Da “Ascoltate
il gufo Soros:l’economia mondiale trema di nuovo” di Curzio Maltese, pubblicato
sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 12 di febbraio dell’anno 2016: Uno
dei «gufi» più ricchi del Pianeta, il professor George Soros, sostiene del
tutto in controtendenza che l’economia mondiale si sta avvitando verso un’altra
recessione come quella del 2008. Da quando il miliardario e speculatore
ungherese ha cominciato a dirlo, la borsa di Milano, per fare un esempio, ha
perso in due mesi un quarto del proprio valore. Ne consegue che o Soros è un
formidabile jettatore, per quanto in proprio fortunatissimo, oppure bisogna
prendere sul serio le sue previsioni. Proviamo a considerare l’ipotesi più
scomoda. Le ragioni che spingono Soros a prevedere una nuova recessione
globale, al contrario di quasi tutti gli altri analisti, sono varie e complesse
e non facilmente comprensibili a chi non è esperto di economia. A cominciare
dalla principale, la crisi della locomotiva globale cinese, fondata su un
anomalo capitalismo di Stato che si fonda sullo sfruttamento selvaggio della
manodopera, il più straordinario paradosso fra i tanti del socialismo reale.
Soros poi elenca un’altra mezza dozzina di fattori, dal rischio di recessione americana, dopo il doping di un massiccio intervento pubblico nell’era di Obama, fino alla fragilità del sistema bancario, per finire con la crisi dell’Europa. A voler essere un po’ più a sinistra di George Soros, cosa che non è difficile, bisognerebbe aggiungere che viviamo in un mondo dove ogni anno i ricchi diventano più ricchi e i poveri sempre più poveri. Non si capisce allora da quali basi di massa dovrebbe ripartire il consumo e quindi il rilancio della produzione. Per chi ha passato la vita a scrivere e a leggere i giornali, immerso nel lusso dell’informazione, c’è poi un altro sintomo di crisi incombente, che certo Soros non giudicherebbe degno di analisi, ed è l’ottimismo dei media. Nel bel La grande scommessa di Adam McKay, e soprattutto nel libro da cui è tratto (The Big Short), l’inchiesta giornalistica di Michael Lewis, colpisce come il crollo del 2008 sia arrivato dopo una stagione di straordinaria euforia mediatica. La stessa che respiriamo da un paio d’anni circa le magnifiche sorti e progressive dell’immancabile ripresa economica. Un vecchio broker di Piazza Affari mi diceva allora che quando tutti gridano al miracolo economico è arrivato il momento di consigliare ai clienti di vendere tutto, perché significa che la bolla sta per esplodere.
Soros poi elenca un’altra mezza dozzina di fattori, dal rischio di recessione americana, dopo il doping di un massiccio intervento pubblico nell’era di Obama, fino alla fragilità del sistema bancario, per finire con la crisi dell’Europa. A voler essere un po’ più a sinistra di George Soros, cosa che non è difficile, bisognerebbe aggiungere che viviamo in un mondo dove ogni anno i ricchi diventano più ricchi e i poveri sempre più poveri. Non si capisce allora da quali basi di massa dovrebbe ripartire il consumo e quindi il rilancio della produzione. Per chi ha passato la vita a scrivere e a leggere i giornali, immerso nel lusso dell’informazione, c’è poi un altro sintomo di crisi incombente, che certo Soros non giudicherebbe degno di analisi, ed è l’ottimismo dei media. Nel bel La grande scommessa di Adam McKay, e soprattutto nel libro da cui è tratto (The Big Short), l’inchiesta giornalistica di Michael Lewis, colpisce come il crollo del 2008 sia arrivato dopo una stagione di straordinaria euforia mediatica. La stessa che respiriamo da un paio d’anni circa le magnifiche sorti e progressive dell’immancabile ripresa economica. Un vecchio broker di Piazza Affari mi diceva allora che quando tutti gridano al miracolo economico è arrivato il momento di consigliare ai clienti di vendere tutto, perché significa che la bolla sta per esplodere.
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