Da “Il
fantasma della libertà ai tempi degli emoticon” di Ezio Mauro, sul
quotidiano la Repubblica del 30 di giugno 2016: Viviamo gli anni del serpente.
Anni apparentemente post-conflittuali, che non contemplano più ordini,
precetti, costrizioni e divieti: salvo l'austerity. Quasi come se la politica
avesse delegato alla crisi il controllo spontaneo del sociale, tagli e
fratture, disuguaglianze ed esclusioni e se ne volesse lavare le mani,
ignorando quel che accade sotto di sé perché le basta il saldo finale, nella
nuova meccanica della democrazia dei numeri. Al posto delle ideologie ci sono
le emozioni, dove c'erano i valori crescono i sentimenti, spesso nella forma
del grande risentimento collettivo che sta diventando dovunque la cifra del
nostro scontento, unendo disperazioni individuali, solitudini repubblicane,
sedizioni silenziose: e lasciandoci credere che tutto questo è politica. Cosa
fa il potere davanti a questa mutazione in corso? (…). Nasce la società del
serpente, l'animale che dischiude gli ambiti chiusi col suo solo movimento, che
si adatta e scivola, supera barriere e restrizioni, connette gli spazi e sa
cambiar pelle. Mitologicamente, poi, il serpente incarna il peccato generale
che la società moderna porta in sé, e dunque avvera la profezia di Benjamin: il
capitalismo è il primo caso di una cultura che non consente espiazione ma
produce colpa e debito. Ma soprattutto - e proprio qui - nasce la
"psicopolitica", la nuova tecnica di dominio tipica della società in
cui viviamo. (…). La tesi è che le nuove costrizioni cui dobbiamo rispondere
sono in buona misura volontarie (e per questo ci appaiono naturali) perché sono
generate dalla nostra stessa libertà, in quanto la libertà di potere non ha
limiti, e dunque produce più vincoli del dovere. Ecco che mentre si pensa come
autonomo e libero, l'uomo d'oggi sta in realtà sfruttando se stesso senza avere
un padrone, diventa imprenditore di sé, isolato in sé, e si "usa"
volontariamente, seguendo le nuove esigenze della produzione immateriale. In
questa volontà libera e sfruttata, in questo isolamento cresce la stabilità del
sistema perché saltano le classi e le distinzioni tra servi e padroni, non si
forma mai un "noi" politico, una comunità di ribellione, anzi non si
vede emergere alcun punto di resistenza al sistema. Anche il nuovo tecnopotere
si nasconde nella libertà, sottraendosi ad ogni visibilità. Deponendo il
comando del potere disciplinare, preferisce sedurre piuttosto che proibire,
plasmandosi sulla psiche invece di costringere i corpi, assume forme permissive
mostrando benevolenza, cerca di piacere per suscitare dipendenza, depone ogni
messaggio negativo usando la libertà per portare l'individuo a sottomettersi da
sé. Nasce così la "società del controllo digitale" dove grazie
all'autodenudamento volontario di ognuno di noi la libertà e la comunicazione
che corrono senza limiti in rete si rovesciano in controllo e sorveglianza
totali, con i social media "che sorvegliano lo spazio sociale e lo
sfruttano", proprio a partire dall'auto-esposizione liberamente scelta da
tutti gli utenti. Il risultato è un'informazione che circola indipendentemente
dal contesto che la rende comprensibile e la connette ad un paesaggio cognitivo
più ampio, mentre ogni estraneità, diversità, difformità viene eliminata perché
rallenta la fluidità della comunicazione illimitata.
La libertà del cittadino, (…),
cede alla passività del consumatore che non ha più alcun interesse alla
politica e alla costruzione di una comunità, ma reagisce solo passivamente
criticando e lamentandosi per la cattiva politica, proprio come il consumatore
si lamenta di merci e servizi che non lo soddisfano. Anche il politico, di
conseguenza, diventa semplicemente un fornitore. E la trasparenza viene
invocata e svalutata insieme, perché non è richiesta per svelare i meccanismi
decisionali, ma per mettere a nudo i personaggi pubblici. Sono tutti
ingredienti di una democrazia da spettatori, dove il cittadino guarda l'azione
invece di agire mentre il suo status rimpicciolisce e i suoi diritti non sono
più quelli del protagonista, ma del pubblico pagante: che fa numero, ma non fa
più opinione. Più dell'opinione pubblica, d'altra parte, nell'era della
psicopolitica contano i Big Data che possono realizzare la speranza
illuministica di liberare il sapere dall'arbitrio elaborando previsioni sul
comportamento umano, ma possono trasformarsi in strumenti devozionali della fede
digitale nella quantificabilità della vita: utili a scomporre il "sé"
in microdati fino al vuoto di senso, perché "contare non è
raccontare", fortunatamente, e fino a rendere visibile una microfisica di
mini-azioni che si sottraggono alla coscienza consapevole. Così la
psicopolitica potrebbe trovare un suo accesso all'inconscio collettivo, creando
un "sapere del dominio" che permette di interagire con la psiche,
influenzandola in anticipo sulla coscienza, prima che la razionalità prenda il controllo
dei fenomeni. Non c'è bisogno di arrivare fino a questa soglia. Così come Weber
parlava del capitalismo ascetico dell'accumulazione, che seguiva una logica
razionale, (si) parla oggi di un "capitalismo delle
emozioni" perché il processo razionale diventa anch'esso troppo rigido,
scontato e lento per le nuove tecniche di produzione che invece si
avvantaggiano dell'emotività. Così la nuova economia dei consumi capitalizza
significati e sensazioni in una vera e propria trasformazione emotiva del processo
di produzione. E la psicopolitica si è già impossessata della sfera emozionale,
in modo da poter influenzare le azioni sul piano pre-riflessivo. Un potere
mimetico, dunque, che vive a suo agio nella libertà sfruttandola e usandoci
mentre ci crediamo a nostra volta liberi. Che vive in un tempo digitale di
accumulo del passato ma senza un processo narrativo della memoria. Che ci
convince della misurabilità di ogni cosa, come se la realtà fosse già tutta
rivelata e la conoscenza qualcosa da scaricare più che da conquistare perché le
risposte sono tutte pronte, dunque non servono più le domande. Un potere che
mentre cattura la psiche dimentica i corpi. Sarà per questo che i corpi dei
migranti - puro corpo, nuda vita che pretende di continuare a vivere - ci fanno
così paura.
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