Interessante corrispondenza che la dice lunga per
come vanno le cose nel mondo dell’1% vs il 99%: (…). Stiamo chiacchierando su un
prato all'inglese, all'ora del cocktail, in mezzo a un andirivieni di camerieri
in livrea che servono caviale e champagne. Un centinaio di persone attorno a
noi, in un parco meraviglioso, con vegetazione lussureggiante e curatissima,
più spiaggia privata su una laguna di Southampton. (…). Gli Hamptons al plurale
sono ex villaggi di pescatori situati sulla punta nord di Long Island e da
oltre mezzo secolo sono diventati la Portofino o la Costa Smeralda o la Capri
dei ricchi newyorchesi. Siamo a 80 miglia di distanza da Manhattan, circondati
da grandi spiagge di dune sull'Atlantico, una natura selvaggia a perdita
d'occhio. Per i comuni mortali che arrivano in macchina, il traffico della
metropoli impone quasi tre ore di tragitto. I veri abitanti degli Hamptons
usano per lo più l'elicottero. Nel cuore di Southampton li incontri dal Sant
Ambroeus milanese, dove un caffè costa cinque dollari e le auto più comuni sono
Ferrari e Bentley. Insieme all'ex direttore dell'Economist sono ospite per il
weekend da un amico che ha una proprietà quasi modesta per gli standard degli
Hamptons: comunque ha un vasto parco privato, camere degli ospiti che non
riesco neppure a contare, una piscina, due giardinieri e una governante. Ma a
fianco alla sua ci sono ville che vogliono rivaleggiare con il castello di
Versailles. Ogni tanto, da queste parti si affacciano anche i coniugi Clinton,
agli Hamptons trovano un pubblico amico, organizzano cene per la raccolta di
fondi elettorali. La maggior parte sono progressisti alla Bill Gates o George
Soros. (…). L'amico che mi ospita mi accompagna in una lunga passeggiata sulla
spiaggia dove il paesaggio naturale è stato preservato bene, con qualche
eccezione. Mi indica un complesso di costruzioni modernissime, eleganti ma in
stridente contrasto con le dune. Un pugno nell'occhio, un mostro dal punto di
vista paesaggistico. Mi fa il nome del miliardario che l'ha edificato di
recente. Piscine multiple, case degli ospiti separate da quella padronale. Un
design da vascello spaziale, ancorché attenuato dall'uso di materiali edili
molto naturali, "sostenibili". «Abbiamo provato a opporci», mi spiega
il mio amico. «Si era formato un comitato locale per la tutela paesaggistica.
Ma lui ha opposto questo argomento: "Ho comprato il terreno e quindi
decido io cosa farci. Se cominciamo a porre dei limiti alla proprietà, si
finisce nel dirigismo di Stato, o nel socialismo"». (…). L’io
narrante è un affermato opinionista ed affermato saggista sui temi vari della
finanza e dell’economia. Svolge il suo mestiere con perizia e cura. Non sta a
lui decidere da quale parte si debba stare. Ma è quella parte che oggi
interessa maggiormente ed esclusivamente ai protagonisti della politica che
osano ancora definirsi della “sinistra”. Mentendo. Il loro obiettivo è divenire
un invitato degli Hamptons, della gente che è riuscita, come e perché non
conta. Poiché quel mondo rampante e vincente è il modello politico e sociale da
perseguire, anche se porta inevitabilmente a quell’1% che decide le sorti del
restante 99% degli esseri umani. È in questa condizione di minorità che la “sinistra”
si è cacciata, accettando ed imponendo come inevitabile al pari di una calamità
o di una punizione divina che i poveri continuino ad essere poveri, che quelli
del ceto che fu medio vengano risucchiati negli strati sociali più bassi e meno
fortunati. Un arresto di quell’ascensore sociale che negli anni d’oro del
secolo ventesimo aveva consentito l’allargamento in misura soddisfacente del
nuovo ceto medio. In quello scontro di “classi” fatto passare come inevitabile calamità
i politici della cosiddetta “sinistra” hanno scelto di stare con quelli degli
Hamptons. Al diavolo tutto il restante genere umano.
Sostiene Fabrizio Barca
nella intervista concessa a “il Fatto Quotidiano” del 18 di luglio - “Nel Pd fa carriera chi è fedele. E la
minoranza è uguale a Renzi” – a firma di Tommaso Rodano che “le
masse popolari impoverite hanno visto scomparire completamente la parola lavoro.
I cittadini ai margini avvertono l’impotenza di chi governa e cercano il nuovo,
qualunque esso sia. Hanno trovato il nuovo due anni fa in Renzi. Ora ne cercano
un altro. È un’eterna rincorsa”. Scusi, Barca: negli anni in cui è “scomparsa
la parola lavoro” lei ha fatto il ministro nel governo Monti e ha militato nel
Pd. Nessuna autocritica? “Quello di Monti era un governo d’emergenza nazionale,
aveva lo scopo di non farci finire come la Grecia. Era l’ultimo governo al
mondo a cui si potesse chiedere di rimettere al centro il lavoro”. E il Pd? “Il
Pd ha sempre avuto questo problema. Già con Veltroni, D’Alema, Bersani. Ha
rimosso dalla sua coscienza la centralità del lavoro. Dall’inizio”. E più
avanti dell’intervista: Conosce bene Padoan e De Vincenti: erano
economisti del Pci, giovani comunisti. Oggi lavorano a fianco di Renzi. Com’è
successo? “Hanno aderito al modello unico, all’idea che il mondo non possa
essere diverso da com’è. Un’errata posizione riformista, nel senso peggiore.
Non hanno capito che il capitalismo stava subendo delle trasformazioni radicali
che lo portavano alla crisi drammatica di oggi. Sono persone che lavorano
tanto, con convinzione, in modo onesto. Ma a un certo punto si sono convinti
che le loro idee fossero utopie”. La “morte” delle utopie è stata la
conseguenza di quella scelta degli Hamptons da parte di una cosiddetta “sinistra”
irresponsabile ed impresentabile.“#italiaripartestaisereno”. Delle fanfaluche
dell’uomo venuto da Rignano sull’Arno se ne hanno fin sopra i capelli. Un imbonitore,
come un venditore di piatti nelle antiche feste paesane. Un nulla, insomma. Interessante
leggere quanto ha scritto Giuseppe Travaglini – “L’ascensore sociale va solo in discesa” – sul settimanale A&F
dell’11 di luglio: (…). Può apparire anacronistico parlare di classi sociali, ma si
contrae quel ceto medio che condensa le tensioni della società italiana.
Parimenti torna a crescere la classe operaia. È in questa trasformazione che
vanno ricercate le difficoltà e le più forti capacità di condizionare le scelte
politiche. È perciò necessario individuare segni e dimensioni del mutamento. (…).
Può essere utile seguire la lezione di Sylos Labini e tentare di individuare le
trasformazioni della società italiana a partire dalla variazione di alcuni
indici economici. Negli ultimi decenni, quanto a la distribuzione del reddito
nazionale tra lavoro e capitale. Si è ridimensionata la quota dei redditi da
lavoro, mentre quella dei profitti e delle rendite è tornata a crescere.
Seppure in un contesto di recessione economica. Ampliando le disuguaglianze e
alimentando la povertà. Questa tendenza ha investito tutte le categorie. Non
solo la classe operaia (o popolare) che ha subito uno netto scivolamento delle
condizioni ma i ceti medi dell’amministrazione impiegatizia, degli artigiani,
dei commercianti, delle partite Iva. La “società di mezzo” è andata
assottigliandosi e assimilandosi, nei comportamenti e nelle paure, a quella
“operaia”. Il mutamento della distribuzione del reddito ha fatto da volano.
Secondo Eurostat, nel 1992 il 59% del reddito nazionale andava al lavoro. La
quota scendeva al 51% nel 2000. Risaliva al 53% nel 2015, ma solo per effetto
della recessione che faceva contrarre il Pil più della quota delle
retribuzioni. In quest’arco di tempo l’occupazione cresceva fino al 2006 per
poi crollare bruscamente con la crisi del 2007. Ma in questo sali e scendi, il
cambiamento della distribuzione del reddito ha sfavorito il lavoro con uno
spostamento medio annuo di 6,5 punti percentuali di Pil verso i redditi da
capitale (ben 100 miliardi di euro in media annua). Questa tendenza ha
interrotto la cosiddetta epoca della “cetomedizzazione”. Un cambiamento reale e
percepito delle condizioni reddituali e sociali della maggioranza degli
italiani. Ovviamente, anche la frenata delle retribuzioni medie per occupato ha
alimentato lo scivolamento verso il basso. Il declino ha peggiorato le
condizioni dei ceti medi e popolari che diventano sempre più simili. Le
retribuzioni nominali di fatto sono ferme da un decennio. Quelle medie reali
per occupato sono oggi pari a quelle del 2010 e il loro ritmo di crescita si è
più che dimezzato dall’inizio degli anni 90. Le retribuzioni reali medie
italiane paragonate a quelle dei 24 paesi Ocse più industrializzati mostrano
una perdita eccezionale: in numero da 110 del 1990 a 93 del 2015. Insomma, un
peggioramento concreto delle condizioni retributive e lavorative che ha
accresciuto il senso di precarietà (pensiamo anche agli effetti delle riforme
del mercato del lavoro), amplificato la percezione della discesa sociale e
modificato sensibilmente le abitudini di consumo e di risparmio dei cittadini,
e il loro modo di percepire e di rappresentare se stessi. Le proprie speranze e
le aspettative. Se l’ascensore sociale si blocca, ed anzi si avvia un processo
inverso di discesa dei ceti medi verso le posizioni di partenza, con un
parallelo rafforzamento delle elite, e con un inasprimento della “competizione”
tra gli esclusi del mercato del lavoro e un crescente disagio sociale tra i
giovani, sovente fuori dal mondo del lavoro e messi in concorrenza con le
coorti anziane della popolazione o con gli immigrati, la coesione del Paese si
sgretola, si deteriora ulteriormente il rapporto tra cittadini, politica e
partiti. Diviene più difficile riformare il Paese perché più alti sono i costi
sociali da sostenere per riuscire nella trasformazione. E più alte le
resistenze. La questione delle riforme tratteggiata 40 anni fa da Sylos Labini
è ancora attuale. Le riforme richiedono una condivisione politica che non può prescindere
dalla struttura sociale, e dal suo ricomporsi nel tempo insieme a quella
economica e produttiva, alla distribuzione dei redditi e alla rimozione degli
ostacoli che impediscono la mobilità sociale. Perciò, per riformare il Paese è
più che mai necessaria una riflessione sul mutamento delle classi sociali e
della distribuzione del reddito, e di come questi cambiamenti incidono sulla
rappresentanza politica, per comprendere la natura degli ostacoli e che in gran
parte impediscono oggi l’attuazione di un piano di riforme e il riavvio
dell’economia del Paese. L’interessante iniziale corrispondenza è a
firma di Federico Rampini ed è stata pubblicata sul settimanale “D” del 16 di
luglio ultimo scorso col titolo “Com’è
lontana la Terra vista dagli Hamptons”. “#italiaripartestaisereno”.
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