Da “La politica dell’insulto” di Roberto Esposito, pubblicato sul
quotidiano la Repubblica del 6 di febbraio dell’anno 2014: (…). La politica, fin dalla sua
genesi greca, nasce all’interno del discorso. Essa produce decisioni condivise
solo dopo che più alternative sono state messe in campo. L’agorà è il luogo in
cui discorsi diversi, o opposti, si confrontano per arrivare, attraverso il
voto, a scelte che impegnano tutti. Ma anche la politica moderna, costituita
dalla dialettica tra partiti, prevede, sia all’interno di ciascuno di essi, sia
nel loro confronto, anche polemico, la discussione. Il parlamento è la nuova
“piazza” in cui essa si esprime tra tutte le forze democratiche. (…). La
rottura del lessico politico, (…) consente di aggregare non una parte di
opinione pubblica, ma l’intero fronte dell’antipolitica in uno scontro assoluto
con tutto l’arco dei partiti in parlamento e con l’idea stessa di
rappresentanza parlamentare. Ad essere insultato non è mai l’avversario, ma il
Nemico, prima che si incrocino le armi. (…). L’insulto aggressivo non è una
modalità, anche estrema, di opposizione politica, ma ciò che la impedisce. Esso
non divide tra punti di vista diversi. Chiama a raccolta il branco, lo lusinga,
lo eccita, dandogli in pasto chi, almeno in quel momento, non può difendersi,
si sente colpito, circondato, impietrito. In questo senso l’insulto, anche
quando ha un effetto politico, come quello di deviare l’attenzione da
qualcos’altro che sta accadendo, non appartiene al linguaggio della politica.
E’ sempre causa, ed effetto, di spoliticizzazione, nel senso che riporta la pratica
politica ad una fase balbettante, se non all’afasia. Esso non inaugura mai una
stagione nuova, porta solo allo sfinimento la vecchia. Non immette energia
nell’azione, ma la blocca e la prosciuga. Chiude la parola in una gabbia e la
sequestra. L’insulto, con la minaccia che sempre porta non è semplicemente
esterno alla politica. È il suo contrario. Ciò che, quando dilaga, rompe il
dialogo, la critica, la dialettica tra posizioni diverse e anche opposte. (…).
…l’insulto triviale, scurrile, che in questi giorni impazza nei net è ancora
altro e peggio. Esso serve a zittire l’avversario di turno, a sottrargli la
parola, a impedirgli la replica, inchiodandolo al disagio dell’umiliazione
subita. L’insulto segna sempre un fallimento – innanzitutto di chi lo fa. Non
solo perché dimostra la sua incapacità di articolare un discorso. Ma anche, più
a fondo, perché annienta la sfera pubblica, deprivandola dei suoi codici
comunicativi. Gonfia la parola fino a farla scoppiare, rovesciandola nel suo
opposto. Rivela l’incapacità di controllare gli impulsi, di dare parola a
un’emozione, di costruire simboli. In questo modo coloro che sono entrati in
politica con il giusto intento di restituire la voce a coloro che non l’hanno,
scelgono di spegnere ogni voce. Con il calcolo che il silenzio, o il grido, può
produrre più consenso della parola. (…). Hannah Arendt ha sostenuto che azione
e discorso sono legati da un vincolo insolubile da cui nasce la politica. Senza
di esse si può certo sopravvivere individualmente, ma non insieme gli uni agli
altri. «Una vita senza discorso e senza azione è letteralmente morta. Ha
cessato di essere una vita umana perché non è più vissuta fra gli uomini».
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