Tanto per dire di come siano
mutevoli le “rotte” delle umane esistenze, di come esse siano soggette a quell’imponderabile
che le renda a volte simili a leggeri navigli in un mare burrascoso. Tratto da «Il nuovo realismo sradica il populismo»,
intervista di Bruno Gravagnuolo al professor Maurizio Ferraris pubblicata sul
quotidiano l’Unità del 27 di settembre dell’anno 2012: (…). Professor Ferraris, non
crede che limitarsi a dire che le cose e i fatti esistono «oggettivamente» non
ci faccia fare nessun passo avanti, né etico né conoscitivo? «Prendiamo la cosa
da un altro verso: non crede che dire che le cose e i fatti non esistono
oggettivamente (se vuole può anche aggiungere le virgolette, anche se io non ne
vedo il motivo) ci faccia fare dei passi in avanti sotto il profilo etico e
conoscitivo? Crede che dire che il bianco è nero, che il mondo è una
rappresentazione, o che non c’è niente di oggettivo, nemmeno la Shoah,
costituisca un avanzamento morale e un progresso del sapere? Io non lo credo, e
penso che non lo creda neanche lei. Senza dimenticare poi che il fatto che le
cose e i fatti esistano oggettivamente è vero, e il suo contrario è falso. Mi
sembra un argomento non trascurabile. (…).».
Nulla è nell’intelletto che prima
non fosse nei sensi, diceva un filosofo a Lei ben noto. Che aggiungeva: sì, a
parte lo stesso intelletto. Qualche a-priori dovremmo pure ammetterlo, per
articolare concettualmente alcunché. Che obietta? «Se si riferisce al detto
“Nulla è nell’intelletto che non fosse prima nei sensi, a parte l’intelletto”,
i filosofi sono due. Tommaso d’Aquino, nel Medio Evo, sosteneva per l’appunto
che “nulla è nell’intelletto che non fosse prima nei sensi”. Quattro secoli
dopo, Leibniz, in polemica con gli empiristi, ha aggiunto “sì, a parte lo
stesso intelletto”. Voleva dire che non tutto si impara per esperienza, per
esempio posso concepire un poligono di mille lati senza averlo mai incontrato
nell’esperienza. Non ho niente da obiettare neanche su questo. Morale: sono
d’accordo sia con Tommaso, sia con Leibniz. Mi sembrano affermazioni molto
ragionevoli, che però non sono pertinenti al dibattito tra realismo e
antirealismo, che non riguarda la contrapposizione tra conoscenze a priori e
conoscenze a posteriori, bensì lo stabilire se gli oggetti naturali dipendano
in qualche modo dai soggetti (come sostengono gli antirealisti) oppure no (come
sostengono i realisti, i quali peraltro ammettono tranquillamente che gli
oggetti sociali dipendono dai soggetti)».
Crede che gli idealisti moderni
Hegel primo fra tutti ritenessero che la realtà fosse un fantasma spirituale e
non avesse nulla di oggettivo? Non era quello di Hegel un idealismo oggettivo
dove tutto era logico e massimamente oggettivo e razionale, perfettamente
conoscibile e senza trascendenza religiosa? Per inciso: quando Umberto Eco
afferma con Aristotele che v'è un «senso» nelle cose, lei come reagisce?
«Hegel, come Kant, come tanti filosofi dei secoli scorsi, confondeva
l’epistemologia (quello che sappiamo) con l’ontologia (quello che c’è). Era
probabilmente il risultato del grande e meritevole progresso della scienza
moderna: riusciamo a fare delle previsioni attendibili, riusciamo a
matematizzare la natura, dunque il mondo si risolve nel sapere. Questa
posizione ci trasforma tutti in piccoli fisici e in piccoli chimici, è come se
noi, nel rapportarci al mondo, fossimo sempre in un laboratorio, e invece non è
così. Se io mi scotto, o se sono depresso, lo sono sia che io sappia tutto di
fisiologia, sia che lo ignori completamente. Ed è per questo che, con Eco, con
Aristotele, con Gibson, con i gestaltisti, con Husserl, con Hartmann, e con il
mondo intero quando non indossa i panni del filosofo trascendentale, affermo
che le cose hanno un senso anche indipendentemente dalla nostra attività
conoscitiva».
Davvero il realismo empirico può salvarci dalle ideologie e dai populismi e pertanto è intimamente democratico? Non teme lo scientismo e la conversione in dato naturale di relazioni economiche e sociali storicamente determinate, come accade nell’economia liberale e liberista? «Anche qui mi piacerebbe capovolgere la domanda e chiederle: davvero l’idealismo trascendentale è intimamente democratico e può salvarci dalle ideologie e dai populismi? La domanda suona assurda, quasi comica. E allora perché se capisco bene mi attribuisce una tesi non meno assurda e comica come quella secondo cui il realismo empirico (che per inciso non è affatto la mia posizione, visto che, per esempio, sono realista anche rispetto ai numeri, che non sono oggetti d’esperienza) ci salverebbe dal populismo? Io dico semplicemente che il populismo, come si è visto ad abundantiam, attua il principio secondo cui “non ci sono fatti, solo interpretazioni”, e sono convinto che su questo punto sarà d’accordo anche Lei, insieme a tanti realisti empirici e idealisti trascendentali che hanno assistito alle cronache degli ultimi vent’anni. Quanto allo scientismo, ho appena spiegato che la confusione tra ontologia ed epistemologia, dunque lo scientismo e il naturalismo, sono un errore molto diffuso nella filosofia dopo Kant, a cui reagisce il realismo. Perciò quando invito a non confondere gli oggetti sociali con gli oggetti naturali mi impegno proprio a evitare la naturalizzazione di elementi sociali. Non era proprio quello che proponeva Marx quando criticava gli economisti del Settecento?».
Secondo i suoi critici,
debolisti, ontologi, metafisici, o post-marxisti, il pensiero è inseparabile
dal processo conoscitivo delle cose. Lo era anche per Kant, per il quale
l'oggetto andava costruito con le categorie dell'intelletto. Anche Kant stringi
stringi era anti-realista? «La mia posizione realista si fonda proprio sulla
tesi secondo cui, confondendo l’essere con il sapere, il trascendentalismo
kantiano ha avuto un esito antirealista. Dunque non c’è tanto da stringere: gli
antirealisti degli ultimi due secoli derivano da Kant, per il quale “le
intuizioni senza concetto sono cieche”, quanto dire che non si possono avere
esperienze di oggetti senza averne dei concetti. Il che è problematico e
richiede delle distinzioni che Kant non ha fatto: vale per gli oggetti sociali
(un tipo di oggetti che Kant non aveva preso in considerazione) ma non per gli
oggetti naturali (quelli a cui Kant si riferiva). Certo, se non avessi il
concetto di “intervista” non saprei che cosa stiamo facendo in questo momento,
ma ciò non significa che per avere mal di testa devo avere il concetto di
“emicrania”. Quanto alla prima parte della sua domanda, sinceramente non
capisco: poiché sono fermamente convinto del fatto che “il pensiero è comunque
inseparabile dal processo conoscitivo”, sono perfettamente d’accordo, su questo
punto, con i debolisti, con gli ontologi (che è poi la categoria a cui
appartengo) e con tutti gli altri tipi filosofici che Lei menziona, e che non
mi risulta mi abbiano mai obiettato nulla del genere. Se poi qualcuno, per avventura,
lo avesse fatto, mi permetto educatamente di dirgli che si è sbagliato, e che
non troverebbe nei miei libri una sola riga a sostegno di una tesi così
stravagante come quella secondo cui si può conoscere senza pensare».
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