Ha lascito scritto Giorgio Bocca in “Valletta, Mattei e la nuova corruzione senza controlli”, pubblicato
sul settimanale “il Venerdì di Repubblica “ nel mese di maggio dell’anno 2010: “(…).
Nell’Italia uscita dalla caduta del fascismo e dalla guerra partigiana, dove i
due partiti di massa, il democristiano e il comunista, erano stati ammaestrati
da una storia tragica a un uso prudente e controllato del potere, le grandi
personalità, gli innovatori, sentivano sul loro collo il fiato della pubblica
opinione, dei milioni di persone che, dopo l’inganno fascista, dopo i sacrifici
della Resistenza, esigevano un governo non solo efficace ma onesto, che
consigliava ai governanti di evitare le tentazioni. La differenza fra allora e
adesso è tutta qui: che adesso le tentazioni non solo vengono cercate, ma
create e offerte da un governo che i controlli non li sente perché li soffoca
in partenza”.
È l’opinione pubblica che è venuta a mancare, così come sostenuto nel post del 30 di gennaio ultimo - “L'abolizione dell'opinione pubblica e l'efficacia persuasiva della televisione” -. Oserei aggiungere in questa occasione un nuovo attributo: “pervasiva”. Tale cioè da impregnare coscienze e memorie. Trasformati tutti in spettatori inerti, acritici, guardoni in ultima analisi. Insomma, gli undicenni televisivi un po’ tonti. Ne aveva parlato tanto tempo addietro ai suoi manutengoli, senza remore o vergogna, l’uomo di Arcore. Ne ha fatto in seguito un suo cavallo di battaglia. Una sua certezza. Sicuro di farla franca con cittadini senza cittadinanza, immemori, sbadati, golosi sino all’eccesso delle calderoliane “porcate”, del gossip, elargito a piene mani per mitridatizzare l’inesperto, l’incolto pubblico spettatore. Che ha creduto, inconsapevolmente forse, ahimè, ad una certa “Storia italiana” che pare scritta apposta per i perfetti, inguaribili “farlocchi” del bel paese – donde “farlocco”, etimologicamente dall’inglese "far look”, guardare lontano, oltre, neologismo usato dagli scippatori per riferirsi alle potenziali vittime, i turisti nel bel paese, il cui atteggiamento tipico è quello di individui fuori di testa, distratti ed inebriati dal contesto -, storia tutta intrisa di mistero e non per niente commendevole. Oggigiorno, al passaggio per molto angusti valichi – gli smodati interessi personali o di gruppo, i disdicevoli comportamenti personali e/o di casta e quant’altro - del drappello che sorregge la cosa pubblica del bel paese, con grande fatica e grande disdoro, si ha fretta, consapevolmente, che il regime parlamentare in atto si trasformi, nella forma e nella sostanza, in qualcosa d’altro, che meglio concorra alla salvaguardia del potere per il potere. Senza tentennamenti e con ben studiate leggi elettorali che non consentano di eleggere ma di indicare tutt’al più i già prescelti – i più arrendevoli, i più controllabili dai vertici dei partiti - nelle tenebrose stanze del potere. E sono di questi giorni i lai altissimi e l’eco “mugugnosa” e profonda che da quelle oscurità sono pervenuti all’attonito cittadino che tra un mese dovrà onorare il rito divenuto stantio delle elezioni politiche. È il passo finale verso il baratro? Da grande osservatore e divulgatore ne ha scritto il professor Ilvo Diamanti sul quotidiano “la Repubblica” - col titolo “La fretta del regime mediocratico” – il 24 di maggio dell’anno 2010. Di seguito trascrivo, in parte, la Sua dotta riflessione: (…). La democrazia del pubblico (…). Personalizzata e mediatizzata. Perché tutto è mediatico, nella scena politica. I partiti, in primo luogo. Poi: le istituzioni e, ovviamente, il governo. La personalizzazione è un corollario. Perché sui media vanno le persone, con le loro storie, i loro volti, i loro sentimenti. Non i partiti, le grandi organizzazioni, le istituzioni. Che fanno da scenario, ma non possono recitare da protagonisti. È un modello sperimentato altrove, anzitutto negli Usa. Ma in Italia ha assunto una definizione specifica e originale. In tempi rapidissimi. Merito (o colpa) di Silvio Berlusconi. Insieme: imprenditore mediatico dominante, leader - anzi, padrone - del partito dominante e, naturalmente, capo dell'esecutivo. Presidente reale - potremmo dire - di una Repubblica non presidenziale, dove il Presidente legale agisce da garante e autorità di controllo. La conseguenza più nota di questa tendenza è l'avvento di uno Stato spettacolo (…). Dove lo scambio tra pubblico e privato avviene in modo continuo e pervasivo. Dove il consenso si costruisce sui fatti privati. I cittadini diventano il pubblico di uno spettacolo recitato dagli attori politici che si trasformano in attori veri. È difficile confinare il privato, in questo modello. Perché la privacy, per prima, è risorsa usata a fini pubblici. È la conseguenza inattesa e, in parte, indesiderata del regime mediocratico: le stesse logiche, gli stessi meccanismi che alimentano il consenso possono contribuire a eroderlo. O, addirittura, a farlo collassare. 1. In primo luogo, ovviamente, perché il privato esibito in pubblico non è reale. È fiction. Come nel Grande Fratello, dove tutti agiscono sapendo di essere osservati. (Anche se, con il tempo, se ne dimenticano). Ben diverso è scavare nel privato reale attraverso, appunto, le intercettazioni oppure le indagini che entrano nella vita delle persone - dei politici - a loro insaputa. Quando si sentono al sicuro. Quando non recitano la commedia della vita quotidiana. Perché, allora, possono uscire segreti scomodi. Comportamenti talora illeciti, altre volte semplicemente sgradevoli. Perché rivelano uno stile distante dal privato esibito in pubblico. È il caso delle conversazioni telefoniche fra il premier e i dirigenti Rai. Dove Berlusconi esprime, senza mezze misure, la ‘sindrome del padrone’ (la formula è di Edmondo Berselli). Preoccupato da comici, predicatori, conduttori, moralisti, giornalisti: tutti quelli che deturpano la sua immagine e la sua narrazione. La sua ‘storia’. È il caso, recente, dello scandalo che ha indotto il ministro Scajola alle dimissioni. Costretto non dall'illecito, ma dall'indignazione. Dalla scoperta di un appartamento davanti al Colosseo pagato da altri. Peraltro, a insaputa del beneficiario e a prezzo stracciato. (…). 2. L'altra tendenza indesiderata di questo regime mediocratico, soprattutto per chi lo guida, riguarda la svalutazione del potere e di chi lo esercita. Rendere pubblico il privato vero, senza finzioni: manifesta il volto mediocre della politica e di chi governa. Il confine tra i rappresentanti e i rappresentati, tra i leader e i cittadini: scompare. Anzi, i leader politici, gli uomini di governo imitano e giustificano gli istinti più bassi della società. In questo modo, però, perdono autorevolezza, ma soprattutto legittimità, credibilità, consenso. Da ciò l'ossessione di chi ha inventato e imposto, per primo, il sistema mediocratico. La tentazione e il tentativo di controllarne ogni piega. Di prevederne ogni possibile trasgressione. In modo quasi compulsivo. Perché la realtà deve funzionare come un reality; recitato secondo un copione pre-stabilito; e, comunque, orientato e modellato dalla produzione. Quando gli autori, anzi: l'Autore, mentre osserva la casa del Grande Fratello, si scopre, a sua volta, osservato e ascoltato. E, pochi minuti dopo, si vede ripreso e riprodotto sugli stessi schermi, sulle stesse pagine, sugli stessi giornali. Il fuori onda messo in onda, come un'edizione permanente di Striscia la notizia. Quando il gioco gli sfugge. Allora gli passa la voglia di giocare. E vorrebbe smettere. O meglio: fare smettere gli altri. Cambiare le regole. A dispetto dei magistrati, del governo Usa. E perfino dell'opinione pubblica. La legge sulle intercettazioni. Serve a impedire che si spezzi la magia della “Storia italiana”. L'unica biografia del paese veramente autorizzata.
È l’opinione pubblica che è venuta a mancare, così come sostenuto nel post del 30 di gennaio ultimo - “L'abolizione dell'opinione pubblica e l'efficacia persuasiva della televisione” -. Oserei aggiungere in questa occasione un nuovo attributo: “pervasiva”. Tale cioè da impregnare coscienze e memorie. Trasformati tutti in spettatori inerti, acritici, guardoni in ultima analisi. Insomma, gli undicenni televisivi un po’ tonti. Ne aveva parlato tanto tempo addietro ai suoi manutengoli, senza remore o vergogna, l’uomo di Arcore. Ne ha fatto in seguito un suo cavallo di battaglia. Una sua certezza. Sicuro di farla franca con cittadini senza cittadinanza, immemori, sbadati, golosi sino all’eccesso delle calderoliane “porcate”, del gossip, elargito a piene mani per mitridatizzare l’inesperto, l’incolto pubblico spettatore. Che ha creduto, inconsapevolmente forse, ahimè, ad una certa “Storia italiana” che pare scritta apposta per i perfetti, inguaribili “farlocchi” del bel paese – donde “farlocco”, etimologicamente dall’inglese "far look”, guardare lontano, oltre, neologismo usato dagli scippatori per riferirsi alle potenziali vittime, i turisti nel bel paese, il cui atteggiamento tipico è quello di individui fuori di testa, distratti ed inebriati dal contesto -, storia tutta intrisa di mistero e non per niente commendevole. Oggigiorno, al passaggio per molto angusti valichi – gli smodati interessi personali o di gruppo, i disdicevoli comportamenti personali e/o di casta e quant’altro - del drappello che sorregge la cosa pubblica del bel paese, con grande fatica e grande disdoro, si ha fretta, consapevolmente, che il regime parlamentare in atto si trasformi, nella forma e nella sostanza, in qualcosa d’altro, che meglio concorra alla salvaguardia del potere per il potere. Senza tentennamenti e con ben studiate leggi elettorali che non consentano di eleggere ma di indicare tutt’al più i già prescelti – i più arrendevoli, i più controllabili dai vertici dei partiti - nelle tenebrose stanze del potere. E sono di questi giorni i lai altissimi e l’eco “mugugnosa” e profonda che da quelle oscurità sono pervenuti all’attonito cittadino che tra un mese dovrà onorare il rito divenuto stantio delle elezioni politiche. È il passo finale verso il baratro? Da grande osservatore e divulgatore ne ha scritto il professor Ilvo Diamanti sul quotidiano “la Repubblica” - col titolo “La fretta del regime mediocratico” – il 24 di maggio dell’anno 2010. Di seguito trascrivo, in parte, la Sua dotta riflessione: (…). La democrazia del pubblico (…). Personalizzata e mediatizzata. Perché tutto è mediatico, nella scena politica. I partiti, in primo luogo. Poi: le istituzioni e, ovviamente, il governo. La personalizzazione è un corollario. Perché sui media vanno le persone, con le loro storie, i loro volti, i loro sentimenti. Non i partiti, le grandi organizzazioni, le istituzioni. Che fanno da scenario, ma non possono recitare da protagonisti. È un modello sperimentato altrove, anzitutto negli Usa. Ma in Italia ha assunto una definizione specifica e originale. In tempi rapidissimi. Merito (o colpa) di Silvio Berlusconi. Insieme: imprenditore mediatico dominante, leader - anzi, padrone - del partito dominante e, naturalmente, capo dell'esecutivo. Presidente reale - potremmo dire - di una Repubblica non presidenziale, dove il Presidente legale agisce da garante e autorità di controllo. La conseguenza più nota di questa tendenza è l'avvento di uno Stato spettacolo (…). Dove lo scambio tra pubblico e privato avviene in modo continuo e pervasivo. Dove il consenso si costruisce sui fatti privati. I cittadini diventano il pubblico di uno spettacolo recitato dagli attori politici che si trasformano in attori veri. È difficile confinare il privato, in questo modello. Perché la privacy, per prima, è risorsa usata a fini pubblici. È la conseguenza inattesa e, in parte, indesiderata del regime mediocratico: le stesse logiche, gli stessi meccanismi che alimentano il consenso possono contribuire a eroderlo. O, addirittura, a farlo collassare. 1. In primo luogo, ovviamente, perché il privato esibito in pubblico non è reale. È fiction. Come nel Grande Fratello, dove tutti agiscono sapendo di essere osservati. (Anche se, con il tempo, se ne dimenticano). Ben diverso è scavare nel privato reale attraverso, appunto, le intercettazioni oppure le indagini che entrano nella vita delle persone - dei politici - a loro insaputa. Quando si sentono al sicuro. Quando non recitano la commedia della vita quotidiana. Perché, allora, possono uscire segreti scomodi. Comportamenti talora illeciti, altre volte semplicemente sgradevoli. Perché rivelano uno stile distante dal privato esibito in pubblico. È il caso delle conversazioni telefoniche fra il premier e i dirigenti Rai. Dove Berlusconi esprime, senza mezze misure, la ‘sindrome del padrone’ (la formula è di Edmondo Berselli). Preoccupato da comici, predicatori, conduttori, moralisti, giornalisti: tutti quelli che deturpano la sua immagine e la sua narrazione. La sua ‘storia’. È il caso, recente, dello scandalo che ha indotto il ministro Scajola alle dimissioni. Costretto non dall'illecito, ma dall'indignazione. Dalla scoperta di un appartamento davanti al Colosseo pagato da altri. Peraltro, a insaputa del beneficiario e a prezzo stracciato. (…). 2. L'altra tendenza indesiderata di questo regime mediocratico, soprattutto per chi lo guida, riguarda la svalutazione del potere e di chi lo esercita. Rendere pubblico il privato vero, senza finzioni: manifesta il volto mediocre della politica e di chi governa. Il confine tra i rappresentanti e i rappresentati, tra i leader e i cittadini: scompare. Anzi, i leader politici, gli uomini di governo imitano e giustificano gli istinti più bassi della società. In questo modo, però, perdono autorevolezza, ma soprattutto legittimità, credibilità, consenso. Da ciò l'ossessione di chi ha inventato e imposto, per primo, il sistema mediocratico. La tentazione e il tentativo di controllarne ogni piega. Di prevederne ogni possibile trasgressione. In modo quasi compulsivo. Perché la realtà deve funzionare come un reality; recitato secondo un copione pre-stabilito; e, comunque, orientato e modellato dalla produzione. Quando gli autori, anzi: l'Autore, mentre osserva la casa del Grande Fratello, si scopre, a sua volta, osservato e ascoltato. E, pochi minuti dopo, si vede ripreso e riprodotto sugli stessi schermi, sulle stesse pagine, sugli stessi giornali. Il fuori onda messo in onda, come un'edizione permanente di Striscia la notizia. Quando il gioco gli sfugge. Allora gli passa la voglia di giocare. E vorrebbe smettere. O meglio: fare smettere gli altri. Cambiare le regole. A dispetto dei magistrati, del governo Usa. E perfino dell'opinione pubblica. La legge sulle intercettazioni. Serve a impedire che si spezzi la magia della “Storia italiana”. L'unica biografia del paese veramente autorizzata.
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