"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

lunedì 27 febbraio 2017

Scriptamanent. 74 “Riscoprire le radici”.



Da “Riscoprire le radici per vincere il fatalismo” di Giovanni Valentini, pubblicato sul quotidiano la Repubblica del 27 di febbraio dell’anno 2015: Siamo, da secoli, un popolo di guelfi e ghibellini. Ma rischiamo ormai di diventare un popolo di "gufi" e "rosiconi", per usare una terminologia abituale al nostro presidente del Consiglio. Un Paese che ha scarsa considerazione di se stesso: anzi, per stare alle ultime statistiche, quello più pessimista del mondo, con la più bassa autostima in assoluto. Noi italiani non ci piaciamo e non ci vogliamo bene. E il peggio è che ci piaciamo anche meno di quanto piaciamo agli stranieri. I dati e le tabelle forniti dalla ricerca del "Reputation Institute" per il 2014 riflettono un'Italia sfiduciata e smarrita, priva di un'identità forte, insicura. Quel grafico che relega il nostro Paese all'ultimo posto nella graduatoria mondiale della "self confidence", per cui registriamo il gap più negativo fra la reputazione esterna e quella interna, raffigura — come un elettroencefalogramma piatto — la crisi esistenziale che affligge oggi gli italiani. Quasi una sindrome collettiva di rassegnazione e disorientamento, al limite della disperazione sociale. L'Italia rappresentata da quell'inquietante meno 15,2 (indice negativo della differenza fra come ci reputano gli altri e come noi reputiamo noi stessi), è un Paese che si sente senza orizzonte e senza futuro. Certo, il disfattismo nazionale è una tara ereditaria che deriva dal nostro dna, dal nostro codice genetico. Ma la fiducia — al pari del coraggio di manzoniana memoria — se un popolo non ce l'ha, non se la può dare improvvisamente: è proprio un deficit, una carenza organica di (…) «coesione, forza e volontà collettiva» (…). Il fatto è che nel sistema circolatorio di questa Italia contemporanea, più le distanze aumentano invece di ridursi, più si propaga — come in un contagio virale — un senso diffuso d'ingiustizia sociale. E quindi, di frustrazione diffusa. Ne deriva il ribellismo latente che coinvolge in particolare le generazioni più giovani, a cui la società adulta non ha saputo offrire risorse e prospettive. Occorre, a questo punto, una scossa. Uno choc salutare, un trauma positivo. O magari, un soprassalto virtuoso d'impegno e di responsabilità. Toccherebbe innanzitutto alla politica produrre quella «svolta buona» (…). Ma, per parafrasare il titolo di una trasmissione televisiva di successo, la politica siamo noi. E allora anche la società civile, o più spesso incivile, deve fare la sua parte: emendarsi dai propri vizi e difetti; rinunciare ai privilegi e ai corporativismi; affrancarsi magari da evasione, corruzione, abusivismo, truffe, inganni e raggiri. Non è solo una questione d'immagine o di reputazione, dunque. È una questione più profonda d'identità, di fierezza, di orgoglio nazionale. Per stimare di più noi stessi e il nostro Paese, dobbiamo ritrovare il senso d'appartenenza, riscoprire le nostre radici.

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