"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

domenica 5 febbraio 2017

Strettamentepersonale. 21“Ripartiamo dai cittadini del No”.



C’è stato il tempo dello “zoccolo”. Ne scrivo non tanto per rinverdire quella epica stagione trascorsa che mirabilmente ci ha rappresentato quel Maestro che risponde al nome e cognome di Ermanno Olmi nel Suo “L’albero degli zoccoli”. Non mi riferivo a quei “calzari” che le povere, diseredate masse contadine intagliavano nel duro tronco degli alberi. Il mio “zoccolo” ha a che fare con la “politica”, ovvero con una parte della “politica” anch’essa di un tempo andato. Si diceva allora di uno “zoccolo duro” che contrassegnava la vita delle formazioni politiche ad ispirazione di “sinistra”.
Inteso lo “zoccolo duro” come quella indiscussa fedeltà al “partito” al quale si dedicava il proprio tempo ed il proprio impegno senza chiedere nulla in cambio se non lo “spirito” di una appartenenza morale. Sì, morale. Quello è stato il mio tempo dello “zoccolo duro”. Tutto finito. E dal partito ne venivano scelte ed impegni che rappresentavano la sintesi di quella dialettica che nelle opportune sedi – le “sezioni” prima, i “circoli” poi, finiti nel nulla - venivano a svilupparsi ed al bisogno a contrastarsi. Tutto finito. Riprendo una cronaca di Curzio Maltese - “Se nessuno ascolta la voce della base” – pubblicata sul quotidiano la Repubblica del 26 di aprile dell’anno 2013: (…). Quirinarie, parlamentarie, primarie rappresentano una stessa delega in bianco ai capi. I quali poi sono liberissimi di fare l’esatto contrario di quanto vogliono gli elettori e i militanti. Tutti sanno che Bersani e i bersaniani hanno vinto le primarie contro Renzi per due ragioni sulle altre. La prima è che venivano considerati «più a sinistra » rispetto al rivale, presentato come assai più disponibile nei confronti della destra in generale e di Berlusconi in particolare. La seconda è che fra il primo e il secondo turno Bersani ha ottenuto il decisivo appoggio degli elettori di Vendola e di Sel, proprio sulla base della promessa di non accettare mai compromessi non solo con il berlusconismo, ma neppure con il centrismo rappresentato da Monti. Ora i bersaniani stanno per varare un governo con Berlusconi e Monti. Che si fa, si restituiscono i soldi dell’obolo al partito? (…). La soluzione del governissimo in corso è dunque il frutto della totale indifferenza dei vertici del Pd e di Grillo, in questo almeno uguali, nei confronti della volontà di 18 milioni di elettori. Nel Paese e nell’opinione pubblica una maggioranza di governo c’era, largamente maggioritaria. In Parlamento se n’è voluta trovare un’altra, che conviene alle oligarchie vecchie e nuove. Ma che almeno ciascuno si assuma le proprie responsabilità. E per favore, la smettano di organizzare show e di spacciarli per esercizi di democrazia. È una “cronaca” sostanzialmente recente che ha trovato poi la sua realizzazione nei governi successivi a quella data e soprattutto nel governo inventato dall’uomo venuto da Rignano sull’Arno. Una cronaca breve dalla quale si intravvedeva quel “tradimento” della “base” – dello “zoccolo duro” – che da lì a poco avrebbe trovato pieno compimento. Ora quello “zoccolo duro” si sta disgregando – si è disgregato -, come del resto era prevedibile. Con quali esiti? Personalmente mi sono sempre impegnato a contrastare l’ascesa di quell’uomo venuto da Rignano sull’Arno. L’ho fatto nelle “primarie” di domenica 25 di ottobre dell’anno 2009 nel corso delle “elezioni del segretario e della assemblea nazionale” indette dal Partito democratico. Allora diedi la mia preferenze a Pier Luigi Bersani. Ho contrastato successivamente quell’uomo venuto da Rignano sull’Arno nelle “primarie” conclusesi – purtroppo - con la sua affermazione. Nell’occasione scelsi di votare “Beppe” Civati. Epidermicamente sentivo l’incombente pericolo involutivo che il Partito democratico avrebbe corso affidandosi a persona afflitta da una incontrollata forma di megalomania e da un evidente strabismo che conduceva quell’uomo a considerare la vita di quel partito in chiave “personale” se non “padronale”, alla stregua del signore di Arcore. Donde ne sono prontamente uscito. E così mi sono ritrovato in quello schieramento che Salvatore Settis ha denominato, su “il Fatto Quotidiano” del 29 di gennaio ultimo, dei “cittadini del NO”. Ed è su quello schieramento che penso si debba far leva affinché si realizzino quelle correzioni di linea politica e di strategia della e nella “sinistra” che sono andate colpevolmente perdute. Faccio mio il Suo “appello” affinché si appresti al più presto una “formazione”, uno schieramento che sia, che realizzi lo “spirito costituente” venuto inopinatamente alla luce e che superbamente ha trionfato alla data referendaria del 4 di dicembre. Ha scritto Salvatore Settis in “Ripartiamo dai cittadini del No, quella è la politica”: (…). Non stiamo forse rischiando di disperdere lo slancio ideale di chi ha votato No perché crede alle ragioni della Costituzione? Tutti lamentano la crisi della rappresentanza e l’allontanarsi dei cittadini dalla politica, ma come arrestare questo degrado? Come far risorgere dalle ceneri una democrazia costituzionale? Nelle ultime settimane di una campagna referendaria tanto forsennata da trasformarsi in boomerang, Renzi (un professionista del bluff) minacciava l’apocalisse in caso di vittoria del No. Questa catastrofe non si è vista, ma in compenso ne emergono altre, nascoste sotto il tappeto in attesa del referendum e ora ereditate da Gentiloni: dalla crisi delle banche all’ennesimo crack Alitalia, dalla disoccupazione giovanile al crescente dissesto del territorio. Lasciando la presidenza del Consiglio ma non la segreteria del Pd, Renzi con le sue voglie di rivalsa è oggi il maggior fattore di instabilità, e la sua apocalisse privata rischia di tracimare sul governo. Egli non pensava certo che il suo tentativo di inquinare la Costituzione finisse col rimetterla al centro del dibattito politico; ma il tracollo del suo “governo costituente” e l’esito del referendum non stanno dando i frutti che si potevano sperare. Rischia anzi di ripetersi la frustrante esperienza del post-referendum 2006, quando la riforma Berlusconi-Bossi fu solennemente bocciata nelle urne, ma la sinistra non seppe raccogliere i cittadini sotto la bandiera della Costituzione, per cui pure avevano votato, e nel 2008 Berlusconi vinse di nuovo le elezioni. Gli schieramenti referendari, com’era ovvio, si sono velocemente sbriciolati. (…). Ma rispetto al post-referendum del 2006 ci sono oggi due varianti significative, il M5S e le numerose associazioni nate in risposta alla riforma Renzi-Boschi. Il paradosso è che, pur con queste forze in campo, il fronte “costituzionale” del No, è inutile negarlo, non ha un vero baricentro programmatico. Neppure nella Costituzione. A indicare chiari traguardi non giovano le cautele delle correnti interne al Pd, che con una mano giurano santa obbedienza al segretario Renzi e con l’altra cucinano la sua rovina, mentre chi va in rovina è il partito, con una emorragia di militanti senza precedenti e senza fine. Forse hanno dimenticato quel che Renzi prometteva alla vittoria del Sì : “Subito dopo, noi nel partito ci entreremo con il lanciafiamme”. Immagine coerente con la terminologia dell’Italicum, dove si parla di “capo della forza politica”, ma anche con una concezione del segretario Pd come capopopolo, prima che capopartito. Renzi ha trapiantato nel Pd l’idea di un “partito del capo”, ma non l’ha certo inventata, e non ne ha il monopolio. Quello di Berlusconi è sempre stato un partito del capo, e così (pur cambiando leader) la Lega. Lo stesso è vero anche per il Movimento 5 Stelle, che proclama di non essere un partito, ma dove la leadership di Grillo resta indiscussa. Ma la resurrezione della democrazia in Italia non avverrà mai, se non si comincia dalla democrazia interna delle forze politiche (partiti o movimenti, poco importa; ma “partito” è il termine usato dalla Costituzione: art. 49). Se non si getta alle ortiche l’etica tribale imperniata sulla venerazione del capo e sulla sua dispotica elargizione di dettami o favori. L’antica forma-partito, dal Pci alla Dc, era un luogo di pensiero, di riflessione, di (mutua) educazione, di studio e informazione sui fatti della società e della politica, sui dati, sulle prospettive (per esempio, di attuazione della Costituzione e degli ideali della Resistenza). Oggi e non domani sarebbe il momento di ripensare a fondo quel formato, non per rilanciarlo tal quale, ma anzi per radicalizzarlo davanti alla feroce crisi della democrazia che viviamo. Alla crisi della politica (con la p minuscola), al piccolo cabotaggio dei furbastri che gestiscono il potere, si risponde in un solo modo: con il rilancio della Politica (con la P maiuscola), l’arte dei cittadini di conversare fra loro nella comunità (nella polis) mirando al bene comune. Una parte significativa di chi ha votato No al referendum (ma anche una parte di chi ha votato Sì) reclama piú Politica, cioè una piú alta, forte e consapevole voce dei cittadini. È qui che dovremmo cercare il meccanismo-base della democrazia, il serbatoio delle idee per un’alternativa di governo.

Nessun commento:

Posta un commento