Da “Quattro
governi in cinque anni gli sbadati del bail in” di Alberto Statera, sul
settimanale “A&F” del 18 di luglio 2016: Adesso tutti piangono sul latte
versato per non aver approfittato degli aiuti di Stato alle banche italiane
permessi fino all’anno scorso dall’Unione Europea e vietati dal 2016 dal
cosiddetto bail in. Un caso che è difficile classificare come insipienza,
velleità o persino albagia. E come al solito un rebus per trovare i
responsabili diretti tra presidenti del Consiglio, ministri del Tesoro, Banca
d’Italia, Parlamento, partiti, quasi tutti impegnati invece a magnificare la
solidità del sistema bancario italiano, tolto quel “piccolo” inciampo del Monte
dei Paschi di Siena. Quasi un senso di meraviglia ha colto chi ha scoperto
tardivamente che dalla crisi del 2008 al 2015 in poi mezza Europa ha fatto
ricorso a fondi pubblici per aiutare le proprie banche: 239 miliardi
l’intransigente Germania, 162 e oltre il Regno Unito, più di 52 la Spagna, 42
l’Irlanda, 40 la Grecia, 36 i Paesi Bassi, 28 l’Austria e così via. E l’Italia?
1 miliardo (dicesi un miliardo di euro) mentre i crediti deteriorati (361) e le
sofferenze delle nostre banche e crescevano silenziosamente verso 200 miliardi.
Eppure, che il cappio per l’Italia sarebbe scattato nel 2016 avrebbero dovuto
saperlo tutti. La direttiva 2014/59 (Brrd- Bank recovery and resolution
dirictive) non spunta improvvisamente con il bail in, ma fu approvata il 15
aprile 2014 su mozione dello svedese Gunnar Mokmark dopo lunghi anni di
discussioni con 584 voti favorevoli, 80 contrari e 10 astensioni del Parlamento
europeo. Dove erano i parlamentari italiani? A passeggio per Bruxelles in
attesa di tornarsene onorevoli nelle zone d’origine al prossimo giro? Il PPE
votò sì, come Forza Italia, i socialisti europei e il Pd. Ma ogni tanto si ha
la sensazione che i nostri parlamentari europei, sulle cui qualità personali
preferiremmo non soffermarci, abbiano il voto facile su documenti di cui non
conoscono o non capiscono il significato. E i governi? Sino a fine 2011 fu in
carica Berlusconi, occupato negli affari suoi, a litigare con Tremonti che
voleva soffiargli il posto e infine travolto dallo spread. A novembre entra in
carica il governo Monti, che fa anche il ministro dell’Economia. E’ il governo
che doveva salvare l’Italia, ma che si rivela ostaggio delle granitiche
convinzioni di un premier incapace di quelle elasticità necessarie in un paese
sull’orlo del baratro, in fondo al quale dovrebbe vedere, da grande economista,
anche il nostro sistema bancario. Intanto, mezza Europa continua a erogare
centinaia di miliardi di aiuti di Stato e a mettere in sicurezza non tutte ma
un po’ delle sue banche. Quindi la meteora del governo Letta, con Fabrizio
Saccomanni all’Economia, che resiste neanche dieci mesi scalzato dallo “stai
sereno” di Matteo Renzi, con Pier Carlo Padoan all’Economia. Posto che a Renzi
le banche non portano bene, la cabina di regia del premier è una specie di
Babele dove regna la confusione, ma, volendo, in questi due anni e passa con
una forte azione politica ci sarebbe stato tutto il tempo, salvo i vincoli
esterni evidenti, nonostante la montagna del debito pubblico, per approfittare
degli aiuti di Stato prima dell’entrata in funzione del bail in. Perchè non si
è fatto, visto che il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco ora
sostiene che ci vuole l’intervento pubblico e il presidente dell’Abi che il
bail in è incostituzionale? Viene da chiedersi: dov’erano finora tutti questi
esimi signori?
Da “Chi
affonda quando le banche vengono salvate” di Angelo Baglioni, sul
settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 15 di gennaio 2016:
(…). …in
Europa, le regole che riguardano i salvataggi bancari sono cambiate. A partire
dall’inizio di quest’anno, è in vigore una nuova direttiva europea (Bank
Recovery and Resolution Directive), i cui effetti erano stati in parte
anticipati al 2013 dalla Commissione UE. La direttiva impone che, prima di
utilizzare fondi pubblici per salvare una banca, una quota consistente delle
perdite accumulate nella passata gestione venga addossata agli azionisti e ai
creditori. Questi soggetti non sono tutti sullo stesso piano, anzi c’è un
ordine preciso. I primi a essere colpiti sono gli azionisti. Se ciò non basta,
si passa alle obbligazioni subordinate. Poi viene il turno delle obbligazioni
ordinarie. Infine, potrebbero essere chiamati in causa anche i depositanti, per
le somme che eccedono i 100mila euro: fino a questo limite i depositi sono
protetti dalla assicurazione e sono esenti dal bail-in. Alla base di questa novità
ci sono le ingenti somme spese da alcuni governi europei per salvare le banche
dei loro paesi durante gli anni più neri della crisi finanziaria, dal 2008 al
2013. Quelli che hanno speso di più sono stati Germania e Regno Unito, seguiti
da Irlanda, Spagna, Grecia, Belgio e Francia. La reazione dei governi, e dei
loro elettorati, è stata: d’ora in poi, non si può addossare tutto il costo dei
salvataggi bancari ai contribuenti. Per questo è stato introdotto il bail-in,
che obbliga azionisti e creditori a contribuire al salvataggio di una banca in
crisi. La parola stessa, bail-in, si contrappone al termine inglese bail-out,
con il quale venivano chiamati i salvataggi vecchio stile, completamente a
carico dello Stato. L’Italia era stata finora ai margini della vicenda. Negli
anni bui della crisi finanziaria, il governo italiano ha speso somme
insignificanti rispetto a quelle impiegate da altri paesi europei per sostenere
il sistema bancario. Ciò è avvenuto grazie al fatto che le nostre banche erano
molto meno esposte ai prodotti della cosiddetta finanza “tossica”, come i
titoli derivati. Tuttavia, la crisi dell’economia reale si è poi fatta sentire
anche sui bilanci delle banche italiane, che hanno accumulato una mole
consistente di “sofferenze”, cioè di prestiti che (in parte) non verranno
restituiti. Ora questo si riflette nella crisi di alcuni istituti di dimensione
medio-piccola, che hanno la necessità di essere salvati con il contributo
pubblico, dove “pubblico” vuole dire a carico del sistema bancario nel suo
complesso ed eventualmente dello Stato. E qui interviene il bail-in: per
ridurre al minimo possibile il contributo pubblico, gli azionisti e i creditori
della banca “salvata” devono fare qualche sacrificio. Si dirà: prima gli altri
governi europei hanno aiutato le loro banche, proteggendo completamente i
risparmiatori; adesso che tocca a noi fare interventi di sostegno a qualche
piccolo istituto, ci dicono che le regole sono cambiate e che i risparmiatori
devono contribuire. È vero, però bisogna ricordare che le nuove regole europee
le abbiamo approvate anche noi, o meglio i nostri rappresentanti nelle
istituzioni europee: Commissione, Parlamento, Consiglio dei ministri. Le regole
relative ai salvataggi bancari fanno parte del più ampio progetto di Unione
bancaria, che ha avuto il pieno appoggio dell’Italia nelle trattative
internazionali. Quindi i casi sono due: o i nostri rappresentanti non sapevano
cosa stavano approvando, oppure lo sapevano, ma non hanno avuto la forza per
opporsi all’introduzione di regole destinate ad avere pesanti ripercussioni sui
risparmiatori italiani. E adesso? Ormai la frittata è fatta, e lanciare
invettive contro l’Europa non serve a nulla, se non a screditare le istituzioni
europee. Il principio del bail-in è stato incorporato nelle nostre leggi, e
come tale va rispettato. Bisogna però informare i risparmiatori del nuovo
regime e dei rischi che comporta. (…). La Commissione europea, in una sua
comunicazione del luglio 2013, aveva sostanzialmente anticipato il principio
del bail-in, limitatamente alle azioni e alle obbligazioni subordinate. Per
capire cosa sono queste ultime bisogna ricordare che, in caso di fallimento di
una banca, i detentori di obbligazioni subordinate vengono rimborsati solo dopo
che le attività della banca stessa sono state usate per rimborsare tutti gli
altri creditori. In altre parole, le obbligazioni subordinate sono una via di
mezzo tra le azioni e i normali debiti di una banca. Ma soprattutto,
dall’agosto del 2013, sono aggredibili in una procedure di salvataggio
bancario. Quanti investitori tra quelli colpiti dal salvataggio delle quattro
banche sapevano cosa sono le obbligazioni subordinate? Quanti sapevano dei
rischi che comportano, non solo in caso di fallimento, ma anche di salvataggio?
Individuare le responsabilità delle banche e delle autorità in questi casi
specifici è doveroso. Tuttavia, per il futuro è ancora più importante che ci
sia l’impegno a migliorare l’informazione che viene data ai clienti. Speriamo
in bene.
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