“ItaliaSiamoAncheNoi?”. “Mangia, scala, cresce. L’ottavo Re di Roma al suo ultimo negozio”, testo di Pino Corrias pubblicato su “il Fatto Quotidiano” di ieri, martedì 2 di dicembre 2025: Francesco Gaetano Caltagirone è personaggio imponente per spalle, cravatta, sguardo e naturalmente per il suo personale forziere di monete antiche e modernissime, sesterzi da collezione e euro da paperone, appena inciampato nell’inchiesta della Procura di Milano per avere scalato i forzieri di Mediobanca – dice l’accusa – ostacolando tutti gli organi di controllo. Lo ha fatto con i suoi soci, il numero uno di Luxottica, Francesco Milleri, e l’amministratore delegato di Monte dei Paschi di Siena, Luigi Lovaglio. Ma specialmente con l’accordo – “la complicità” dicono gli analisti – degli gnomi di Palazzo Chigi, rivestiti, profumati e pettinati da Giorgia Meloni che a forza di prendersi sul serio, s’è incapricciata dell’alta finanza, come suo personale upgrade dal complesso dell’under-dog. Dunque assecondando un nodo psichiatrico prima che politico. Rivelando smanie da potere assoluto, per fortuna affidate a strateghi di second’ordine, pasticciati e pasticcioni, anche loro per troppo entusiasmo nel servire e troppa bulimia nell’addentare. Tutti difetti che neanche lontanamente sfiorano il poderoso Caltagirone, 82 anni saldamente compiuti, che guarda dall’alto il suo ultimissimo negozio – incamerare, proprio attraverso Mediobanca, Assicurazioni Generali, quasi 900 miliardi di patrimonio gestito, il principale arrosto dell’economia italiana – con la lentezza digestiva che gli consente il potere accumulato per dinastia, insignito, dal secolo scorso, del titolo di Ottavo Re di Roma, o meglio ancora Caltariccone, secondo la più efficace istantanea firmata Dagospia, visto che la rivista Forbes lo stima numero 7 per ricchezza in Italia, patrimonio di 9,6 miliardi, liquidità illimitata. La sua famiglia viene dalla lontanissima Palermo, sbarcata nel Dopoguerra tra le macerie della Capitale con sabbia, piccone e calcestruzzo. Lui è terza generazione, la più ricca di sempre. Non più palazzinaro, come il nonno, il babbo, e l’altro ramo di famiglia, i Bellavista, che furono tutti quanti cari a Giulio Andreotti, all’intera Democrazia cristiana e pure al Vaticano, massimo esperto spirituale del do ut des terreno, artefici del sacco cementizio che ha trasformato i silenzi vegetali dell’Agro Romano negli ingorghi automobilistici della periferia che dalla Bufalotta a Tor Pagnotta, da Casal Boccone alla Romanina, assedia gli asfalti del Raccordo in un inferno di tangenziali, svincoli, palazzi da otto piani, ma con un albero a testa. Il suo quartier generale si estende tra i marmi pregiati di Roma centro, via del Corso, piazza Barberini, via Nazionale. Da dove ha elaborato le notevoli stazioni della sua perpetua ascesa – prima cemento, poi carta stampata, ora finanza – in compagnia del suo factotum Fabio Corsico, 52 anni, un tizio capace d’alte raffinatezze lessicali, come alla sua ultima prolusione all’Università di Segovia dal titolo “Dante e la leadership: etica potere e umanità”, qualunque cosa voglia dire. Dal tonfo sonante di Mani Pulite, anno 1992, Caltagirone ne esce con qualche ammaccatura, ma la piena assoluzione da tutte le accuse di nequizie o tangenti. Saluta senza rancori la Prima Repubblica democratico-cristiana per infilarsi nella Seconda ben più spregiudicata di Berlusconi e soci. Stavolta con la buona idea di proteggere gli interessi delle sue cento aziende, specialmente la prima, la Cementir che ha interessi in Italia, in Europa e pure negli Usa, nei fortini della carta stampata, dove si coltivano i piccoli poteri locali per farli diventare grandi. Nel 1996 compra il Messaggero, giornale leader di Roma Capitale. Negli anni successivi, il Gazzettino di Venezia, il Quotidiano di Puglia, il Corriere Adriatico e nel 1998 il Mattino di Napoli. Dove compra, costruisce. Dove costruisce, comanda. E qualche volta la fa franca, come nella guerra dichiarata al sindaco Luigi De Magistris che nel 2013 avrebbe voluto accollargli la bonifica dell’area di Bagnoli inquinata anche dalla Cementir, costo stimato 300 milioni di euro, tutti passati in cavalleria, dieci anni dopo, quando Caltariccone gratuitamente dona i suoi terreni a Invitalia, che pagherà quei danni ambientali con i soldi del Tesoro, cioè i nostri. Un capolavoro. L’altra intuizione, visto che va diminuendo la spesa pubblica per le costruzioni, è quelle di diversificare gli investimenti in titoli e asset finanziari. Senza mai troppi clamori, fa shopping azionari in Banca Nazionale dell’Agricoltura, Montedison, Bnl, Rcs, Unicredit. Partecipa a Acea, azienda energetica di Roma e gestisce Fabrica, la holding che ha in pancia gli immobili delle casse previdenziali di avvocati, ingegneri, architetti, psicologi. Oltre che a 17 fondi di investimento che mettono palazzi in cascina per conto di investitori istituzionali, compreso l’Inps. Senza mai il fastidio di una intervista o quasi – al Financial Times una volta e a Lilli Gruber negli ultimi anni – Caltagirone mangia, scala, cresce. Ha piazzato i tre figli sulle torri di controllo del suo castello, compresa Azzurra, la preferita, che per qualche anno si è lasciata conquistare dal sempre in piedi Pierferdinando Casini, prima di accorgersi dell’errore. Ma il ponte levatoio dei Caltaricconi sale o scende solo al suo comando. C’è un buco nero che illumina il suo indiscusso potere. Si spalanca nella notte tra il 3 e il 4 agosto dell’anno 2000, quando dalla villa con parco ai Parioli spariscono la moglie Luisa Farinon e la guardia del corpo Walter Scafati. Dopo l’allarme generale si scopre che li ha sequestrati il domestico filippino Leo Begasson, in fuga con i due ostaggi su una Golf rossa. È un maldestro rapimento per il riscatto? È una vendetta? Sembra il classico giallo destinato durare l’intera estate. Invece si chiude in una manciata d’ore. E in modo sorprendente: i due rapiti vengono rilasciati dalle parti di Trieste, se la cavano chiedendo aiuto. Il rapitore viene ritrovato morto stecchito in una camera d’albergo di Portorose, la 399 del Palace Hotel, pochi chilometri dopo il confine con la Slovenia. Abbastanza affinché nulla trapeli delle indagini che parlano di una irruzione della polizia slovena interrotta dal suicidio del fuggitivo. L’ambasciata filippina sospetta l’omicidio, protesta e chiede spiegazioni. La polizia italiana invece si accontenta del nulla. La Procura di Roma archivia. Proprio come i giornali che dedicano tre righe al giallo, prima di dimenticarsene per sempre. Calta incassa e neanche ringrazia. Anche lui, come il campione di Machiavelli, preferisce essere più temuto che amato. Oggi festeggia la conquista di Generali. È da vent’anni il suo sogno. Vedremo se dio o la procura, gli faranno il dispetto di esaudirlo.
"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".
mercoledì 3 dicembre 2025
MadeinItaly. 70 “Italia Siamo Anche Noi?”.
In un famosissimo film
di George Cukor del 1944, "Gaslight" (in italiano "Angoscia"),
il perfido Gregory, interpretato da Charles Boyer, manomette le luci a gas
della casa per far credere alla moglie Paula (Ingrid Bergman) che sta perdendo
la ragione. Non a caso viene da quel film la parola gaslighting, che indica la
manipolazione psicologica e la capacità di ingannare gli altri a proprio vantaggio:
in genere il termine si applica alle relazioni, però andrebbe anche riferito
alla politica italiana, visto che a quella americana ha già pensato la
scrittrice Rebecca Solnit, che ha parlato di gaslighting già dalla prima
elezione di Donald Trump. In Italia le cose sono più complicate da decifrare,
ma basta pensarci su e mettere in fila tutte le improbabili dichiarazioni degli
esponenti dell'esecutivo dal 2022 a oggi: una valanga di assurdità che però
hanno l'utile compito di distrarci da quello che il governo fa e soprattutto
non fa, con un effetto di saturazione collettiva che fa sospirare a ogni
esternazione. Restando alla cronaca recente, il ministro Nordio in una sola
settimana è riuscito a dar ragione a Licio Gelli e a parlare della violenza sulle
donne come frutto del codice genetico dell'uomo e della darwiniana legge del
più forte. Non avendo ancora notizie su eventi sismici all'abbazia di
Westminster, dove Darwin è sepolto, restiamo a Gelli: il ministro ha detto che,
insomma, se diceva cose giuste non si vede perché non seguirle, e ha persino
premesso di non conoscere il piano della P2. Come utile ripasso, si può
ricordare che la Loggia P2 aveva finanziato l'attentato all'Italicus, che aveva
depistato le indagini sulla strage di Bologna, e che, volendo informarsi, del
piano di Rinascita Democratica Gelli parlò a Maurizio Costanzo (tessera 1819)
sul Corriere della Sera diretto da Franco Di Bella (tessera 1887). Sui
femminicidi è intervenuta anche la ministra Roccella, che dopo aver negato la
correlazione fra educazione sessuale e riduzione della violenza ha rilasciato
questa mirabolante dichiarazione: «Ogni donna che non viene uccisa è un fatto
positivo». Che è come dire che nella distruzione di Pompei ed Ercolano nel 79
sono, sì, morte duemila persone ma per fortuna Plinio il Giovane era altrove e
ha potuto raccontare a Tacito quel che era accaduto. Finalino con Ignazio La
Russa. Che si è difeso con ardore dalle polemiche sulla sua presenza al
convegno su Pasolini conservatore citando la solita poesia del 1968 "Il
Pci ai giovani", da cui è derivata l'idea che Pasolini stesse con i
poliziotti. Peccato che si citi solo una parte di quella poesia e non
l'integrale, dove tra l'altro Pasolini descrive i poliziotti "umiliati
dalla perdita della qualità di uomini / per quella di poliziotti" e gli
studenti come "miei fratelli". Due mesi dopo, Pasolini sostenne la
proposta di disarmare la polizia. Il governo, insomma, ci intrattiene, manomette
le luci e ci induce a distrarci dall'analisi critica del presente. (…). (Tratto da “Un governo di esperti
manipolatori” di Loredana Lipperini pubblicato sul settimanale “L’Espresso”
del 28 di novembre 2025).
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