La “sfogliatura” di oggi
risale al venerdì 18 del mese di novembre dell’anno 2011, tempi ultimi per l’imminente
fine dell’uomo venuto da Arcore decretata al di là delle Alpi. Anch’essa ha
fatto parte di quel “doveravatetutti” che ha rappresentato quell’inutile “allarme” –
dei pochi, pochissimi - che la cronaca politica dell’oggi impietosamente certifica.
Riportano per l’appunto le cronache all’indomani del lunedì 4 di luglio ultimo che
l’uomo venuto da Rignano sull’Arno, senza tanti giri di parole, abbia determinato
la fine della legislatura qualora risultasse a lui avverso il referendum ottobrino.
E gli organi costituzionali? Dove sono? Aboliti con bolla motu proprio! Scrivevo
allora: 29 di settembre 2003: quando “l’egoarca”
lacerò gli ultimi poveri veli pietosamente distesi su di uno sfortunato Paese.
Ho preso a prestito da un bel libro di Stefano Benni il termine “egoarca” che
penso si adatti bene al ruolo del nostro intrepido cavaliere. E non di meno il
Paese è stato messo di fronte alla nuova realtà laddove “l’egoarca” ha
disegnato il nuovo assetto politico-istituzionale. Una piramide, al vertice
della quale, appunto, si colloca “l’egoarca”, alla base della stessa il popolo
televisivo sapientemente educato ed indirizzato, ed in mezzo, niente! Più
chiari di così, penso, si debba proprio essere degli orbi a non vedere e non
volere capire verso quale spiaggia navighi a vista il nostro Paese. Inutili
risulteranno nel nuovo assetto politico-istituzionale i partiti, i sindacati,
tutte le organizzazioni sociali che in un qualsiasi paese a democrazia
compiuta, o quantomeno normale, trovano legittima cittadinanza. E se le mire
egemoniche del nostro “egoarca” non troveranno sul loro cammino un legittimo
ostacolo, un provvidenziale ripensamento da parte di quelle forze politiche che
al momento gli fanno da spalla, un rapido e disinteressato rinsaldarsi di tutte
le forze che a vario titolo possono opporvisi ed esprimere una democratica
alternativa, allora potrà compiutamente realizzarsi la profezia che chiude
il bel libro di Stefano Benni “La
compagnia dei celestini”:(…). Come succede talvolta agli uomini, il
paese morì con rassegnazione. Alcuni, tra le fiamme, guardavano un televisore
ormai muto e grigio. Altri, che si ritenevano innocenti, e forse lo erano,
trovarono grande l’ingiustizia, ma era troppo tardi. Altri ancora pensarono
alle vicende che avevano preceduto quel giorno fatale e dissero: come abbiamo
potuto permettere tutto questo? E imploravano di avere un giorno per rimediare,
un altro giorno soltanto! Ma la mattina dopo di quel paese non era rimasta
alcuna traccia, e gli altri paesi avevano altro a cui pensare. Sui confini
crebbe l’erba e nessuno vi entrò più. Così tutto fu bene ciò che finì e basta.
Solo che questa profezia risale all’anno del signore 1992. Percezioni? Consapevolezze? Di quell’allarmante “sentire” anni ed anni dopo, il 25 di marzo dell’anno 2010, ne scriveva pure il politologo Carlo Galli sul quotidiano “la Repubblica” col titolo “Il gazebo leninista del Cavaliere”, che di seguito trascrivo in parte. (…). …nel passaggio dal comunismo al populismo - ciò, infatti, si tratta - il mito della politica semplice si modifica, e subisce importanti trasformazioni. La principale è che quello che veniva indicato come un obiettivo da raggiungere con un lungo processo storico e politico, guidato dall'avanguardia pensante del Partito ma assecondato da tutto il popolo, ora è presentato, invece, come una grande occasione, magica e irripetibile, di cui è un peccato non approfittare; nel mondo felice di oggi non c'è bisogno di nessuna Lunga marcia emancipatoria: basta appartenere al Popolo della Libertà, basta votare Silvio, per avere in più, come un benefit, oltre che la vittoria elettorale e la liberazione dai comunisti, anche la soddisfazione di potere rendere noto, gratis, al gazebo, se si preferisce l'elezione del premier o quella del Capo dello Stato. Dalla più visionaria delle ideologie alla più domestica delle televendite, insomma; dal lungo scavo della vecchia talpa (il comunismo pretendeva di venire da lontano, dalle profondità della storia) al kit per giocare alla Costituzione fai da te. Dalla tragedia potenziale alla farsa reale. (…). Il suo contratto emotivo con gli italiani prevede proprio questo: che lui, il Capo, faccia realmente la politica, come vuole, e la racconti al popolo in modo tale che questo si senta partecipe di un'avventura, protagonista di un evento. Ciò è possibile, naturalmente, solo perché da decenni Berlusconi ha plasmato gli italiani, con le sue televisioni, in modo tale da renderli raggiungibili da questo tipo di messaggio, permeabili a queste suggestioni, mobilitabili contro la rigorosità e la rigidità della politica, e contro la complessità delle sue forme, dei suoi meccanismi, dei suoi bilanciamenti di poteri. Com'è ovvio, dell'evento futuro e ripetutamente minacciato - le riforme della Costituzione in senso autoritario, condotte a colpi di maggioranza - i semplici membri del popolo non saranno protagonisti, ma comparse, chiamate a recitare un copione di cui non capiscono la portata e le conseguenze; l'importante è che sia costruita un'immagine, quella del popolo che scrive da se stesso la propria costituzione e non la lascia scrivere dal politici o dagli intellettuali. Che non è un'immagine democratica: in una democrazia il popolo partecipa ai grandi rivolgimenti politici da cui scaturisce, con procedure non immediate, una costituzione, mentre nell'universo del populismo la partecipazione, troppo faticosa e complessa, è sostituita da qualche gesto simbolico, dal gazebo. Che dovrebbero fungere da fonte di legittimazione popolare di un tentativo, purtroppo probabile, di trasformare una Costituzione democratica in populismo istituzionalizzato, sotto le spoglie del presidenzialismo. Un tentativo a cui potranno opporsi solo quei custodi della Costituzione che oggi vengono preventivamente delegittimati come comunisti e al tempo stesso bollati come lontani dal popolo: nel mondo virtuale di Berlusconi questa non è una contraddizione, perché tutto vi è possibile. Com'è possibile anche che le farse elettorali non svaniscano appena chiuse le urne, ma si materializzino in seguito, come autentici incubi. Il viatico e lo sprone sono passati dall’uomo venuto da Arcore all’uomo venuto da Rignano sull’Arno senza colpo ferire con una stupefacente continuità.
Solo che questa profezia risale all’anno del signore 1992. Percezioni? Consapevolezze? Di quell’allarmante “sentire” anni ed anni dopo, il 25 di marzo dell’anno 2010, ne scriveva pure il politologo Carlo Galli sul quotidiano “la Repubblica” col titolo “Il gazebo leninista del Cavaliere”, che di seguito trascrivo in parte. (…). …nel passaggio dal comunismo al populismo - ciò, infatti, si tratta - il mito della politica semplice si modifica, e subisce importanti trasformazioni. La principale è che quello che veniva indicato come un obiettivo da raggiungere con un lungo processo storico e politico, guidato dall'avanguardia pensante del Partito ma assecondato da tutto il popolo, ora è presentato, invece, come una grande occasione, magica e irripetibile, di cui è un peccato non approfittare; nel mondo felice di oggi non c'è bisogno di nessuna Lunga marcia emancipatoria: basta appartenere al Popolo della Libertà, basta votare Silvio, per avere in più, come un benefit, oltre che la vittoria elettorale e la liberazione dai comunisti, anche la soddisfazione di potere rendere noto, gratis, al gazebo, se si preferisce l'elezione del premier o quella del Capo dello Stato. Dalla più visionaria delle ideologie alla più domestica delle televendite, insomma; dal lungo scavo della vecchia talpa (il comunismo pretendeva di venire da lontano, dalle profondità della storia) al kit per giocare alla Costituzione fai da te. Dalla tragedia potenziale alla farsa reale. (…). Il suo contratto emotivo con gli italiani prevede proprio questo: che lui, il Capo, faccia realmente la politica, come vuole, e la racconti al popolo in modo tale che questo si senta partecipe di un'avventura, protagonista di un evento. Ciò è possibile, naturalmente, solo perché da decenni Berlusconi ha plasmato gli italiani, con le sue televisioni, in modo tale da renderli raggiungibili da questo tipo di messaggio, permeabili a queste suggestioni, mobilitabili contro la rigorosità e la rigidità della politica, e contro la complessità delle sue forme, dei suoi meccanismi, dei suoi bilanciamenti di poteri. Com'è ovvio, dell'evento futuro e ripetutamente minacciato - le riforme della Costituzione in senso autoritario, condotte a colpi di maggioranza - i semplici membri del popolo non saranno protagonisti, ma comparse, chiamate a recitare un copione di cui non capiscono la portata e le conseguenze; l'importante è che sia costruita un'immagine, quella del popolo che scrive da se stesso la propria costituzione e non la lascia scrivere dal politici o dagli intellettuali. Che non è un'immagine democratica: in una democrazia il popolo partecipa ai grandi rivolgimenti politici da cui scaturisce, con procedure non immediate, una costituzione, mentre nell'universo del populismo la partecipazione, troppo faticosa e complessa, è sostituita da qualche gesto simbolico, dal gazebo. Che dovrebbero fungere da fonte di legittimazione popolare di un tentativo, purtroppo probabile, di trasformare una Costituzione democratica in populismo istituzionalizzato, sotto le spoglie del presidenzialismo. Un tentativo a cui potranno opporsi solo quei custodi della Costituzione che oggi vengono preventivamente delegittimati come comunisti e al tempo stesso bollati come lontani dal popolo: nel mondo virtuale di Berlusconi questa non è una contraddizione, perché tutto vi è possibile. Com'è possibile anche che le farse elettorali non svaniscano appena chiuse le urne, ma si materializzino in seguito, come autentici incubi. Il viatico e lo sprone sono passati dall’uomo venuto da Arcore all’uomo venuto da Rignano sull’Arno senza colpo ferire con una stupefacente continuità.
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