Tratto da “La
ragion pratica del web di cui oggi abbiamo bisogno” di Maurizio Ferraris,
pubblicato sul quotidiano la Repubblica dell’8 di settembre dell’anno 2016: In
uno dei suoi ultimi libri, la conversazione con Jean-Claude Carrière “Non
sperate di liberarvi dei libri”, Umberto Eco faceva notare che ci sono volute
un po’ di generazioni di galline per imparare a non finire sotto le automobili.
Ecco il senso minimale di ciò che intendo con “ragion pratica per il web”. Le
galline finivano sotto le automobili perché le scambiavano per carrozze. È
quello che accade a noi con il web. In molti lo consideriamo una
super-televisione, facendoci trarre in inganno dal fatto che nei due casi c’è
uno schermo; ma non si considera che c’è anche una tastiera, e una memoria, e
che la differenza è tutta lì: non si tratta di uno strumento passivo di
comunicazione, ma di uno strumento attivo di registrazione, di un archivio, di
un sistema di costruzione della realtà sociale e di mobilitazione della intenzionalità
individuale e collettiva. Senza registrazione ci sono alberi e sedie ma non
matrimoni o titoli nobiliari, crisi economiche o premi Nobel. È così da sempre,
ed è per questo che documenti, monumenti e riti sono così importanti. È la
documentalità, ancora più importante della “governamentalità” di cui parlava
Foucault, perché ne è la condizione: niente potere senza registrazione. La
novità è che il web porta alla luce del sole ciò che in altri tempi era un
arcanum imperii. Chiamo questa situazione “documedialità” (documentalità +
medialità), la condizione emersa con la diffusione capillare del web, e di cui
non abbiamo ancora preso le misure: è tra noi, ma non si sa che cos’è, e si
pensa magari che sia il sogno di uno scienziato pazzo. Non lo dico tanto per
parlare: nella calma di agosto si è letto un articolo in cui si sosteneva che
il grande dittatore, Putin, disporrebbe di un apparato diabolico, il Nooskop,
capace di scrutare nelle anime dei suoi sudditi: «una specie di computer
collegato a sensori di diverso tipo che registrano tutto quello che è successo
nel tempo e nello spazio, fino alle transazioni delle carte di credito e agli
scambi di ogni genere tra persone». Che perversità, che malizia: ma perché una
specie di computer? E perché chiamare “Nooskop” quello che c’è già, e si chiama
web? Il Nooskop, o web che dir si voglia, è l’assoluto, letteralmente: con ciò
che è absolutus, che non ha legami. Il web è una rete che lega tutto e che non
è legata a nulla – tranne, e non è un dettaglio, alla rete elettrica.
Ma non c’è assoluto che non abbia a sua volta dei vincoli tecnici, si pensi alle dispute trinitarie o ai problemi della dialettica hegeliana. Dunque, e sia pure con il suoi legami pericolosi con la rete elettrica, il web è l’assoluto: il sapere assoluto, sul mondo e su noi stessi. La mobilitazione è il risultato primario di questo assoluto. Siamo continuamente stimolati ad agire, a fare cose (nel caso minimo, a rispondere). Il web è il solo apparato che può spingere qualcuno a lavorare dovunque e a qualunque ora, e magari a farlo gratuitamente, per esempio alimentando i social network o dando, attraverso la propria attività in rete, informazioni su di sé utili a terzi. Perché è impossibile non rispondere all’appello? Come funziona il comando? Per responsabilizzazione: hai ricevuto il mio messaggio, so che lo hai ricevuto (specie se hai whatsapp), tutto è registrato, bisogna che tu risponda altrimenti è come se tu distogliessi lo sguardo dal volto dell’altro. Per ritorsione: se non mi rispondi, la prossima volta che mi cerchi non rispondo, e alla lunga sarà la morte civile. Per minaccia: se non mi rispondi, ci sono decine (centinaia, migliaia) di altri che risponderanno al tuo posto. La base di questi atteggiamenti è la registrazione. All’epoca del fisso, le chiamate non lasciavano traccia, adesso ognuna lascia traccia, e in gran parte sono scritte – non ci sono scuse, siamo colpevoli. Si tratta di alienazione, come si dice e si ripete? No. La tecnica non è alienazione, ma rivelazione di quello che noi siamo, animali bisognosi di tecnica, e prontissimi a scambiare una libertà immaginaria con una sicurezza e un conforto reali. Niente è più falso della sentenza di Heidegger secondo cui solo l’uomo ha un mondo, mentre l’animale sarebbe povero di mondo. Solo gli umani, per esempio, sanno, e fin troppo bene, che cosa sia la povertà materiale e soprattutto solo gli umani sperimentano, in loro e nel loro prossimo, la povertà di spirito, e se “avere un mondo” ha un senso qualsiasi, questo si rivela nella povertà piuttosto che nella ricchezza. Il bastone è la più rudimentale delle tecnologie, ma lo smartphone è il più sofisticato dei bastoni. Se le cose stanno così, bisogna capovolgere la prospettiva: solo l’uomo è povero di mondo e proprio per questo ha bisogno di tecnica, e anzitutto di quelle tecniche capitali che sono la cultura e le libertà, cioè appunto la ragion pratica. Che siano tecniche lo si capisce dal fatto che richiedono esercizio, abilità, istituzioni e fatica: cultura e libertà non scendono dal cielo. Che siano capitali dipende dalla circostanza per cui cultura e libertà sono le uniche capaci di uno sviluppo riflessivo. Nessuno ha previsto gli sviluppi della ruota, del fuoco, della scrittura o del web, ma ognuna di queste tecniche ha aiutato la cultura a rispondere alla domanda: che cosa è l’uomo? E questa consapevolezza ha insegnato a quell’altra tecnica che è la libertà a rispondere, con l’azione politica e con la decisione morale, agli imperativi di altre tecniche, che sono tassativi solo per chi (in genere, per mancanza di cultura) pretende che lo siano. Di qui l’esigenza, anzitutto per il web, di una basilikè téchne (la tecnica politica che cerca il meglio per la società) per esprimersi con Platone, e di una educazione della volontà, come diceva Kant. Cioè appunto di una ragion pratica. Sembra ovvio ma non è così: basti considerare che la tecnica sembra riassumersi ancor oggi, nei programmi di insegnamento, nella trinità Inglese- Internet-Impresa, e che la riflessione più critica si limita (lo rivela benissimo lo sgomento per il Nooskop) a richieste di tutela della privacy. Ma la tecnica non è solo (per fortuna) una nuova lingua sacra in cui manifestare azioni di cui non si capisce il senso, né la libertà può consistere nella libertà puramente negativa del non lasciare tracce, del diritto all’oblio. Sarebbe impotenza e in molti casi ingiustizia. No: la ragion pratica del web deve consistere in una libertà positiva, e la speranza va riposta nel progresso di quella tecnica peculiare che è la cultura umanistica. La cultura è ragion pratica. Non è erudizione, è il tentativo di capire il presente e di trasformarlo, anzitutto guardando all’umano senza farsi troppe illusioni. È proprio di qui che si deve partire, per rilanciare la cultura che, ripeto, non è il contrario della tecnica, ma è la tecnica in senso eminente, ed è anche l’unica tecnica che può, in linea di principio, essere guidata da una ragion pratica – dove “pratico” va inteso in senso kantiano: ciò che è possibile attraverso la libertà, una libertà che è a sua volta una tecnica, la più difficile.
Ma non c’è assoluto che non abbia a sua volta dei vincoli tecnici, si pensi alle dispute trinitarie o ai problemi della dialettica hegeliana. Dunque, e sia pure con il suoi legami pericolosi con la rete elettrica, il web è l’assoluto: il sapere assoluto, sul mondo e su noi stessi. La mobilitazione è il risultato primario di questo assoluto. Siamo continuamente stimolati ad agire, a fare cose (nel caso minimo, a rispondere). Il web è il solo apparato che può spingere qualcuno a lavorare dovunque e a qualunque ora, e magari a farlo gratuitamente, per esempio alimentando i social network o dando, attraverso la propria attività in rete, informazioni su di sé utili a terzi. Perché è impossibile non rispondere all’appello? Come funziona il comando? Per responsabilizzazione: hai ricevuto il mio messaggio, so che lo hai ricevuto (specie se hai whatsapp), tutto è registrato, bisogna che tu risponda altrimenti è come se tu distogliessi lo sguardo dal volto dell’altro. Per ritorsione: se non mi rispondi, la prossima volta che mi cerchi non rispondo, e alla lunga sarà la morte civile. Per minaccia: se non mi rispondi, ci sono decine (centinaia, migliaia) di altri che risponderanno al tuo posto. La base di questi atteggiamenti è la registrazione. All’epoca del fisso, le chiamate non lasciavano traccia, adesso ognuna lascia traccia, e in gran parte sono scritte – non ci sono scuse, siamo colpevoli. Si tratta di alienazione, come si dice e si ripete? No. La tecnica non è alienazione, ma rivelazione di quello che noi siamo, animali bisognosi di tecnica, e prontissimi a scambiare una libertà immaginaria con una sicurezza e un conforto reali. Niente è più falso della sentenza di Heidegger secondo cui solo l’uomo ha un mondo, mentre l’animale sarebbe povero di mondo. Solo gli umani, per esempio, sanno, e fin troppo bene, che cosa sia la povertà materiale e soprattutto solo gli umani sperimentano, in loro e nel loro prossimo, la povertà di spirito, e se “avere un mondo” ha un senso qualsiasi, questo si rivela nella povertà piuttosto che nella ricchezza. Il bastone è la più rudimentale delle tecnologie, ma lo smartphone è il più sofisticato dei bastoni. Se le cose stanno così, bisogna capovolgere la prospettiva: solo l’uomo è povero di mondo e proprio per questo ha bisogno di tecnica, e anzitutto di quelle tecniche capitali che sono la cultura e le libertà, cioè appunto la ragion pratica. Che siano tecniche lo si capisce dal fatto che richiedono esercizio, abilità, istituzioni e fatica: cultura e libertà non scendono dal cielo. Che siano capitali dipende dalla circostanza per cui cultura e libertà sono le uniche capaci di uno sviluppo riflessivo. Nessuno ha previsto gli sviluppi della ruota, del fuoco, della scrittura o del web, ma ognuna di queste tecniche ha aiutato la cultura a rispondere alla domanda: che cosa è l’uomo? E questa consapevolezza ha insegnato a quell’altra tecnica che è la libertà a rispondere, con l’azione politica e con la decisione morale, agli imperativi di altre tecniche, che sono tassativi solo per chi (in genere, per mancanza di cultura) pretende che lo siano. Di qui l’esigenza, anzitutto per il web, di una basilikè téchne (la tecnica politica che cerca il meglio per la società) per esprimersi con Platone, e di una educazione della volontà, come diceva Kant. Cioè appunto di una ragion pratica. Sembra ovvio ma non è così: basti considerare che la tecnica sembra riassumersi ancor oggi, nei programmi di insegnamento, nella trinità Inglese- Internet-Impresa, e che la riflessione più critica si limita (lo rivela benissimo lo sgomento per il Nooskop) a richieste di tutela della privacy. Ma la tecnica non è solo (per fortuna) una nuova lingua sacra in cui manifestare azioni di cui non si capisce il senso, né la libertà può consistere nella libertà puramente negativa del non lasciare tracce, del diritto all’oblio. Sarebbe impotenza e in molti casi ingiustizia. No: la ragion pratica del web deve consistere in una libertà positiva, e la speranza va riposta nel progresso di quella tecnica peculiare che è la cultura umanistica. La cultura è ragion pratica. Non è erudizione, è il tentativo di capire il presente e di trasformarlo, anzitutto guardando all’umano senza farsi troppe illusioni. È proprio di qui che si deve partire, per rilanciare la cultura che, ripeto, non è il contrario della tecnica, ma è la tecnica in senso eminente, ed è anche l’unica tecnica che può, in linea di principio, essere guidata da una ragion pratica – dove “pratico” va inteso in senso kantiano: ciò che è possibile attraverso la libertà, una libertà che è a sua volta una tecnica, la più difficile.
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