Da “A chi appartiene la legge elettorale” di Gustavo Zagrebelsky ,
pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” del 7 di febbraio dell’anno 2017: Gli
elettori non esistono in natura. Sono il prodotto delle leggi e dei sistemi
elettorali. Neanche le parole degli elettori, i loro voti, sono un dato
naturale. Dipendono dagli artifici in cui sono inseriti e conteggiati per
produrre un risultato. Il voto può essere rispettato, maneggiato, manipolato,
reso vano e, perfino, orientato verso esiti desiderati da coloro che fanno e
disfanno le leggi elettorali: leggi “performative” che non regolano ma creano
il loro oggetto. Non si sta parlando di cose come brogli o corruzione. Si sta
parlando degli effetti di ogni legge il cui compito sia trasformare i voti in
seggi. In quella trasformazione stanno tutte le possibilità appena dette. Si
comprende così il significato dell’affermazione iniziale: gli elettori sono
l’effetto delle leggi elettorali. Queste, per così dire, “fanno l’elettore”, lo
rispettano o lo usano; sono neutrali o sono faziose; sono sincere o sono
mentitorie. Trasformano l’elettore da una realtà virtuale in una realtà
concreta, ed è forse questa la ragione sottintesa che ha indotto la Corte
costituzionale ad ammettere il ricorso contro le ultime leggi elettorali,
indipendentemente dalla loro applicazione: producono un effetto concreto
immediato, quando entrano in vigore. Che cosa sono le leggi elettorali abusive?
Si può trasformare la domanda in quest’altra: di chi sono le leggi elettorali?
La risposta, in teoria, è ovvia: le leggi elettorali, tra tutte le leggi, sono
quelle che più d’ogni altra appartengono ai cittadini; e meno di tutte le
altre, ai governanti. Le leggi elettorali abusive sono quelle fatte dai
governanti come se interessassero, come se appartenessero, a loro. Guardiamo
ora ciò che è accaduto e che accade. Le si fanno (o si cerca di farle) col
fiato corto, guardando all’interesse immediato dei partiti. Così, esse
diventano strumenti di lotta politica orientata dai sondaggi. C’è da stupirsi,
allora, se all’accanimento nelle sedi del potere dove le si elaborano
corrisponda l’indifferenza indispettita di grande parte di cittadini elettori
che assistono alle giravolte, alle contraddizioni, alle furbizie e alle
infinite improvvisate complicazioni che si svolgono sopra la loro testa? Si
comprende poco o niente della riforma, ma si capisce benissimo d’essere
trattati come merce, come possibile “bottino”, e non come soggetti della
democrazia. La giustizia elettorale, qualunque cosa significhi, è sostituita
dagli interessi. I partiti giocano molto della loro credibilità in questa
partita. Esiste un documento della Commissione di Venezia (autorevole consesso
che formula giudizi sullo stato della democrazia nei Paesi europei), adottato
dal Consiglio d’Europa nel 2003, intitolato “codice delle buone pratiche in
materia elettorale”. È un richiamo alla responsabilità e lealtà nei confronti
degli elettori. Vi si legge che «la stabilità del diritto è un elemento
importante per la credibilità di un processo elettorale, ed è essa stessa
essenziale al consolidamento della democrazia. Infatti, se le norme cambiano
spesso, l’elettore può essere disorientato e non capirle, specialmente se
presentano un carattere complesso. A tal punto che potrebbe, a torto o a
ragione, pensare che il diritto elettorale sia uno strumento che coloro che
esercitano il potere manovrano a proprio favore, e che il voto dell’elettore
non è di conseguenza l’elemento che decide il risultato dello scrutinio. Gli
elementi fondamentali del diritto elettorale, e in particolare del sistema
elettorale propriamente detto, non devono poter essere modificati nell’anno che
precede l’elezione, o dovrebbero essere legittimati a livello costituzionale o
ad un livello superiore a quello della legge ordinaria ». Queste proposizioni,
di per sé, non hanno forza di legge. Tuttavia, esse integrano l’articolo 3 del
Protocollo n. 1 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo: diritto a
elezioni libere ed eque. Questo sì ha forza di legge. Sulla sua base la Corte
di Strasburgo ha giudicato una legge della Bulgaria contraria al principio di
neutralità della legge elettorale ( Ekoglasnost contro Bulgaria, n. 30386/05).
Si trattava d’una legge adottata in prossimità delle elezioni che penalizzava
un partito politico a favore degli altri. (…). In Italia, l’abitudine di
cambiare le regole del gioco a pochi mesi dalle elezioni è prassi che pare
normale. Così è accaduto nel 1923-4 con la “legge Acerbo”; nel 1953 con la
“legge-truffa”; nel 1993-4 con la “legge Mattarella”; nel 2005-6 con la “legge
Calderoli”. (…).
Questa situazione non è caduta dal cielo. È il risultato di decisioni assurde, volute da insipienti e arroganti. (…). Indipendentemente da astratte desiderabilità, c’è un solo modo per non incorrere nell’accusa d’una legge dell’ultim’ora a vantaggio degli uni e a danno degli altri, con possibili conseguenze di fronte alla Corte di Strasburgo: una legge proporzionale, con sbarramenti al basso ma senza premi all’alto. Del resto, il proporzionale è l’unico sistema imparziale in un contesto politico non bipolare come è l’attuale. (…). E la “governabilità”? Governare è dei governanti. Sono loro a dover garantire la governabilità e non c’è nessun marchingegno elettorale che può garantirla in carenza di senso di responsabilità, come dovremmo sapere noi in Italia senza possibilità di sbagliarci. Occorreranno coalizioni e compromessi? È probabile. Ma le coalizioni e i compromessi non sono affatto cose negative, sono anzi nell’essenza della democrazia pluralista: dipende da chi le e li fa, in vista di quali obbiettivi e a quali condizioni. Non sono necessariamente “inciuci”, per usare il nostro squallido linguaggio. (…).
Questa situazione non è caduta dal cielo. È il risultato di decisioni assurde, volute da insipienti e arroganti. (…). Indipendentemente da astratte desiderabilità, c’è un solo modo per non incorrere nell’accusa d’una legge dell’ultim’ora a vantaggio degli uni e a danno degli altri, con possibili conseguenze di fronte alla Corte di Strasburgo: una legge proporzionale, con sbarramenti al basso ma senza premi all’alto. Del resto, il proporzionale è l’unico sistema imparziale in un contesto politico non bipolare come è l’attuale. (…). E la “governabilità”? Governare è dei governanti. Sono loro a dover garantire la governabilità e non c’è nessun marchingegno elettorale che può garantirla in carenza di senso di responsabilità, come dovremmo sapere noi in Italia senza possibilità di sbagliarci. Occorreranno coalizioni e compromessi? È probabile. Ma le coalizioni e i compromessi non sono affatto cose negative, sono anzi nell’essenza della democrazia pluralista: dipende da chi le e li fa, in vista di quali obbiettivi e a quali condizioni. Non sono necessariamente “inciuci”, per usare il nostro squallido linguaggio. (…).
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