Da “Elogio della frugalità” di Paolo Legrenzi, pubblicato sul
quotidiano la Repubblica del 21 di febbraio dell’anno 2014: 1. La
frugalità non è la povertà. È una scelta, non una costrizione. Se si sembra
frugali perché si è poveri, in realtà non si è frugali. Oggi, in Italia i
poveri sono circa cinque milioni. Si tratta di persone che l’Istat, nel suo
rapporto, classifica come «poveri assoluti». Si potrebbe pensare che, in una
società ricca, gli «assolutamente poveri» diminuiscano. E invece aumentano. Dal
5,7 per cento delle famiglie assolutamente povere del 2011 siamo passati all’8
per cento delle famiglie del 2012.
2. La frugalità non è neppure l’avarizia. L’avarizia, come la povertà, non è una vera e propria scelta: alla povertà siamo costretti dalle circostanze esterne, all’avarizia dalle nostre ossessioni mentali. Da questo punto di vista il prototipo dell’avarizia è la figura tragica di Mazzarò, il protagonista della novella La roba di Giovanni Verga (1883). Vi si narra di Mazzarò che, partendo da zero, col passare del tempo, accumula una fortuna appropriandosi delle terre di un barone: «Tutta quella roba se l’era fatta lui, colle sue mani e colla sua testa, col non dormire la notte, col prendere la febbre dal batticuore o dalla malaria, coll’affaticarsi dall’alba alla sera, e andare in giro, sotto il sole e sotto la piaggia, col logorare i suoi stivali e le sue mule - egli solo non si logorava pensando alla sua roba [...] quando uno è fatto così, vuol dire che è fatto per la roba». Mazzarò diventa vecchio. Pensa che sia «un’ingiustizia di Dio» dover lasciare la roba dopo essersi logorata la vita per accumularla: «Sicché quando gli dissero che era tempo di lasciare la sua roba, per pensare all’anima, uscì nel cortile come un pazzo, barcollando, e andava ammazzando a colpi di bastone le sue anitre e i suoi tacchini, e strillava: — Roba mia, vientene con me!». Non sempre l’avarizia è un’ossessione che arriva a coinvolgere l’aldilà, più spesso è una passione terrena, solitaria e triste. Comunque è ben lontana dalla frugalità, almeno nelle forme in cui l’avarizia si manifestava ai tempi di Verga.
3. La frugalità non è nemmeno una
decisione di risparmio. A questo proposito, vorrei raccontare quella che
credevo fosse una semplice leggenda familiare, tramandata da mio «nonno Tano».
Il «nonno Tano» (in realtà era il mio bisnonno Gaetano Rossi, e morì l’8 giugno
del 1947) mi è rimasto impresso perché ero l’unico nipote ammesso nella sua
camera e, quando lo vidi morire, credevo si trattasse di un sonno prolungato.
Il papà di Gaetano, Alessandro, industriale tessile, aveva una nuora, Maria, madre
dei suoi nipoti prediletti. Maria gli chiede di acquistare un carrettino per
far giocare i nipoti: lei aveva già comprato un pony a Verona. Ecco la risposta
di Alessandro: «Duolmi, o mia carissima, di non poter aderire alla tua
richiesta: non comprerò la charrette, e non approvo l’acquisto del cavallino.
Con lo stesso corriere, insieme alla tua letterina, m’è pervenuta la relazione
settimanale di Fochesato (direttore del lanificio) il quale mi avverte doversi
licenziare due operai recentemente assunti in prova, perché il loro rendimento
non corrisponde al salario che per conto loro inciderebbe sul bilancio
dell’opificio. Considera, figliola carissima, che prezzo di poney e charrette
corrisponde al salario dei due che devonsi licenziare ». In questa risposta c’è
l’essenza della frugalità, che è una scelta di stile e di buon gusto. A
differenza delle decisioni collegate al risparmio, e finalizzate all’acquisto
di beni, o a sconfiggere l’incertezza del futuro, la frugalità non ha altro
scopo se non se stessa. Una volta, chi faceva scelte frugali spesso non si
accorgeva di farle, semplicemente perché gli sembravano ovvie: si viveva così.
A quei tempi, la frugalità si palesava solo se trascurata, come nel caso di
Maria, che vi è costretta da un’imposizione di Alessandro, il suocero. Maria
avrebbe dovuto rendersi conto che non è di buon gusto fare un regalo che costa
come lo stipendio di due operai, per giunta da licenziare a beneficio della
produttività dell’opificio. Questo episodio chiarisce bene il rapporto che
c’era un tempo tra frugalità e risparmio. Sembrano due concetti imparentati ma,
a ben vedere, ciò che li avvicina è soltanto il non consumo opulento, il
rifiuto del superfluo. Il risparmio ci rende robusti, meno vulnerabili, perché
la riserva costituita dal risparmio ci permette di affrontare avversità future,
oggi non prevedibili. Inoltre il risparmio lascia un margine di manovra nelle
scelte di vita, una sorta di cuscino di sicurezza. La frugalità, invece,
produce risparmi solo come effetto collaterale: l’abitudine al poco è una
difesa preventiva che ci rende invulnerabili ai rovesci della sorte. (…).
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