Sopra. "La Vergine con i Santi innocenti" - olio su tela, 1618, Louvre, Parigi - di Peter Paul Rubens.
La dolcezza un po' sfatta del Natale, la retorica dell'infanzia, la Vergine e il Bambino circondati di angioletti paffuti e leziosi. Solo a uno sguardo superficiale questo quadro di Rubens può trasmettere una simile, stereotipata idea. A ben guardare, no: non sono angeli. Non hanno ali, e portano le palme del martirio: e Gesù di fronte al loro arrivare a frotte quasi si ritrae, nascondendosi nell'abbraccio della Madre. Il Signore di tutte le cose è così turbato perché sono gli Innocenti: i neonati uccisi a migliaia da Erode a causa sua. Si avverava così, nel modo più terribile, uno dei gridi profetici dell'Antico Testamento: «Una voce si ode a Rama. /un lamento e un pianto amaro: Rachele piange i suoi figli, / e non vuole essere consolata per i suoi figli, /perché non sono più». Non sono più: è l'altro punto di vista su quei bambini che Rubens ormai ci mostra sereni e vivi, senza le mutilazioni, il sangue, il volto stravolto con cui trapassarono dal mondo. Se oggi pensiamo al nostro Natale, e al Natale della terra in cui Gesù nacque - Betlemme, in Cisgiordania; e poi proprio Gaza, che attraversò fuggendo in Egitto per salvarsi a quella profetica strage di innocenti-, udiamo il grido di Rachele. E Rama oggi è probabilmente Al Ram, 7 chilometri a nord est di Gerusalemme, in territorio palestinese occupato da Israele: e ogni giorno vi echeggia il grido di Rachele. Quanti sono gli Innocenti di Gaza? Oltre ventimila: ma chissà davvero quanti sono i bambini sterminati nel genocidio che vuole "liberare" quella terra dal suo popolo. Quei bambini, uccisi anche con le nostre armi e con l'appoggio politico del nostro Paese, abitano il nostro Natale: e con loro che ci volano intorno - proprio come gli Innocenti uccisi da Erode volano intorno alla Vergine - non potremo fingere di essere santi e buoni. No, non abbiamo il diritto di sentirci buoni e giusti in questo Natale: almeno questo prezzo, vogliamo pagarlo? Vogliamo confessarci che non siamo dalla parte dei bambini, ma da quella di Erode? E che nella terra di Gesù si continua ad assassinare e a morire, e che noi ci siamo solo voltati dall'altra parte proprio come il piccolo Gesù spaventato di Rubens, ma senza la sua innocenza. L'arte serve a farci umani: dicendoci la verità su noi stessi. Anche la verità che non vogliamo vedere. Quel bambino, una volta diventato grande, lo dirà con parole luminose: «la verità vi farà liberi». Ecco l'augurio più vero di questo terribile Natale in tempo di genocidio. (Tratto da “La strage degli innocenti ieri e oggi” di Tomaso Montanari pubblicato sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 19 di dicembre 2025).
“Quando Benito arruolò Francesco”, testo di Duccio Balestracci pubblicato nella stessa edizione del settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 19 di dicembre: Cento anni fa San Francesco divenne fascista: ce lo dimostra Davide Recchi in un bel libro che ripercorre la storia della strumentalizzazione politica del Poverello in occasione delle celebrazioni del settimo centenario della sua morte: “Santi in camicia nera. Il medioevo francescano nella propaganda fascista”, pubblicato dalle edizioni Biblioteca Francescana. Per la verità, non era la prima volta che il misero abbigliamento di Francesco veniva attualizzato per accordarlo a qualche idea politica: glielo avevano tinto di rosso, a inizio Novecento, per accostarlo a Garibaldi, e D'Annunzio gli aveva messo sul capo il casco di legionario per farne il protettore della guerra di Libia, contro i turchi, come citazione del viaggio a Damietta, letto come evento colonialista. Manca solo l'aureola. La macchina organizzativa del settimo centenario si mette in moto per tempo, nel 1924, ma, altrettanto precocemente, sull'evento comincia a mettere le mani il Partito nazionale fascista, con Mussolini il quale, nel 1925, scrive che l'Italia, pur se "trattenuta ancora nel rude travaglio medievale", con Francesco si avvia alle gentilezze dell'Umanesimo. Nel 1926, Franco Paladino (…) commissiona a don Paolo Ardali (al quale fa scrivere anche un opuscolo su Mussolini e Pio XI) una biografia parallela su San Francesco e Mussolini. In Mussolini - argomenta il camerata in tonaca - c'è, anche fisiognomicamente, Francesco: il suo volto "mi richiama alla memoria una pittura di Francesco d'Assisi di scuola senese del secolo XIII: identica vivezza nello sguardo, identica nobiltà di atteggiamento, manca solo l'aureola". Ma il protagonista più importante di questa operazione di iscrizione di Francesco al Pnf è senz'altro il podestà di Assisi, Arnaldo Fortini (1889-1970), avvocato, francescanista, ricostruttore dal 1927 della festa del Calendimaggio. Sarà lui a ottenere dal Duce che il 4 ottobre venga proclamato festa nazionale (poi derubricata e oggi, in clima di sensibilità più vicine a quelle di Fortini, nuovamente riproposta). A guerra finita, il suo passato fascista non gli impedirà di essere nominato titolare della cattedra di Studi francescani all'Istituto storico italiano. Il podestà è un convinto sostenitore dell'endorsement di Francesco sulle imprese del regime. Nel1935, in un radiomessaggio alle truppe in partenza per la guerra d'Etiopia, invoca su di loro il viatico del Santo (anch'egli soldato, anch'egli votato al sacrificio) che le proteggerà "per le strade segnate dalle orme sanguinose dei missionari francescani". Altrettanto, nel 1942, nel saluto ai combattenti in partenza per il fronte, ricorderà il "santo dalle virtù eroiche [che esprime] il nostro credo che si compendia in un solo presagio, in una sola parola, in un solo grido: VINCEREMO!". Da Dante a Maria. La radio fa il suo ruolo, con le prediche radiofoniche di fra' Vittorio Facchinetti ("frate Microfono") e altrettanto lo fa il cinema. Nel 1927 il regista Giulio Cesare Antamoro firma “Frate Francesco”, film (ovviamente muto: il sonoro arriverà in Italia nel 1930) della durata di ll0 minuti, con Alberto Pasquali (1882-1929) nelle vesti del Santo. La fascistizzazione del Poverello va avanti sulle colonne dell'ex Cremona Nuova", diventato “Il Regime Fascista”, che ne parla come del "fascista dell'Italia feudale". Ma non ci si stupisca: il regime sta arruolando mezza storia medievale e protorinascimentale nella Milizia. Vengono accreditati come precursori del fascismo Francesco Ferrucci e Giovanni dalle Bande Nere, e si stacca una roboante tessera del Pnf per Dante Alighieri. Per non dire del fatto che perfino alla Madonna viene fatta metaforicamente indossare la camicia nera. Nella Madonna del Fascio, opera realizzata con 398 piastrelle di ceramica da Leopoldo Battistini, donata nel 1927 a Mussolini, protettrice dei fascisti, dove si vede Maria che con la sinistra regge Gesù mentre impugna a destra il robusto randello con il quale minaccia (l'evidentemente sovversivo, antifascista) Satana. Di fronte a questa esuberante fascistizzazione di un pezzo di Paradiso la Chiesa si mantiene cauta: su Civiltà Cattolica, padre Enrico Rosa mostra un prudente scetticismo e lo stesso papa Pio XI, nell'enciclica Rite expiatis del 1926, che prende spunto proprio dalle celebrazioni, invita a non forzare retoricamente la storia di Francesco, ammonendo a non creare "paragoni, frutto per lo più di passioni partigiane questi destinata all'asilo Santa Rosa di Predappio, si vedono infatti ai piedi della Vergine due angioletti che le presentano un pesante fascio littorio. Non ci si ferma nemmeno qui, perché - sottolinea Recchi - a Vibo Valentia (che ancora non si chiama così) nasce l'immagine della Madonna del manganello, protettrice dei fascisti, dove si vede Maria che con la sinistra regge Gesù mentre impugna a destra il robusto randello con il quale minaccia (l'evidentemente sovversivo, antifascista) Satana. Di fronte a questa esuberante fascistizzazione di un pezzo di Paradiso la Chiesa si mantiene cauta: su Civiltà Cattolica, padre Enrico Rosa mostra un prudente scetticismo e lo stesso papa Pio XI, nell'enciclica Rite expiatis del 1926, che prende spunto proprio dalle celebrazioni, invita a non forzare retoricamente la storia di Francesco, ammonendo a non creare "paragoni, frutto per lo più di passioni partigiane [che] non riescono di nessun vantaggio e sono ingiuriosi verso Dio autore della santità", ribadendo, nelle conclusioni, il monito a esaminare "l'immagine genuina di questo grandissimo animatore di Cristo". La promozione a patrono. Tuttavia, questa lettura va avanti impavida, rafforzata, anzi, dalla promotio di Francesco a Patrono d'Italia ("il più italiano dei Santi, il più Santo degli italiani"), da parte di Pio XII, nel 1939, insieme a Caterina da Siena, modello di coscienza unitaria civile e religiosa in cifra di italianità della Chiesa.

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