Da “Il
maramaldo e i fratelli Marx” di Daniela Ranieri, pubblicato su “il Fatto
Quotidiano” del 15 di febbraio dell’anno 2017: Spifferi pilotati ad arte
anticipano che sarà una “sfida”, anzi una “partita a scacchi”: il Leader
procederà alla “conta”. Il Kasparov della cazzata è lì, accanto al capo del
governo che ne fa le veci: maglioncino da seminarista dell’Opus Dei, canta l’inno
nazionale manco fossimo in guerra, col petto gonfio e il mento alto. Ci manca
che chiuda gli occhi come i calciatori. Lo streaming certifica che Mameli è
preceduto dalla hit vincitrice di Sanremo Occidentali’s Karma, che Matteo si
intesta in quanto rottamatrice della tradizione degli Al Bano e Ron, i D’Alema
e Bersani della musica. Siam pronti alla morte. Loro. Noi alla direzione del
Pd, e non si sa a chi va meglio. La voce di Orfini. Ogni volta dimentichiamo
quali picchi di ancestrale fastidio possa provocare.
Tu ti aspetti che dopo la sventola che ha preso (referendum costituzionale del 4 di dicembre dell’anno 2016 n.d.r.), Renzi sia l’ultimo a parlare; invece, solito schema: lui perora sé stesso, a chi le dà e a chi le promette; gli altri seguono, divisi in borbottanti conniventi, veementi critici, convergenti paralleli, gregari. Il Capo ammette: “Colpa mia, responsabilità mia”, ma è quel che i dottori della mente chiamano tecnica passivo-aggressiva. Denuncia: “Il futuro è sparito dalla narrazione”, e in effetti da quando non c’è lui girano meno scemenze. Spara i consueti superlativi: l’elezione di Trump è “di enorme ricaduta”, anzi “pazzesca”; “l’Europa ha un passaggio fantastico”; il video di Le Pen è “straordinario” (lo disse pure dei video dell’Isis). Gli sberluccica sul polso l’orologio (il Daytona? O il Rolex dei sauditi?) che non deve sfigurare quando prende le chiavi al Four Season di Firenze, dove temporaneamente riceve (515 la Superior, 635 la Camera Premier, che forse è quella che ha scelto lui per ovvi motivi psicologici). È convinto che tra lui e gli italiani sia stato tutto un grande equivoco: “Ripartiamo dai nostri valori”, dice, impegnando i cervelli di mezza Italia a cercar di ricordare quali valori abbia mai avuto. Poi l’uomo che sussurrava alle Meli fa un appello ai media: “Toglietemi dal pastone. Non mettetemi in scene e retroscena”, lui, così schivo. Giura: “Siamo persone miti”, e intende loro “i renziani”, e infatti: “Li seppelliamo”, confiderà alla sua biografa ufficiale del Corriere. In platea D’Alema tace, superbo come uno dei suoi ulivi da 1500. Seguono interventi di fuoco (si fa per dire: chiunque sa che prenderebbe meno voti di lui, quindi se lo tengono buono sperando che di farlo fuori alle primarie; intanto lasciano che maramaldeggi ancora alla faccia degli italiani). D’un tratto, bagarre semiotica: i pasticcioni si sono accorti che dei due odg, uno, se non approvato, determina di per sé la fine del governo. Orfini spiega la questione con la consueta verve, poi la direzione dei fratelli Marx decide di votare solo la mozione “congresso” perché l’altra esprime sostegno a Gentiloni e non si vuole correre il rischio che non passi (o che passi?). Mah, affari loro, si vedranno a Filippi. Nota di colore: “Non possiamo più prendere in giro la nostra gente”, ha detto il Leader, e nel dirlo aveva gli occhi velati di nostalgia.
Tu ti aspetti che dopo la sventola che ha preso (referendum costituzionale del 4 di dicembre dell’anno 2016 n.d.r.), Renzi sia l’ultimo a parlare; invece, solito schema: lui perora sé stesso, a chi le dà e a chi le promette; gli altri seguono, divisi in borbottanti conniventi, veementi critici, convergenti paralleli, gregari. Il Capo ammette: “Colpa mia, responsabilità mia”, ma è quel che i dottori della mente chiamano tecnica passivo-aggressiva. Denuncia: “Il futuro è sparito dalla narrazione”, e in effetti da quando non c’è lui girano meno scemenze. Spara i consueti superlativi: l’elezione di Trump è “di enorme ricaduta”, anzi “pazzesca”; “l’Europa ha un passaggio fantastico”; il video di Le Pen è “straordinario” (lo disse pure dei video dell’Isis). Gli sberluccica sul polso l’orologio (il Daytona? O il Rolex dei sauditi?) che non deve sfigurare quando prende le chiavi al Four Season di Firenze, dove temporaneamente riceve (515 la Superior, 635 la Camera Premier, che forse è quella che ha scelto lui per ovvi motivi psicologici). È convinto che tra lui e gli italiani sia stato tutto un grande equivoco: “Ripartiamo dai nostri valori”, dice, impegnando i cervelli di mezza Italia a cercar di ricordare quali valori abbia mai avuto. Poi l’uomo che sussurrava alle Meli fa un appello ai media: “Toglietemi dal pastone. Non mettetemi in scene e retroscena”, lui, così schivo. Giura: “Siamo persone miti”, e intende loro “i renziani”, e infatti: “Li seppelliamo”, confiderà alla sua biografa ufficiale del Corriere. In platea D’Alema tace, superbo come uno dei suoi ulivi da 1500. Seguono interventi di fuoco (si fa per dire: chiunque sa che prenderebbe meno voti di lui, quindi se lo tengono buono sperando che di farlo fuori alle primarie; intanto lasciano che maramaldeggi ancora alla faccia degli italiani). D’un tratto, bagarre semiotica: i pasticcioni si sono accorti che dei due odg, uno, se non approvato, determina di per sé la fine del governo. Orfini spiega la questione con la consueta verve, poi la direzione dei fratelli Marx decide di votare solo la mozione “congresso” perché l’altra esprime sostegno a Gentiloni e non si vuole correre il rischio che non passi (o che passi?). Mah, affari loro, si vedranno a Filippi. Nota di colore: “Non possiamo più prendere in giro la nostra gente”, ha detto il Leader, e nel dirlo aveva gli occhi velati di nostalgia.
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