Da “Che
scuola è se non addestra al pensiero?” di Umberto Galimberti, pubblicato
sul settimanale “D” del 13 di febbraio 2016: Dietro lo slogan dell'alternanza
studio-lavoro c'è l'idea sbagliata che le due attività siano alternative, come
se non fosse proprio la cultura ciò che permette all'uomo di migliorare. Penso (…)
che tutte le scuole secondarie superiori debbano essere scuole di formazione,
il cui obiettivo non è quello di addestrare al lavoro ma di formare l'uomo, con
l'attenzione rivolta alla sua intelligenza per addestrarla al senso critico e
al suo sentimento, per renderlo idoneo ad avvertire, anche senza mediazioni
intellettuali, la differenza tra il bene e il male, tra ciò che è giusto e ciò
che è ingiusto. Quando un giovane è formato, è anche idoneo ad apprendere
qualsiasi attività lavorativa, a partire dalle sue scelte universitarie che lo
addestrano a competenze specifiche. Capisco che oggi parlare di formazione
significa parlare di qualcosa che non interessa ai genitori, che pensano
unicamente all'attività futura che il figlio potrà intraprendere. Questo spiega
per esempio perché assistiamo a un'iscrizione in massa al liceo scientifico,
rispetto al liceo classico, nell'ingenua supposizione che quest'ordine di studi
addestri meglio la mente al mondo della scienza e della tecnica, che è
diventato per noi oggi l'unico mondo, a scapito del modo della vita. Chiamo
mondo della vita quel mondo dove fanno la loro comparsa arte, letteratura,
cinema, teatro: in una parola la cultura, che poi è l'unico tratto per cui
l'uomo si distingue dalla bestia. «Con la cultura non si mangia», diceva un
nostro ministro dell'economia. Non è vero, ma anche se lo fosse, crediamo sul
serio che un popolo possa migliorare e crescere, anche economicamente, senza
cultura? I paesi più avanzati non sono anche quelli in cui la cultura è più
diffusa? Eppure queste considerazioni, tanto ovvie da vergognarsi persino a
ricordarle, collassano di fronte all'atmosfera del nostro tempo, che conosce
come unico generatore simbolico di tutti i valori il denaro. Il denaro non è di
per sé il male, semplicemente è il mezzo per acquistare qualsiasi cosa. Ma cosa
acquista il denaro che circola in una popolazione colta rispetto a una incolta?
Negli anni Sessanta e Settanta, quando la società italiana era un po' più colta
di oggi, si pubblicavano libri che ora non venderebbero neppure una copia
(penso a Heidegger, Horkheimer, Marcuse, Sartre, Foucault, giusto per fare
qualche nome). Di conseguenza, in un paese di scarsa cultura le case editrici
devono piegarsi ad accontentare i gusti un po' elementari, quando non
grossolani, della popolazione, contribuendo a loro volta al decadimento del
livello culturale del paese. Lo stesso può dirsi per il teatro, il cinema,
l'arte che diventa tale solo quando entra nel mercato e si propone come
"evento". Se un lavoro teatrale o un film non raccoglie spettatori in
gran numero già dalla prima settimana, sospende le repliche o viene ritirato,
anche se è intelligente e ben recitato ma forse troppo intelligente per il
livello degli spettatori. Così il degrado viene alimentato e il fiume
dell'ignoranza collettiva s'ingrossa, perché a suo tempo la scuola non ha
generato una curiosità e una fascinazione per la cultura, dato che la sua
preoccupazione è addestrare al futuro mondo del lavoro. Il quale, detto per
inciso, non sa che farsene della presenza periodica o il più delle volte
saltuaria di studenti che, senza praticarlo, lo "visitano" come si
visita una mostra. A questo punto diventano inutili il greco e il latino
giudicate lingue morte, anche se senza quelle noi occidentali non avremmo avuto
accesso all'etica, alla politica, alla democrazia, alla medicina, al teatro
comico e tragico. Alle discipline da eliminare si aggiunge la filosofia, che si
ritiene egregiamente sostituita dalla scienza, anche se questa non dà risposte
alle problematiche più profonde che spesso si agitano tra i pensieri e i
sentimenti dell'uomo. Parlando di "alternanza scuola-lavoro", oggi si
pensa che le due cose siano alternative e, dovendo scegliere, si preferisce
sacrificare l'aspetto formativo a quello che addestra in vista della
produttività e della spendibilità immediata del proprio sapere, posto che nel
frattempo lo si sia acquisito.
Nessun commento:
Posta un commento