Tratto da “Povera
Italia, dove anche la satira è stata annientata dalla realtà” di Beppe
Sebaste, pubblicato sul settimanale “il Venerdì” del 18 di febbraio dell’anno
2011: Ci siamo rimpinzati di satira, trasformando per anni la nostra
indignazione in parole sempre più raffinate e irriverenti. Biografi
dell’inaccettabile, ci siamo dimenticati che i dittatori non vengono scalfiti
dalla nostra sapienza retorica. In tv e su Internet, la dose di satira
quotidiana ci ha dato quel tanto di immunità dall’imbarbarimento, ma era un
buon alibi per il potere in carica, e rischio per noi di assuefazione.
Confesso il mio disagio vedendo l’ultimo film di Antonio Albanese, Qualunquemente. La barbarie ostentata del personaggio, la noncuranza dei crimini contro l’ambiente, dopo le intercettazioni del clan Bertolaso in Campania e anni di governo che ha legittimato nefandezze a 360 gradi, dà un effetto di saturazione insopportabile, nonostante la grande maestria di Albanese. Non è lo specchio deformante della realtà, semmai sarebbe la realtà a essere specchio deformante della satira, se da tempo non la fagocitasse facendo dell’intollerabile spettacolo e dei soprusi moda trandy. Il rovesciamento dei valori in crimini, che nel film è sistematico quando Cetto Laqualunque scende in campagna elettorale, è una storia che riconosciamo: dura da tre lustri. La satira ci illumina? No, ci abitua un po’ di più a convivere col napalm della devastazione. Reperto Rai/Ot, spettacolo di Sabina Guzzanti, narrava la Resistenza contro una dittatura mediatica: una distesa di lapidi sul palco evocava la “strage di parole” di questi anni - giustizia, verità, sogno e troppe altre – finché “ne rimasero solo due: pizza e bancomat” (oggi aggiungeremmo “escort”). Sono passati anni, ma era già allora tardiva la denuncia del nuovo fascismo pubblicitario che attualizzava George Orwell e la neo-lingua di 1984. Senza una vera opposizione, anche linguistica, la satira ha preso il posto della politica, restando sola nel dire la verità. Sembrava “poco satirica”, perché descriveva in modo lineare cose e fatti: non caricatura, ma denudamento della realtà dalle sue barocche menzogne. Per la destra era diffamazione, per la sinistra cose risapute ma taciute dai politici. La Guzzanti è passata al cinema di inchiesta, e oggi la satira, pur pregevole, appare come un fattore di assuefazione alla nostra miserabile condizione: quell’impotenza, o palude comunicativa, che sperimentiamo tra indignazione e sarcasmo quando parliamo di politica con gli amici. Lo spiegò Luttazzi, con la sua enunciazione feroce: il bunga-bunga è ciò che Berlusconi fa da 15 anni all’Italia, e soprattutto alla sinistra. Hai voglia a riderne.
Confesso il mio disagio vedendo l’ultimo film di Antonio Albanese, Qualunquemente. La barbarie ostentata del personaggio, la noncuranza dei crimini contro l’ambiente, dopo le intercettazioni del clan Bertolaso in Campania e anni di governo che ha legittimato nefandezze a 360 gradi, dà un effetto di saturazione insopportabile, nonostante la grande maestria di Albanese. Non è lo specchio deformante della realtà, semmai sarebbe la realtà a essere specchio deformante della satira, se da tempo non la fagocitasse facendo dell’intollerabile spettacolo e dei soprusi moda trandy. Il rovesciamento dei valori in crimini, che nel film è sistematico quando Cetto Laqualunque scende in campagna elettorale, è una storia che riconosciamo: dura da tre lustri. La satira ci illumina? No, ci abitua un po’ di più a convivere col napalm della devastazione. Reperto Rai/Ot, spettacolo di Sabina Guzzanti, narrava la Resistenza contro una dittatura mediatica: una distesa di lapidi sul palco evocava la “strage di parole” di questi anni - giustizia, verità, sogno e troppe altre – finché “ne rimasero solo due: pizza e bancomat” (oggi aggiungeremmo “escort”). Sono passati anni, ma era già allora tardiva la denuncia del nuovo fascismo pubblicitario che attualizzava George Orwell e la neo-lingua di 1984. Senza una vera opposizione, anche linguistica, la satira ha preso il posto della politica, restando sola nel dire la verità. Sembrava “poco satirica”, perché descriveva in modo lineare cose e fatti: non caricatura, ma denudamento della realtà dalle sue barocche menzogne. Per la destra era diffamazione, per la sinistra cose risapute ma taciute dai politici. La Guzzanti è passata al cinema di inchiesta, e oggi la satira, pur pregevole, appare come un fattore di assuefazione alla nostra miserabile condizione: quell’impotenza, o palude comunicativa, che sperimentiamo tra indignazione e sarcasmo quando parliamo di politica con gli amici. Lo spiegò Luttazzi, con la sua enunciazione feroce: il bunga-bunga è ciò che Berlusconi fa da 15 anni all’Italia, e soprattutto alla sinistra. Hai voglia a riderne.
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