Da “Tzvetan Todorov”, intervista di Fabio Gambaro al filosofo bulgaro
pubblicata sul quotidiano la Repubblica del 13 di settembre dell’anno 2012: «Popolo,
libertà e progresso sono fondamenti della democrazia, che però, quando
alimentano populismo, ultraliberalismo e messianismo, possono diventare una
minaccia per la democrazia stessa». (…). «Oggi, i veri pericoli provengono
dall'interno della democrazia stessa, da quelli che ho chiamato "nemici
intimi", forme di perversione o di stravolgimento di alcuni dei suoi
principi di base. Il populismo, l'ultraliberalismo o il messianismo non sono il
contrario di ciò cui aspira la democrazia, ma il risultato della dismisura di
alcuni elementi - popolo, libertà e progresso - che la costituiscono. Tale
dismisura è diventata possibile perché, soprattutto nel XX secolo, sono venute
meno le limitazioni reciproche cui questi elementi erano sottoposti».
Nella forma classica della
democrazia liberale, interessi collettivi e interessi individuali devono sempre
equilibrarsi? «Il liberalismo classico, da Locke a Montesquieu, ha proclamato
la libertà degli individui, ma senza mai immaginarla come una libertà
illimitata. Come ricordava Burke, la libertà nello spazio pubblico diventa
sempre un potere. Per i pensatori del liberalismo, ogni potere senza limiti è
un pericolo. Chi ha un potere cerca di espanderlo e la tentazione della
tirannia è inerente al comportamento umano. Di conseguenza, per il buon
funzionamento dello Stato, i poteri devono limitarsi e controbilanciarsi a
vicenda. Solo così si evita il rischio del dispotismo».
Quest'equilibrio sarebbe il cuore
della democrazia? «Esattamente. La democrazia non è caratterizzata dal dominio
di un principio unico, ma dall'equilibrio tra diversi principi. Quando questo
viene a mancare, si rischiano derive inquietanti. Il caso più evidente è quello
dell'ultraliberalismo, frutto di un'esasperazione smisurata del giusto
principio della libertà».
La libertà va limitata? «Da
sempre, gli uomini avanzano rivendicazioni di libertà individuale ma anche di
appartenenza collettiva. Bene comune e bene individuale non vanno però sempre
nella stessa direzione. La democrazia, grazie alla sua natura mista, si sforza
di preservarli entrambi. In passato, le cosiddette democrazie popolari - che ho
conosciuto da giovane in Bulgaria - in nome dell'interesse collettivo, non
lasciavano alcuna libertà all'individuo. Oggi le democrazie corrono il rischio
contrario, vale a dire la tirannia dell'individuo che, in nome di una libertà
assoluta e smisurata, sottomette tutta la vita sociale al dominio di
un’economica regolata esclusivamente dalle leggi del mercato. In questa
prospettiva, si postula l'assenza di ogni controllo della società e della
politica sulle forze individuali dell'economia. E talvolta si arriva persino al
neoliberalismo di Stato, che è una mostruosa combinazione nella quale la
funzione dello Stato diventa quella di smantellare lo Stato stesso e d'impedire
qualsiasi controllo della società sull'attività degli individui».
Il primato dell'individuo rifiuta di prendere in considerazione l'interesse collettivo? «Sì, ma anche quando la società prova a occuparsi del bene comune, la mondializzazione dell'economia spesso le sottrae ogni possibilità d'intervento. (…). Di fronte al potere dell'economia, il potere politico si ritrova impotente. E le democrazie rischiano di trasformarsi in oligarchie dirette dai pochi che controllano il potere economico».
Il messianismo è il rischio che
corre la democrazia quando, considerandosi superiore, pensa di dover
intervenire per imporre agli altri i propri principi. È così? «Il messianismo
politico è una forma di hubris che si è impossessata degli uomini ai tempi
dell'Illuminismo, distorcendo l'esigenza del progresso. Il colonialismo, con la
sua pretesa d'imporre ai popoli selvaggi una civiltà considerata superiore
nasceva da questa prospettiva. Anche la società ideale del comunismo era una
sorta di messianismo. Oggi siamo in una nuova fase, caratterizzata da guerre
che intendono portare il bene ad altri popoli. È un atteggiamento messianico
che ricorda il periodo coloniale. Come allora, crediamo ingenuamente nella
superiorità della democrazia, al punto che consideriamo giusto e legittimo
imporla anche agli altri attraverso guerre asimmetriche, le cui vittime sono
soprattutto le popolazioni civili. Tutto ciò non fa altro che indebolire la
democrazia».
Un altro nemico
"intimo" della democrazia è il populismo... «Il populismo non si
manifesta solo attraverso la xenofobia e il razzismo. È infatti presente ogni
volta che si pretende di trovare soluzioni semplici per problemi complessi,
proponendo ricette miracolose all'attenzione distratta di chi non ha il tempo
di approfondire. Il populismo può essere sia di destra che di sinistra, ma
propone sempre soluzioni immediate che non tengono conto delle conseguenze a
lungo termine. Il populismo preferisce le semplificazioni e le
generalizzazioni, sfrutta la paura e l'insicurezza, fa appello al popolo,
cortocircuitando le istituzioni. Ma la democrazia non è un'assemblea permanente
né un sondaggio continuo».
Certi comportamenti dei politici
non approfondiscono il fosso che li separa dalla società? «È sempre stato così,
perché l'uomo di potere non fa più la stessa vita dell'uomo della strada.
Dimentica le critiche passate per approfittare della posizione conquistata. A
ciò oggi si aggiunge il problema della "spersonalizzazione" del
potere. In passato, le forme del potere erano più facilmente identificabili,
era quindi possibile rivoltarsi contro un avversario visibile. Con la
mondializzazione, il potere economico è diventato un potere diffuso, sfuggente,
impersonale. Non si sa più come agire, contro chi rivoltarsi. Ci si sente
impotenti. Il che spiega una certa disillusione nei confronti della
democrazia».
La condivide? «Io sono convinto
che la democrazia abbia ancora la possibilità d'intervenire almeno in parte
sulla realtà. I partiti e i loro programmi non sono tutti uguali, e con il voto
è possibile determinare alcune scelte collettive sul piano dell'economia e
della società». I cittadini hanno spesso l'impressione di contare di più
attraverso le iniziative di base che attraverso i rituali della democrazia.
Che ne pensa? «La democrazia ha
forse perduto una parte del suo potere d'attrazione, ma attraverso i suoi
meccanismi conferisce ancora molto potere, anche se i risultati sono meno
visibili che in passato. Sebbene indebolito, il potere dello Stato resta
importante. È un potere che va esercitato, votando, controllando. La democrazia
non si esaurisce in una sola forma di partecipazione. Il suffragio universale è
certo un principio fondamentale, ma è solo un elemento tra molti altri. Ecco
perché la moltiplicazione dei livelli d'impegno nella vita pubblica è un segno
della vitalità della democrazia».
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