Tratto da “L’italia
ha smesso di sognare” intervista di Simonetta Fiori ad Eugenio Scalfari,
pubblicata sul quotidiano la Repubblica dell’11 di settembre dell’anno 2014: (…). "Si
muore desiderando", (…). Quando si esaurisce il desiderio, che può essere
quello di sopravvivere o di morire dolcemente, si chiudono le palpebre".
Il desiderio è la vita, in sostanza? "È
il termometro che misura la vitalità. Per la gran parte del tempo Oblomov vive
ma non è vitale, perché non ha desideri. Solo dopo che gli entra in circolo una
pulsione più forte riesce a battere la sua inerzia"
Tu lo fai discendere da Eros. "Sì, Eros è il Signore dei desideri. La tarda mitologia lo battezzò dio dell'amore, riducendolo a paggetto della madre Afrodite, il cupido che con la freccia colpisce il cuore. Ma per una più antica mitologia che risale a Esiodo è una divinità primigenia che domina gli dei e gli uomini, suscitando il desiderio e l'entusiasmo del desiderio. Desiderio d'amore e di potere, desiderio di forza o di ricchezza. Desiderio di sopravvivenza. È Eros che ci dà il senso di cui abbiamo disperato bisogno".
Ti posso fare una domanda molto personale?
Tu hai indagato la tua vita psichica in molte pagine dei tuoi libri. Ma hai mai
pensato di farti aiutare da uno psicoanalista? "Sì, l'incontro avvenne
tardi, verso i quarant'anni. Prima ero persuaso che l'analisi fosse una cosa
assurda. Ne ridevo con Simonetta, la mia prima moglie: "ma quelli sono
matti, vanno lì a raccontare i loro sogni". Poi però ho conosciuto il
senso di colpa. Amavo profondamente e in modi diversi due donne che erano molto
diverse. Al principio credevo di non fare del male a nessuno, poi però
cominciai a tormentarmi, pensando anche alle mie figlie. Allora nacque il
complesso di colpa. E cominciò quel viaggio dentro di me che credo ciascuno di
noi debba fare. Anche di questo, del senso di colpa e del viaggio interiore che
ne è scaturito, sono debitore a Serena, la mia attuale moglie".
Ma ne parlasti con uno specialista? "Ebbi
un solo colloquio con un'analista che mi diagnosticò una nevrosi. Tutti abbiamo
delle nevrosi, mi disse. Uno squilibrio costante, che può oscillare di
intensità ma la sua natura rimane la stessa. La mia nevrosi era di tipo
paternale. Le avevo raccontato che, quando arrivavo all'Espresso, mi accorgevo
subito dei musi lunghi. E io non volevo musi intorno a me. Così chiamavo le
persone nella mia stanza e risolvevo i conflitti. Siate allegri, dicevo, perché
senza allegria io non riesco a lavorare".
E la psicoanalista come ti curò? "Decise
di non curarmi. Se io la curo, mi spiegò, smonto uno degli assi portanti
intorno a cui lei ha costruito un giornale che è indispensabile per l'opinione
pubblica italiana. Quindi io preferisco lasciarla con la sua nevrosi".
Le dobbiamo essere riconoscenti. "Altri
mi dicono: un incapace. Io naturalmente non aspettavo altro e le dissi che
avrei fatto da me. Lei mi mise in guardia: va bene, ma come tutti lei tenderà a
giustificare. Vede lo squilibrio e dunque il danno che può derivarne, però
tenderà a giustificarli. L'autocoscienza è giustificativa, Narciso messo a
posto. Per me fu un incontro utilissimo, da allora l'autoanalisi continuo a
farla ogni giorno. So che ho un Narciso molto forte, ma almeno io lo so, a
differenza di molti altri che ce l'hanno più grande di me, ma negano di
averlo".
Desiderio d'amore e desiderio di potere, hai
detto prima. Per te il secondo ha rappresentato la volontà di incidere sulla
vita pubblica del paese favorendone la crescita civile. È un desiderio
appagato? "Per alcuni aspetti, sì. Esiste una società responsabile, che ha
a cuore il bene pubblico. Ed esiste una società irresponsabile che insegue il
bene proprio e della propria famiglia: è il paese delle mafie, anche quello
delle lobby e delle clientele. Mi sento appagato per il fatto che quel tipo di
società che definisco responsabile è stata orientata dai giornali che ho
contribuito a fondare, si è riconosciuta nella nostra voce e noi ci siamo
riconosciuti in lei. Perché tra i giornali e il loro pubblico c'è
un'appartenenza reciproca: loro appartengono a te, ma tu appartieni a loro.
Quest'Italia responsabile, con il primo governo Prodi, è divenuta anche
maggioritaria: il giorno della vittoria elettorale Prodi mi ringraziò per il
sostegno ricevuto, ma io ringraziai lui perché era stato il primo a vincere.
Poi tutto questo s'è sfasciato. Oggi mi dicono che sono troppo antirenziano, ma
quello che vedo non mi piace per niente".
Tu hai uno sguardo che copre svariati
decenni: come sono cambiati i desideri degli italiani? "Mah, il loro motto
potrebbe essere quello del Razzi interpretato da Crozza: "fatti li cazzi
tuoi". Non è il desiderio solo degli italiani, ma gli italiani più degli
altri considerano lo Stato un ingombro. Perché Berlusconi ha avuto successo?
Perché ha detto: di politica mi occupo io, e voi fate quello che vi pare. Con
un'unica eccezione: i principi non negoziabili della Chiesa. In una congiuntura
favorevole, Berlusconi è stato il leader che ha interpretato meglio il
desiderio degli italiani".
E lo statista che ha saputo tenere alte le
stelle del desiderio? "Lasciamo stare le stelle, anche se Alcide De
Gasperi da cattolico conosceva bene il cielo stellato. Stranamente nessuno oggi
ricorda più ciò che scrisse a proposito del Senato della Repubblica: affiancato
con pari poteri alla Camera, rappresentava il meglio per la democrazia. Neppure
il presidente Napolitano l'ha ricordato, in occasione del recente dibattito.
Perché non citiamo mai De Gasperi? Seppe rappresentare un paese sconfitto con
grandissima dignità. Ed ebbe un ruolo nella costruzione dell'Europa. Al quinto
anno di governo fu fatto fuori".
Fu il dopoguerra un momento in cui gli
italiani seppero desiderare in grande? "Gli italiani facevano la
ricostruzione, delle proprie cose ma anche delle cose nazionali. Oggi l'Istat
paragona la nostra attuale deflazione a quella del 1959, ma non dice una cosa
importante: che allora l'Italia era prossima al miracolo economico. Poco dopo
sarebbe esploso il boom, più tardi vanificato da una classe politica che
accresce il debito pubblico e da una classe imprenditoriale che prende i
profitti ma senza reinvestirli, trasformando pian piano l'industria in finanza
e costruendosi i patrimoni all'estero. Prima però c'era stato il miracolo
italiano, che porta il nome di Guido Carli. Sono anni che ho vissuto: posso
dire che erano molto diversi dagli attuali".
Oggi trionfa "l'uomo senza
desiderio", come l'ha definito Massimo Recalcati, ossia schiacciato sul
consumo compulsivo e privo di futuro. "Sì, ne parlai con Recalcati, che mi
disse che aveva preso questa idea dai miei libri e io ne fui felice. L'uomo
contemporaneo è schiacciato sul presente. E rifiuta di conoscere il passato. Da
tremila anni ogni generazione modifica o cerca di modificare le idee portanti e
i valori della generazione precedente. Li modifica, ma li conosce: solo così è
in grado di programmare il futuro. Poi ci sono momenti rivoluzionari in cui i
valori vengono cambiati radicalmente, non solo aggiornati, ma sempre nella
conoscenza degli ideali precedenti. Non era mai accaduto che le generazioni non
volessero sapere niente dei padri".
Una domanda più personale. Come si coltiva
il desiderio quando i margini temporali davanti a sé si restringono? "Posso
risponderti con i miei desideri. Mi piacerebbe scrivere un romanzo che ha come
protagonista il mio doppio. Ho in mente il Libro dell'Inquietudine, dove ogni
doppio di Pessoa si riproduce in un altro doppio".
Vivere è essere un altro, scrive Pessoa. "Io
sono affascinato da questo gioco della duplicità ma anche triplicità e
quadruplicità del se stesso. E qualcosa di simile c'è nei Quaderni di Malte
Laurids Brigge. Penso al Malte bambino che mentre è a tavola con il padre
assiste all'improvvisa comparsa di una figura enigmatica che sbuca
dall'oscurità. E penso alla morte spettacolosa del nonno ciambellano, così
rumorosa che la si udì fin dalla fattoria. Voleva essere portato
incessantemente da una stanza all'altra, con tutto il corteo di domestici,
cameriere e cani ululanti. Pretendeva e urlava, scrive Rilke, svegliando tutto
il villaggio. Una morte principesca e terribile".
L'idea del doppio contiene in sé una sfida:
il superamento del limite, che è poi quello che hai praticato nella tua vita
che ne contempla diverse: il fondatore di giornali, il protagonista politico,
il pensatore, il romanziere. Desiderare è sfidare? "Non è un caso che la
parola sfida compaia nel titolo di uno degli ultimi libri: L'amore, la sfida,
il destino. Ma la doppiezza ora voglio raccontarla in un romanzo. L'altra cosa
che mi piacerebbe è trovare una modalità poetica. Alla fine però non riesco a
concludere niente: sono troppo pieno di cose da fare".
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