Da “I leader
di paglia dell’Unione: così sono falliti i sogni” di Barbara Spinelli, su “il
Fatto Quotidiano” del 29 di giugno 2016: Nel Parlamento europeo di cui sono membro,
quel che innanzitutto colpisce, osservando la reazione alla Brexit, è la
diffusa assenza di autocritica, di memoria storica, di allarme profondo – e
anche di qualsiasi curiosità – di fronte al manifestarsi delle volontà
elettorali di un Paese membro. (Perché non va dimenticato che stiamo parlando
di un Paese ancora membro dell’ Unione). Una rimozione collettiva che si rivela
quanto mai grottesca e catastrofica, ma che dura da decenni. Meriterebbe studi
molto accurati; mi limiterò a menzionare alcuni punti essenziali. 1. Quel che
manca è l’ ammissione delle responsabilità, il riconoscimento esplicito del
fallimento monumentale delle istituzioni europee e dei dirigenti nazionali:
tutti. La cecità è totale, devastante e volontaria. Da anni, e in particolare
dall’ inizio della crisi del 2007-2008, istituzioni e governi conducono
politiche di austerità che hanno prodotto solo povertà e recessione. Da anni
disprezzano e soffocano uno scontento popolare crescente. Non hanno memoria del
passato – né quello lontano né quello vicino. Sono come gli uomini vuoti di
Eliot: “Uomini impagliati che s’ appoggiano l’ un all’ altro, la testa riempita
di paglia”. La loro ignoranza si combina con una supponenza senza limiti. Il
suffragio universale ha tutte le colpe e le classi dirigenti nessuna. È come se
costoro, trovandosi a dover affrontare un esame di storia al primo anno d’
università, dicessero che le cause dell’ avvento del nazismo sono addebitabili
solo a chi votò Hitler, senza mai menzionare le istituzioni di Weimar.
Sarebbero bocciati senza esitazione; qui invece continuano a dare lezioni
magistrali.
2. Nessun legame viene stabilito tra la Brexit e l’ evento
disgregante che fu l’ esperimento con la Grecia. Nulla hanno contato le
elezioni greche, nulla il referendum che ha respinto il memorandum della
troika. Dopo i negoziati del luglio scorso il divario tra volontà popolare ed
élite europea si è fatto più che mai vasto, tangibile e diffuso. Con più peso
evidentemente della Grecia, il Regno Unito ha posto a suo modo la questione centrale
della sovranità democratica, anche se con nefaste connotazioni nazionalistiche:
il suo voto è rispettato, quello greco no. Le lacerazioni prodotte dal
dibattito sulla Grexit hanno contribuito a produrre il Brexit, e il ruolo
svolto nella campagna dal fallito esperimento Tsipras è stato ripetutamente
ostentato. Ma nelle classi politiche ormai la memoria dura meno di un anno; di
questo passo tra poco usciranno di casa la mattina dimenticandosi di essere
ancora in mutande. È per colpa loro che la realtà ha infine fatto irruzione:
Trump negli Usa è la realtà, l’ uscita inglese è la realtà. Il voto britannico
è la vendetta della realtà sulle astrazioni e i calcoli errati di Bruxelles. 3.
La via d’ uscita prospettata dalle forze politiche consiste in una falsa nuova
Unione, a più velocità e costituita da un “nucleo centrale” più coeso e
interamente dominato dalla Germania. Le parole d’ ordine restano immutate:
austerità, smantellamento dello Stato sociale e dei diritti, e per quanto
riguarda il commercio internazionale – Ttip, Tisa, Ceta – piena libertà alle
grandi corporazioni e ai mercati, distruzione delle norme europee,
neutralizzazione di contrappesi delle democrazie costituzionali come giustizia,
Parlamenti e volontà popolari. Lo status quo è difeso con accanimento: (…). 4.
Migrazione e rifugiati. È stato un elemento centrale della campagna per il
Leave – che ha puntato il dito sia su rifugiati e migranti extraeuropei, sia
sull’ immigrazione interna all’ Ue -, ma le politiche dell’ Unione già hanno
incorporato le idee delle destre estreme, negoziando accordi di rimpatrio con
la Turchia (e in prospettiva con 16 paesi africani, dittature comprese come
Eritrea e Sudan) e non hanno quindi una visione alternativa a quella dell’
Ukip. La Brexit su questo punto è un disastro: rafforzerà, ovunque, la paura dello
straniero e le estreme destre che invocano respingimenti collettivi vietati
espressamente dalla legge internazionale e dalla Carta europea dei diritti
fondamentali. Quanto ai migranti dell’ Unione che vivono in Inghilterra, erano
già a rischio in seguito all’ accordo dello scorso febbraio tra Ue e Cameron.
Le politiche dell’ Unione sui rifugiati sono un cumulo di rovine che ha dato le
ali alla xenofobia. 5. Il ritorno alla sovranità che la
maggioranza degli inglesi ha detto di voler recuperare mette in luce un
ulteriore e più vasto fallimento. L’ Unione doveva esser un baluardo per i
cittadini contro l’ arbitrio dei mercati globalizzati. La scommessa è perduta:
le sovranità nazionali escono ancora più indebolite e l’ Unione non protegge in
alcun modo. Non è uno scudo ma il semplice portavoce dei mercati. La
globalizzazione ha dato vita a una sorta di costituzione non scritta dell’
Unione, avversa a ogni riforma-controllo del capitalismo e a ogni espressione
di scontento popolare, e in cui tutti i poteri sono affidati a un’ oligarchia
che non intende rispondere a nessuno delle proprie scelte. Sarà ricordata come
esemplare la risposta data dal Commissario Malmström nell’ ottobre 2015 a chi
l’ interrogava sui movimenti contrari a Ttip e Tisa: “Non ricevo il mio mandato
dal popolo europeo”. Questa costituzione non scritta si chiama governance e
poggia su un concetto caro alle élite fin dagli anni 70 (il vero inizio della
crisi economica e democratica): obiettivo non è il governo democratico ma la
governabilità. Il cittadino “governabile” è per definizione passivo. 6. L’
intera discussione sulla Brexit si sta svolgendo come se l’ alternativa si
riducesse esclusivamente a due visioni competitive: quella distruttiva dell’
exit e quella autocompiaciuta e immutata del Remain. Le cose non stanno così.
C’è una terza via, rappresentata dalla critica radicale della presente
costruzione europea, dalla denuncia delle sue azioni e dalla ricerca di un’
alternativa. Era la linea di Tsipras prima che Syriza andasse al governo. È la
linea di Unidos Podemos, che purtroppo non è stata premiata. Resta il fatto che
questa tripolarità è del tutto assente dal dibattito. 7. La democrazia diretta,
i referendum, la cosiddetta e-democracy. Il gruppo centrale del Parlamento li
guarda con un’ ostilità che la Brexit accentuerà. La democrazia diretta è certo
rischiosa, ma quando il rischio si concretizza, quasi sempre la causa risiede
nel fallimento della democrazia rappresentativa. Se per più legislature
successive e indipendentemente dall’ alternarsi delle maggioranze la sensazione
è che sia venuta meno la rappresentatività e con essa la responsabilità di chi
è stato incaricato di decidere al posto dei cittadini, i cittadini non ci
stanno più.
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