"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

mercoledì 6 luglio 2016

Strettamentepersonale. 20 “Z. B. e lo psicocomunista”.


A lato: “Salome, Zebedeo e i loro figli Giovanni e Giacomo”, dipinto di Hans Süß von Kulmbach (Saint Louis Art Museum, Saint Louis, Missouri).

Ho pensato a Z. B. – che solamente da poco tempo ci ha lasciati per sempre alla  età di 94 anni  - rileggendo “Lo psicocomunista”, un’intervista di Wolfram Eilenberger e Svenja Flasspölheral al sociologo Slavoj Zizek pubblicata sul quotidiano la Repubblica del 31 di marzo dell’anno 2012. Ho pensato a Z. B. poiché ha rappresentato proprio quel “comunista” lì, quel “comunista” tratteggiato per l’appunto da quel fine intellettuale, “comunista” per sempre nella sua lunga vita di valente artigiano vissuta in un ameno borgo ai piedi dei Nebrodi boscosi. Ho conosciuto Z. B. tardi pur avendone sentito parlare tanto, allorquando la comune amicizia di P. D. riferì del Suo desiderio di conoscermi avendo saputo del mio passato a vocazione “sinistrorsa”. Non persi tempo ed andai a trovarlo nel Suo “atelier” e lo trovai preso ancora dalla Sua creatività ed operosità. La prima cosa che mi disse, offrendomi una sedia sulla quale sedere, fu: - Su questa sedia si è seduto anche Giorgio Napolitano -. E poi mi disse dei tanti altri politici – della “sinistra” sempre - che s’erano seduti su quella sedia, uomini politici che, capitati nei loro giri elettorali in quelle amene contrade nebroidee, non disdegnavano d’andare a fare visita a quel “comunista”, ché come tale l’ho conosciuto e che mi fa ora che non c’è più piacere pensare essere volato in cielo con quell’immutata Sua grande “fede”. Ho pensato a Z. B. poiché nel Suo pensare e parlare dell’essere un “comunista” ho vista l’incarnazione di quanto Slavoj Zizek ha sostenuto in quella lontana intervista:
(…). «Posso darvi tre motivazioni. Da buon freudiano, so che quando si danno troppe motivazioni ci si rende subito sospetti (…). Primo: vorrei sottolineare che, nonostante tutto, esiste una ben definita tradizione del comunismo che non ha proprio nulla a che fare con lo stalinismo. Ad esempio la linea radicale ed emancipativa rappresentata dal millenarismo, con la sua credenza nella fine dei tempi. Il regno eterno è qui! È possibile trovarla nel cristianesimo, nella rivolta spartachista, nella guerra dei contadini e così via. Ritengo questa tradizione molto importante, mi piacerebbe portarla avanti».
E la seconda motivazione? «Il problema di tutti gli altri concetti, ad eccezione del comunismo, è che sono compromessi nel senso esattamente opposto: sono troppo leggeri da digerire. Prendiamo il concetto di "solidarietà". Perfino Hitler avrebbe potuto parlare di solidarietà. O "dignità" - ma è chiaro, tutto dipende da cosa intendiamo per "dignità". Vedete, la parola comunismo almeno è destabilizzante: fa capire che non stiamo qui a prenderci in giro, a parlare di concetti onorati e vuoti, come quello di "maggiore giustizia"».
E la terza ragione? «Forse è addirittura un bene che questo concetto sia gravato da una storia così spaventosa. Essa ci ricorda che progetti di una tale portata pratica sono sempre intrisi di pericolo. (...). Ma la mia vera risposta, quella definitiva, è: la parola "comunismo", (…), non è il nome della soluzione, bensì quello del problema».
Di quale problema? «Se si esaminano le questioni di fronte a cui ci troviamo oggi - l'inquinamento dell'ambiente, il capitalismo finanziario, la biogenetica, la difesa della proprietà intellettuale - tutti questi sono "problemi del vivere insieme, in comune": riguardano un ambito che sfugge sia al controllo dello Stato che alle soluzioni pensabili nell' ambito privatistico dell'economia di mercato. Il concetto di "comunismo" (dal latino communis) per me, quindi, identifica il problema. (...). Il problema è in realtà: qual è la logica alla base dell'odierno sistema capitalistico che permette al capitale finanziario di agire così? Si tratta di una coazione sistemica. I banchieri sono cattivi da sempre - che strano, eh? Non bisogna dare la colpa solo ai banchieri di oggi! È un'idiozia! E penso che l'errore più grave che si possa commettere sia moralizzare questa crisi» (...).
Lei affermerebbe che la nostra attuale forma di democrazia non è in grado di combattere il capitalismo? « No, no, no, direi quasi il contrario!Certo, la libertà di cui disponiamo è solo formale ma questo è comunque l'unico ambito in cui la libertà può esistere. Nel momento in cui si abolisce la democrazia formale, non si ottiene la vera democrazia. Piuttosto, si perde la democrazia in quanto tale. Il solo spazio di libertà che abbiamo si trova nel campo intermedio tra la democrazia formale e le forme effettive della nostra illibertà... Si deve cominciare a pensare la politica al di là delle ristrette definizioni proprie dello Stato multipartitico. Voglio dirlo in questi termini: io odio il Sessantotto. Troppa libertà, troppo divertimento. Ma almeno una cosa l'hanno capita: il personale è politico e tutta quella roba là. Non sono cose che vadano sopravvalutate, sia ben chiaro, ma naturalmente sono giuste: l'oppressione delle donne, le strutture famigliari, quello che succede nelle fabbriche... anche in questi ambiti si pongono questioni di libertà, di politica. E qui, a mio parere, si innesta il problema più serio: non si dovrebbe far fuori la democrazia formale. Però, allo stesso tempo, come fare a includere questi ambiti nel processo politico?». Non so se Z. B. conoscesse ed abbia letto l’intervista di Zizek, ma sono convinto che in essa si sarebbe visto e rivisto, rispecchiato quasi. Poiché in quell’essere “comunista” a quel modo lì di Slavoj Zizek Z. B., senza saperlo forse, ha dedicato e quasi consacrato la Sua esistenza. In un’occasione successiva avrei voluto scoprire l’origine ed il perché del Suo nome. Ma non sono stato capace e determinato a farlo. Ora che Z. B. non c’è più la “storia” di quel nome mi è stata raccontata da S. S. “Z” sta appunto per Zebedeo, che è stato il nome della Sua vita. Tutti a conoscerlo per “Zebedeo”. E basta. Ma perché proprio Zebedeo? Si sa come nelle “scritture” un certo Zebedeo stia per lo sposo di Salome, una delle donne accorse sul patibolo dell’uomo di Nazareth, e che quel tale Zebedeo sia stato pure il padre di Giovanni e di Giacomo, entrambi apostoli. E su quel nome inusuale per quelle contrade S. S. mi ha disvelato l’arcano. Non certo fu un rapimento mistico dei genitori di Z. B. ad impor loro quell’altisonante nome, ma semplicemente una storia che oggigiorno ha dell’incredibile. Non ancora disvelatasi quella incipiente gravidanza, alla genitrice venne fatta visita da una nomade che si aggirava a quel tempo in quegli ubertosi luoghi chiedendo elemosina o quant’altro potesse alleviare la sua miserrima condizione ed esistenza. Alle generosità elargite a piene mani ed amorevolmente accolte l’ospite volle ricambiare con le benedizioni che accompagnarono un annuncio, ovvero di quella gravidanza ancora non rivelatasi, con una ulteriore richiesta; ovvero, che al nascituro fosse imposto quel nome, Zebedeo per l’appunto, con tanta fortuna nella Sua vita. E Zebedeo fu, e per tutta la vita. È leggendo Zizek che ho pensato a Z. B. che non c’è più, a quel “comunista” come tratteggiato dall’illustre studioso e come intensamente vissuto – senza conoscere probabilmente Zizek - da Z. B. nell’arco della Sua intera laboriosa, onesta esistenza. Da buon “comunista”, alla Zizek per l’appunto. Alla cara memoria di Zebedeo Basile.

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