Ho pensato a Z. B. – che
solamente da poco tempo ci ha lasciati per sempre alla età di 94 anni
- rileggendo “Lo psicocomunista”,
un’intervista di Wolfram Eilenberger e Svenja Flasspölheral al sociologo Slavoj
Zizek pubblicata sul quotidiano la Repubblica del 31 di marzo dell’anno 2012.
Ho pensato a Z. B. poiché ha rappresentato proprio quel “comunista” lì, quel “comunista”
tratteggiato per l’appunto da quel fine intellettuale, “comunista” per sempre nella
sua lunga vita di valente artigiano vissuta in un ameno borgo ai piedi dei
Nebrodi boscosi. Ho conosciuto Z. B. tardi pur avendone sentito parlare tanto,
allorquando la comune amicizia di P. D. riferì del Suo desiderio di conoscermi
avendo saputo del mio passato a vocazione “sinistrorsa”. Non persi tempo ed
andai a trovarlo nel Suo “atelier” e lo trovai preso ancora dalla Sua
creatività ed operosità. La prima cosa che mi disse, offrendomi una sedia sulla
quale sedere, fu: - Su questa sedia si è
seduto anche Giorgio Napolitano -. E poi mi disse dei tanti altri politici –
della “sinistra” sempre - che s’erano seduti su quella sedia, uomini politici
che, capitati nei loro giri elettorali in quelle amene contrade nebroidee, non
disdegnavano d’andare a fare visita a quel “comunista”, ché come tale l’ho
conosciuto e che mi fa ora che non c’è più piacere pensare essere volato in
cielo con quell’immutata Sua grande “fede”. Ho pensato a Z. B. poiché nel Suo
pensare e parlare dell’essere un “comunista” ho vista l’incarnazione
di quanto Slavoj Zizek ha sostenuto in quella lontana intervista:
(…). «Posso
darvi tre motivazioni. Da buon freudiano, so che quando si danno troppe
motivazioni ci si rende subito sospetti (…). Primo: vorrei sottolineare che,
nonostante tutto, esiste una ben definita tradizione del comunismo che non ha
proprio nulla a che fare con lo stalinismo. Ad esempio la linea radicale ed
emancipativa rappresentata dal millenarismo, con la sua credenza nella fine dei
tempi. Il regno eterno è qui! È possibile trovarla nel cristianesimo, nella
rivolta spartachista, nella guerra dei contadini e così via. Ritengo questa
tradizione molto importante, mi piacerebbe portarla avanti».
E la seconda motivazione? «Il
problema di tutti gli altri concetti, ad eccezione del comunismo, è che sono
compromessi nel senso esattamente opposto: sono troppo leggeri da digerire.
Prendiamo il concetto di "solidarietà". Perfino Hitler avrebbe potuto
parlare di solidarietà. O "dignità" - ma è chiaro, tutto dipende da
cosa intendiamo per "dignità". Vedete, la parola comunismo almeno è
destabilizzante: fa capire che non stiamo qui a prenderci in giro, a parlare di
concetti onorati e vuoti, come quello di "maggiore giustizia"».
E la terza ragione? «Forse è
addirittura un bene che questo concetto sia gravato da una storia così
spaventosa. Essa ci ricorda che progetti di una tale portata pratica sono
sempre intrisi di pericolo. (...). Ma la mia vera risposta, quella definitiva,
è: la parola "comunismo", (…), non è il nome della soluzione, bensì
quello del problema».
Di quale problema? «Se si
esaminano le questioni di fronte a cui ci troviamo oggi - l'inquinamento dell'ambiente,
il capitalismo finanziario, la biogenetica, la difesa della proprietà
intellettuale - tutti questi sono "problemi del vivere insieme, in
comune": riguardano un ambito che sfugge sia al controllo dello Stato che
alle soluzioni pensabili nell' ambito privatistico dell'economia di mercato. Il
concetto di "comunismo" (dal latino communis) per me, quindi,
identifica il problema. (...). Il problema è in realtà: qual è la logica alla
base dell'odierno sistema capitalistico che permette al capitale finanziario di
agire così? Si tratta di una coazione sistemica. I banchieri sono cattivi da
sempre - che strano, eh? Non bisogna dare la colpa solo ai banchieri di oggi! È
un'idiozia! E penso che l'errore più grave che si possa commettere sia
moralizzare questa crisi» (...).
Lei affermerebbe che la nostra
attuale forma di democrazia non è in grado di combattere il capitalismo? « No,
no, no, direi quasi il contrario!Certo, la libertà di cui disponiamo è solo formale
ma questo è comunque l'unico ambito in cui la libertà può esistere. Nel momento
in cui si abolisce la democrazia formale, non si ottiene la vera democrazia.
Piuttosto, si perde la democrazia in quanto tale. Il solo spazio di libertà che
abbiamo si trova nel campo intermedio tra la democrazia formale e le forme
effettive della nostra illibertà... Si deve cominciare a pensare la politica al
di là delle ristrette definizioni proprie dello Stato multipartitico. Voglio
dirlo in questi termini: io odio il Sessantotto. Troppa libertà, troppo divertimento.
Ma almeno una cosa l'hanno capita: il personale è politico e tutta quella roba
là. Non sono cose che vadano sopravvalutate, sia ben chiaro, ma naturalmente
sono giuste: l'oppressione delle donne, le strutture famigliari, quello che
succede nelle fabbriche... anche in questi ambiti si pongono questioni di
libertà, di politica. E qui, a mio parere, si innesta il problema più serio:
non si dovrebbe far fuori la democrazia formale. Però, allo stesso tempo, come
fare a includere questi ambiti nel processo politico?». Non so se Z. B.
conoscesse ed abbia letto l’intervista di Zizek, ma sono convinto che in essa
si sarebbe visto e rivisto, rispecchiato quasi. Poiché in quell’essere “comunista”
a quel modo lì di Slavoj Zizek Z. B., senza saperlo forse, ha dedicato
e quasi consacrato la Sua esistenza. In un’occasione successiva avrei voluto scoprire
l’origine ed il perché del Suo nome. Ma non sono stato capace e determinato a farlo.
Ora che Z. B. non c’è più la “storia” di quel nome mi è stata raccontata da S.
S. “Z” sta appunto per Zebedeo, che è stato il nome della Sua vita. Tutti a
conoscerlo per “Zebedeo”. E basta. Ma perché proprio Zebedeo? Si sa come nelle “scritture”
un certo Zebedeo stia per lo sposo di Salome, una delle donne accorse sul
patibolo dell’uomo di Nazareth, e che quel tale Zebedeo sia stato pure il padre
di Giovanni e di Giacomo, entrambi apostoli. E su quel nome inusuale per quelle
contrade S. S. mi ha disvelato l’arcano. Non certo fu un rapimento mistico dei
genitori di Z. B. ad impor loro quell’altisonante nome, ma semplicemente una
storia che oggigiorno ha dell’incredibile. Non ancora disvelatasi quella
incipiente gravidanza, alla genitrice venne fatta visita da una nomade che si
aggirava a quel tempo in quegli ubertosi luoghi chiedendo elemosina o
quant’altro potesse alleviare la sua miserrima condizione ed esistenza. Alle
generosità elargite a piene mani ed amorevolmente accolte l’ospite volle
ricambiare con le benedizioni che accompagnarono un annuncio, ovvero di quella
gravidanza ancora non rivelatasi, con una ulteriore richiesta; ovvero, che al
nascituro fosse imposto quel nome, Zebedeo per l’appunto, con tanta fortuna
nella Sua vita. E Zebedeo fu, e per tutta la vita. È leggendo Zizek che ho
pensato a Z. B. che non c’è più, a quel “comunista” come tratteggiato
dall’illustre studioso e come intensamente vissuto – senza conoscere
probabilmente Zizek - da Z. B. nell’arco della Sua intera laboriosa, onesta
esistenza. Da buon “comunista”, alla Zizek per l’appunto. Alla cara memoria di
Zebedeo Basile.
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