"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

martedì 2 dicembre 2025

CosedalMondo. 86 Karl Marx: «La morte appare una dura vittoria della specie sull'individuo, e una contraddizione della loro unità».


Scrive Pirandello: "I vivi credono di piangere i loro morti, invece piangono una loro morte, una loro realtà che non è più nel sentimento di quelli che se ne sono andati". Quello che noi dimentichiamo è che, oltre al nostro Io, siamo abitati da un'altra soggettività sotterranea, solitamente non pensata e quindi inconscia, che ci prevede come funzionari della specie, la quale, per la sua conservazione, esige la morte dei singoli individui. Questa concezione, che gli antichi Greci avevano ben presente al punto da nominare l'uomo col termine "mortale", è stata ignorata dalla tradizione giudaico-cristiana che, dopo aver identificato Dio con il "Vivente" (Deut., 5,23), ha individuato nella morte la sua peggior nemica. Di qui la resurrezione di Cristo, avvenuta la quale, Paolo di Tarso può dire "O morte dov'è la tua vittoria? O morte dov'è il tuo pungiglione?" (1 Cor., 15,55). (…). Marx, che conosceva la cultura greca, come dimostra la sua tesi di laurea sulla Differenza tra le filosofie della natura di Democrito e di Epicuro, scrive: "La morte appare una dura vittoria della specie sull'individuo, e una contraddizione della loro unità". Per cui la contrapposizione non è tra "la vita e la morte" come vuole la concezione cristiana, ma tra "la vita e la vita": la vita della natura che per la sua perpetuazione esige la morte delle singole esistenze, e le singole esistenze che, per vivere, devono allontanare, per quanto è possibile, la morte. Anche se poi è l'economia della specie che alla fine ha la partita vinta sull'economia dell'individuo. (…). Un giorno un mio amico e professore di estetica Raffaele Perrotta, mi riassunse così l'essenza della cultura greca: "Chi conosce il suo limite non teme il destino". Nel nostro caso chi non accetta il limite della condizione umana non può evitare l'angoscia di fronte alle domande ultime che, proprio perché non si è accettato il limite, sono senza risposta, per quanto disperatamente la si cerchi. E non è un rimedio non affezionarsi troppo alle persone per non soffrire della loro perdita, innanzitutto perché non sappiamo se ce ne andiamo prima noi o prima loro, e poi perché non è atrofizzando il cuore che si raggiunge la gioia e la serenità che la vita, accolta nel suo limite, ci concede. (Tratto da “La lezione dei greci per non temere il destino” di Umberto Galimberti, pubblicato sul settimanale “D” del 26 di gennaio dell’anno 2013).

“C’era una volta la verità”, testo della intervista di Marco Bracconi a Umberto Galimberti pubblicata sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 28 di novembre 2025: (…). «Io sono greco, penso come un greco, (…). Sperare vuol dire porre le condizioni per la disperazione, (…). Se dico che sono greco è perché sull'essere umano ragiono come loro: l'uomo è mortale. Una verità che, imbevuti di cristianesimo e platonismo, non vogliamo vedere. Continuiamo ad assecondare un'idea secondo cui il futuro viene a sanare i guasti del passato. E ci affidiamo alla speranza, che è una categoria vuota».

(…). Facciamo che sono un suo studente. Mi spiega in una riga cos'è la verità? «La verità è una storia alla quale ogni epoca e cultura cambia il significato».

Due esempi. «La verità come azione, fare, della tradizione ebraica, la verità come esattezza dell'epoca scientifica, quella delle ipotesi fatte dall'uomo e poi messe alla prova della natura. Dopo questa fase, che dura un bel po', addio antropocentrismo».

E anche fine di ogni umanesimo. «Esatto. L'uomo esce dalla Storia. Per non rientrarci più».

Ne riparliamo tra poco. A quale filosofo telefono per farmi spiegare la verità del populismo? «A Platone. La persuasione serve sia alle parole di verità che a quelle per l'inganno. Chi possiede l'arte della persuasione ha in mano il timone per condurre la vita degli altri secondo i propri disegni. Poi quando perfino la persuasione cede, arriva la forza. Ha ragione chi è più forte».

Ci siamo? «Eccome».

Dicevamo di una Storia senza più l'uomo al comando. «Riparto dal Seicento e dall'inizio della scienza moderna, con cui l'uomo diventa signore e padrone della natura. La mentalità scientifica sradica le superstizioni, assegna il primato alla ragione. È l'epoca in cui la verità si stabilisce secondo il motto: chi pensa bene fa il bene».

E poi? «Poi è arrivato il nazismo a dimostrare che si può pensare in modo eccellente per fare il male».

E poi? «Poi inizia l'età postmoderna e la tecnica butta fuori l'uomo dalla Storia. Assume il comando».

L'obiezione è che dire tecnica significa dire Homo sapiens. Dal fuoco in poi. «Le rispondo con Hegel: quando un fenomeno aumenta quantitativamente, oltre una certa soglia, cambia anche qualitativamente. Dalla fine della Seconda guerra mondiale la tecnica è diventata la condizione universale per realizzare qualsiasi scopo. E da mezzo che era si è trasformata in fine».

Cambiando la nostra idea di verità. «Declinandola in efficacia. Quello che posso fare e funziona diventa vero, possibile, perfino giusto. Anche distruggere Gaza».

Per Bacone tecnica e dominio coincidono. «La tecnica è il dominio. La politica ha ceduto all'economia, anch'essa subordinata in modo totalitario alla tecnica, che stabilisce continuamente ciò che è vero attraverso ciò che è efficace. Senza avere altro scopo che autoalimentarsi».      ,

(…). Un esempio che faccia capire plasticamente che la tecnica è senza scopo. «Abbiamo arsenali dove sono contenuti ordigni atomici capaci di distruggere venti, trenta volte il pianeta. E continuiamo a produrne altri, malgrado il pianeta possa essere distrutto una volta sola. A che serve, se non alla stessa tecnica?».

Altro che postverità, qui il prezzo che paga la verità è altissimo. «Mortale. La verità della tecnica è l'annientamento del pensiero critico. La semplificazione di ogni complessità. La fine del dubbio. Ormai abbiamo a disposizione solo la misera struttura binaria del computer, 0/1, sì e no, quindi se arriva uno che poi ti spiega il mondo in due frasi finisce che lo stai a sentire».

In certe ambizioni transumaniste, come la coscienza che sopravvive al corpo per via digitale, Platone ce lo vede? «È la realizzazione del platonismo, se ci pensa l'esaltazione del mondo delle idee e il disprezzo del corpo vengono da lì. E così abbiamo finito per accedere a una concezione del corpo come organismo, apparato, insieme di funzioni. Il cristianesimo per quattro secoli nemmeno lo sapeva cos'era l'anima. Era una religione del corpo, fondata sul corpo e sul sangue di Cristo, sul suo corpo crocifisso. Solo dopo è arrivato l'idealismo di origine platonica».     .

Vasto programma, il rapporto tra religione e verità. «Sì ma facciamola breve: è San Tommaso a dire che la fede è promossa non dall'intelletto ma dalla volontà, accompagnata dal dubbio. Anche il cardinal Martini lo diceva. L'autentica fede religiosa dice: credo ma non so».

C'è anche fede filosofica. «Sì ma quella è fede nella ricerca, che nulla ha a che fare con la militanza della fede».

(…). Lei si sentirebbe di dire che viviamo in una civiltà della negazione? «Assolutamente sì. E il linguaggio aiuta la negazione, ai suoi diversi livelli. I bambini che muoiono diventano danni collaterali, le deportazioni si chiamano spostamento di popoli».

Quindi ha senso il dibattito sulla parola genocidio. «Certo che ha senso. E bisogna dirlo. Quello dello Stato di Israele nei confronti del popolo palestinese è un genocidio».

Nemmeno la crisi climatica si dà più per vera. «Perché è la tecnica a stabilire la verità e perché siamo cristiani, diamine».

In che senso? «Dio ci ha congedati dall'Eden dicendoci di dominare il mondo. Non abbiamo alcun senso di colpa perché stiamo eseguendo il suo dettato. Se la tecnica non ha fine, nemmeno la salvaguardia dell'habitat umano può esserlo. Il suo dominio è ormai su un uomo astorico, che segue la sua verità efficiente. E continuerà così». (…).

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