Tratto da “Cara
Finocchiaro, nessuna poltrona dev’essere eterna” di Luisella Costamagna, pubblicato
su “il Fatto Quotidiano” del 6 di settembre 2018:
Cara Anna Finocchiaro, ho letto con
apprensione la sua intervista al Corriere della Sera: “Dopo 30 anni di politica
il ministro mi costringe a fare il pm”. Già dovermi rivolgere a lei senza più
alcun appellativo – onorevole, senatrice, ministro – genera struggimento, ma
scoprire addirittura che, dopo decenni di impegno al servizio delle istituzioni
e di tutti noi, il nuovo Guardasigilli Alfonso Bonafede le nega il posto al
dicastero di via Arenula chiesto (e ottenuto) per lei al Csm dall’ex ministro
Andrea Orlando, mettendo così a repentaglio il suo futuro professionale, sfiora
la commozione. Com’è possibile che una figura di così alto profilo, per di più
donna di polso che fa onore al genere, si possa “costringere”? I paladini della
dignità del lavoro e le vestali del femminismo dove sono? Ancora in vacanza? “Dopo
30 anni di Parlamento non posso tornare a fare giurisdizione attiva”, “i
giudici che fanno politica non hanno la terzietà per rientrare nel loro ruolo”:
parole sacrosante che arrivano dritte al cuore. Asciugo la lacrima e provo a
recuperare un po’ di lucidità: se pensa (giustamente) che i magistrati in
politica non possano, una volta finito il mandato, avere l’indipendenza
necessaria per tornare al vecchio mestiere, perché non ha lasciato
definitivamente la toga? Non dico subito, ma quando ha capito che il sacro
fuoco istituzionale era ormai la sua strada e gli anni diventavano decenni, non
poteva dimettersi dalla magistratura? Perché invece ha rinnovato l’aspettativa
a ogni tornata elettorale, ottenendo anche avanzamenti di carriera fino al
massimo, se la toga non voleva più indossarla? Anche un normale ufficio
giudiziario, che farebbe tesoro della sua esperienza, le andrebbe stretto? Mica
vorrà farci pensar male, cioè che teneva alla doppia poltrona – giudice e
parlamentare – soprattutto per la doppia pensione, maturata in questi 30 anni
anche grazie ai contributi pagati dalla collettività (fino al 2000 interamente
dall’Inps, poi per due terzi)? No, una persona elevata come lei non può aver
fatto calcoli così bassi. Donna-simbolo della politica nazionale che ha deciso
onorevolmente di lasciare il Parlamento (nel Paese in cui al massimo i politici
lasciano la moglie) senza aspettare rottamazioni sommarie, mica avrà contato
sul “tanto un posticino al ministero ce l’ho”? E non è certo per farle evitare
il ritorno in aula che l’Orlando Sereno s’è speso per lei in zona Cesarini del
governo Gentiloni (la richiesta al Csm è del 18 aprile scorso, dopo le
elezioni). Non scherziamo. Cara dott.ssa Finocchiaro – una qualifica le spetta,
chiedo venia – a questo punto non crede sia meglio farsene una ragione? Se
Bonafede non vuole portarla alla Giustizia, mica lei vuole portarlo in
tribunale, vero? Con un “assegno per il reinserimento nella vita lavorativa” da
45 mila euro a legislatura – e lei ne ha un record – qualche giorno di
tranquillità per guardarsi intorno lo ha. E se proprio non trova niente, come
molti italiani, può sempre (a differenza loro) godersi il vitalizio da
parlamentare: certo ci sono i tagli del presidente della Camera Roberto Fico
(‘sti grillini senza rispetto per le “istituzioni”!), ma partendo da circa 9
mila euro lordi al mese, vedrà che le resterà abbastanza almeno per un altro
shopping all’Ikea. Anche se senza scorta. Un cordiale saluto.
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