“Quei posti dove tutto è pieno di vita”, testo dello scrittore fiorentino Paolo Ciampi pubblicato sul periodico “”Green&Blue” del quotidiano “la Repubblica” del 3 di dicembre 2025: Per me è sempre stato così, bisogna guardare indietro per guardare avanti. E partire dalle parole, dalla loro stessa etimologia. Mai darle per scontate, le etimologie, da loro c'è sempre qualcosa da spremere. La parola vivaio, per esempio. Quante volte l'ho associata a Pistoia, da fiorentino, peraltro figlio di pistoiesi. Più o meno tutte le volte che ho avuto da sistemare la terrazza o il giardino. Di sicuro ogni primavera, per le rose nelle aiuole e per le piante nei grandi vasi all'ingresso. Valeva la pena fare quella manciata di chilometri in più, per raggiungere i vivai di Pistoia: la capitale di Italia e di Europa, quanto a questo. Normale organizzare la spedizione in macchina, infilarsi nelle serre, caricare tutto il possibile nel bagagliaio e sui sedili posteriori. Mai una volta che mi sia domandato: perché proprio a Pistoia? Capita che non ci siano risposte, semplicemente perché non ci sono domande. E capita a volte che le domande, e persino le risposte, spuntino senza che si siano andate a cercare. Senza volerlo l'altro giorno mi sono imbattuto in una data e anche in un nome. Anno 1849: Antonio Bartolini, un giovane giardiniere al servizio di alcune famiglie pistoiesi, si mette in proprio. Apre la sua attività in un terreno sulla via Provinciale Lucchese, appena fuori città. La parola vivaio ancora nemmeno si adopera, casomai si parla di pépinière, dal francese pépin, seme. Nessuno può immaginarsi cosa succederà a breve. Già nel 1851 Pistoia ospita la prima Esposizione d'Orticoltura. E di lì a qualche anno Firenze, seppure per breve tempo, diventa capitale di Italia. Si abbattono le mura medievali per imitare i boulevard di Parigi, ma si riveste di verde la città: alle Cascine come al Piazzale Michelangelo. Affari d'oro per il vivaismo pistoiese, che in breve cresce, supera la dimensione degli orti cittadini, invade la provincia. Oggi il florovivaismo pistoiese è un settore di oltre 1.500 aziende, che esporta il 70% della sua produzione ovunque, malgrado la concorrenza sempre più agguerrita di Olanda o Cina. Con il che non ho risposto alla domanda: perché Pistoia? E perché la parola vivaio? Indago. Pare che già nel 1859 la facoltà di Agraria di Firenze cominci a coltivare a Pistoia alcune piante da fiore per le ville fiorentine. Lo fa in pieno centro, nella zona di piazza del Carmine. E già allora si constata una qualità e un vigore come da poche altre parti. Pare che qui si possa sfruttare una combinazione particolare, fatta di buon terreno e di buone condizioni climatiche, con l'Appennino alle spalle che protegge dai rigori del clima. Poi però penso alla parola vivaio: e questo proprio non me l'aspettavo. Vivaio, dal latino vivarium: dove c'è acqua piena di vita. Originariamente indica un posto dove si allevano i pesci. Dai pesci alle piante la strada sembra lunga, ma sempre di vita si tratta. E il denominatore comune che la rende possibile e la sostiene è l'acqua. Ce n'è a Pistoia, magari scende da quelle stesse montagne che riparano dal freddo. Ce n'è e a volte è stata anche troppa, quando si è fatta piena rovinosa. Ce n'è e non è che non rappresenti un problema, quando se ne usa troppa o quando le produzioni rilasciano certe sostanze. Però ho letto anche cose belle dei vivai di Pistoia riguardo all'acqua: da quelle parti, oltre alle piante, si coltivano progetti di sostenibilità. Mi piace l'idea dell'acqua. E del luogo che produce vita e con la vita ossigeno e bellezza. Di quali altri distretti produttivi si potrebbe dire? Mi tengo stretta la parola vivaio e non vedo l'ora che torni primavera, per un nuovo carico di verde e di vita.
"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".
venerdì 19 dicembre 2025
MadreTerra. 61 Daniela Missaglia: «Francamente io non so più dove siano i buoni e i cattivi. E se Nathan e Catherine avessero colto il vero valore della famiglia e della vita?».
(…). Nelle fiabe che ascoltavamo da bambini, (…), esistevano
sempre buoni e cattivi, in una dicotomia perfetta fra bene e male che pareva
l'unica prospettiva possibile. Crescendo, però, ci siamo resi conto che i buoni
non sono sempre tali e i cattivi all'apparenza possono diventare i veri eroi.
Così oggi tutti si affannano a dire la propria su questa inusuale famiglia
globetrotter, schierandosi come sugli spalti di uno stadio. Senza entrare in
queste dinamiche, semplicemente mi pongo delle domande: e se la scelta
ambientalista di Nathan e Catherine non fosse la peggiore prospettiva per i
loro tre figli? Ragionando ad alta voce: viviamo in un mondo secolarizzato, dove
gli antichi valori, gerarchie, principi, sono stati soppiantati da una visione
ego-centrata dell'Io, in un individualismo autoreferenziale che non lascia
spazio al rispetto dei nostri simili e della natura, orientato solo a
soddisfare le esigenze più immediate ed edonistiche, a discapito del bene
comune e del rispetto del prossimo. Prosperiamo in un metaverso dominato dal cyberspazio,
dai social che ci comandano come l'anello di Sauron, coartandoci verso il nulla
dell'apparenza. E se crescere i figli schiavi di TikTok e Instagram non sia, in
fondo, peggio della vita che, forse, i Birmingham vogliono destinare ai loro
bambini? (…). Francamente io non so più dove siano i
buoni e i cattivi. E se Nathan e Catherine avessero colto il vero valore della
famiglia e della vita? (Tratto
da “Tra bene e male” di Daniela Missaglia pubblicato sul settimanale “d”
del quotidiano “la Repubblica” del 13 di dicembre 2025).
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