(…). Che succede quando il denaro
diventa il generatore simbolico di tutti i valori? Che differenza c'è tra un
permesso di studio e un permesso di lavoro? (…). Se dovessimo capire l'arcano
sotteso a queste differenze in una civiltà, l'Occidente, che si ritiene la più
evoluta della terra, se dovessimo cercare la ragione per cui i neri che
dall'area sub-sahariana giungono da noi, se solo riescono a compiere quel
viaggio e a non finire annegati in mare, non assomigliano in nulla a tutti quei
neri che in Europa giocano sui campi di calcio osannati e strapagati, non
avremmo difficoltà a trovare la spiegazione nel fatto che il razzismo, o anche
solo la diffidenza nei confronti dello straniero, non riguarda il colore della
pelle, ma la capacità o meno che un immigrato ha di diventare per noi fonte di
profitto.
E allora diciamolo che noi occidentali, dopo aver celebrato l'umanesimo, e poi l'illuminismo, e con la rivoluzione francese rivendicato uguaglianza, libertà, fraternità, e con gli organismi internazionali i diritti dell'uomo, poi in pratica nelle relazioni umane e nei dispositivi legislativi che emaniamo per regolarle assumiamo come unico criterio e generatore simbolico di tutti i valori il denaro e la capacità di produrlo, conservarlo e accrescerlo. E allora, non possiamo pensare che la crisi finanziaria che stiamo attraversando e a cui tentiamo di porre riparo con misure che tagliano l'assistenza, la sanità, la scuola, le pensioni, e in generale lo stato sociale, sia innanzitutto il segnale più chiaro che denuncia come la nostra cultura, al di là delle proclamazioni umanistiche e umanitarie, di fatto ha pensato unicamente al denaro che, svincolato da qualsiasi finalità che non sia il suo accrescimento, oggi si ritorce contro di noi, contro le condizioni della nostra vita, e a maggior ragione contro le condizioni di vita di chi, (…), è giunta da noi? È quanto ha scritto Umberto Galimberti in “La ritorsione del denaro” pubblicato sul settimanale D del 10 di settembre dell’anno 2011. A sette anni di distanza e con una crisi che non accenna di finire ma che sostanzialmente potremmo oggigiorno ben configurare come quella “stagnazione secolare” dai tanti intravista, il “demone” denaro è divenuto l’icona di questo mondo senza dio, anzi con un unico dio, il denaro per l’appunto. Questa “iconizzazione” (un neologismo?) del denaro ha informato e sottomesso tutta la vita del cosiddetto mondo occidentale e cristianizzato (sic!), processo di “iconizzazione” il quale, prepotentemente sognato, voluto ed imposto dal liberismo di Reagan e della signora Thatcher e di seguito dalla selvaggia capitalizzazione finanziaria, non ha risparmiato la politica per la qual cosa Michele Serra, in una Sua corrispondenza del 24 di agosto 2018, arriva a scrivere: (…). …la crisi della politica, (…), è anche crisi della sua capacità di “filosofare”, di immaginare nuove relazioni sociali e nuovi modelli di vita, insomma di organizzare il pensiero anche prescindendo dal Pil. (…). …il sistema definito “società dei consumi” (…) sembra strutturalmente costruito per generare frustrazione e invidia. La frustrazione di non raggiungere mai l’obiettivo (illimitato) della crescita, perché ci sarà sempre qualcuno che ha lo smartphone più nuovo del nostro; la conseguente dilagante invidia per chi, magari si Instagram, è in grado di postare immagini più seducenti e più lussuose delle nostre. Una società di frustrati e di invidiosi non può generare altro che frustrazione e invidia. Se ne uscirà (forse) il giorno in cui il piacere delle cose ben fatte, delle azioni sostanziose e sapienti, sarà alla portata, se non di tutti, della grande maggioranza; e lo sarà anche privatamente, anche silenziosamente, senza che se ne faccia pubblico spettacolo. Ci saranno pure un falegname felice, una giardiniera felice, un marinaio felice, un prete felice, una poliziotta felice; che trovano dentro la loro vita privata quotidiana, senza ossessioni comparative, il piacere di essere nei propri panni. Una società troppo competitiva, dunque troppo comparativa, è come una gara dalla quale sarebbe meraviglioso riuscire a chiamarsi fuori. Anche per ritrovare un migliore rapporto con gli altri, (…). E dell’ineluttabilità – come un destino segnato e non più controllabile ed indirizzabile - dei predetti processi deformanti del vivere sociale e personale degli esseri umani si sono fatte traditrici e tonitruanti, perversi megafoni anche tutte quelle forze politiche della sedicente “sinistra” che non hanno saputo e non hanno voluto opporsi alla “iconizzazione” del “dio” denaro. «La ritorsione del denaro», per l’appunto, che come un dio malefico acceca e rende folli gli imbelli abitatori di questa parte detta occidentale ed ancor più detta cristianizzata di questo sperduto angolo dell’universo.
E allora diciamolo che noi occidentali, dopo aver celebrato l'umanesimo, e poi l'illuminismo, e con la rivoluzione francese rivendicato uguaglianza, libertà, fraternità, e con gli organismi internazionali i diritti dell'uomo, poi in pratica nelle relazioni umane e nei dispositivi legislativi che emaniamo per regolarle assumiamo come unico criterio e generatore simbolico di tutti i valori il denaro e la capacità di produrlo, conservarlo e accrescerlo. E allora, non possiamo pensare che la crisi finanziaria che stiamo attraversando e a cui tentiamo di porre riparo con misure che tagliano l'assistenza, la sanità, la scuola, le pensioni, e in generale lo stato sociale, sia innanzitutto il segnale più chiaro che denuncia come la nostra cultura, al di là delle proclamazioni umanistiche e umanitarie, di fatto ha pensato unicamente al denaro che, svincolato da qualsiasi finalità che non sia il suo accrescimento, oggi si ritorce contro di noi, contro le condizioni della nostra vita, e a maggior ragione contro le condizioni di vita di chi, (…), è giunta da noi? È quanto ha scritto Umberto Galimberti in “La ritorsione del denaro” pubblicato sul settimanale D del 10 di settembre dell’anno 2011. A sette anni di distanza e con una crisi che non accenna di finire ma che sostanzialmente potremmo oggigiorno ben configurare come quella “stagnazione secolare” dai tanti intravista, il “demone” denaro è divenuto l’icona di questo mondo senza dio, anzi con un unico dio, il denaro per l’appunto. Questa “iconizzazione” (un neologismo?) del denaro ha informato e sottomesso tutta la vita del cosiddetto mondo occidentale e cristianizzato (sic!), processo di “iconizzazione” il quale, prepotentemente sognato, voluto ed imposto dal liberismo di Reagan e della signora Thatcher e di seguito dalla selvaggia capitalizzazione finanziaria, non ha risparmiato la politica per la qual cosa Michele Serra, in una Sua corrispondenza del 24 di agosto 2018, arriva a scrivere: (…). …la crisi della politica, (…), è anche crisi della sua capacità di “filosofare”, di immaginare nuove relazioni sociali e nuovi modelli di vita, insomma di organizzare il pensiero anche prescindendo dal Pil. (…). …il sistema definito “società dei consumi” (…) sembra strutturalmente costruito per generare frustrazione e invidia. La frustrazione di non raggiungere mai l’obiettivo (illimitato) della crescita, perché ci sarà sempre qualcuno che ha lo smartphone più nuovo del nostro; la conseguente dilagante invidia per chi, magari si Instagram, è in grado di postare immagini più seducenti e più lussuose delle nostre. Una società di frustrati e di invidiosi non può generare altro che frustrazione e invidia. Se ne uscirà (forse) il giorno in cui il piacere delle cose ben fatte, delle azioni sostanziose e sapienti, sarà alla portata, se non di tutti, della grande maggioranza; e lo sarà anche privatamente, anche silenziosamente, senza che se ne faccia pubblico spettacolo. Ci saranno pure un falegname felice, una giardiniera felice, un marinaio felice, un prete felice, una poliziotta felice; che trovano dentro la loro vita privata quotidiana, senza ossessioni comparative, il piacere di essere nei propri panni. Una società troppo competitiva, dunque troppo comparativa, è come una gara dalla quale sarebbe meraviglioso riuscire a chiamarsi fuori. Anche per ritrovare un migliore rapporto con gli altri, (…). E dell’ineluttabilità – come un destino segnato e non più controllabile ed indirizzabile - dei predetti processi deformanti del vivere sociale e personale degli esseri umani si sono fatte traditrici e tonitruanti, perversi megafoni anche tutte quelle forze politiche della sedicente “sinistra” che non hanno saputo e non hanno voluto opporsi alla “iconizzazione” del “dio” denaro. «La ritorsione del denaro», per l’appunto, che come un dio malefico acceca e rende folli gli imbelli abitatori di questa parte detta occidentale ed ancor più detta cristianizzata di questo sperduto angolo dell’universo.
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