatare le loro menzogne. Refaat metteva in campo tutta la sua saggezza, il suo intelletto e il suo umorismo per prendersi gioco dell’occupazione israeliana e delle deboli narrazioni che Israele diffondeva riguardo a Gaza. Ma se Israele credeva che ucciderlo significasse annientare il suo ascendente, deve esserne rimasto profondamente deluso. Refaat è oggi noto in tutto il mondo a milioni di persone che hanno letto i suoi scritti, seguito le sue interviste e fatto volare gli aquiloni come omaggio alla sua opera». La narrazione su questo testo sarebbe incompleta se la parola finale non andasse a colui che lo ha scritto. E che, in una sorta di premonizione simile a quella del titolo, si rivolge così a chi ha in mano la sua opera: «Lettrice, lettore, mentre scorri attentamente questi capitoli, cosa potrai o sarai disposto a fare, sapendo che potrai salvare vite umane e cambiare il corso della storia? Lettrice, lettore, che importanza avrà, per te? Gaza non è e non dovrebbe essere una priorità solo quando Israele versa fiumi di sangue palestinese. Passerà, continuo a sperare». Passerà, sta già passando forse: ma se pure fosse davvero finita Refaat Alareer ci invita a non dimenticare ciò che è accaduto e a continuare a guardare quello che deve ancora accadere.
Sopra. Refaat Alareer con le allive della Sua scuola.


Nessun commento:
Posta un commento