I fatti atroci di “Charlie Hebdo” inducono a tenere
desta l’attenzione ed esigono che le libere coscienze si interroghino su ciò
che questo angolo di mondo, l’Europa, rappresenta, pur tra le sue infinite
difficoltà, per il cammino dell’intera comunità umana. È necessario tutto ciò
affinché non trovi fertile terreno sul quale attecchire la mala pianta del “mata
il moro” che sopravvive ancora oggi, come la peggiore delle erbe
infestanti, nell’immaginario collettivo di tante contrade della vecchia Europa.
E la riflessione e la conoscenza rappresentano strumenti e vie attraverso i
quali ricondurre alla razionalità i nuovi problemi che le società del secolo
ventunesime sono chiamate ad affrontare senza ricorrere alle vie brevi della
semplificazione e della alterazione della storia. Poiché i fatti tragici di
“Charlie Hebdo” stanno lì a dimostrare come tanta parte del genere umano stia
ancora a soggiacere sotto il pesante tallone di quelle che il teologo cattolico
Vito Mancuso definisce “ideologie totalizzanti”. E se
l’Europa è uscita faticosamente da quel tunnel lo deve innanzitutto alla “fortunata”
sua Storia, a quella combinazione di fatti ed eventi che nel corso del passato
millennio l’hanno tirata fuori dall’oscurantismo che tuttora assoggetta tutta
una grandissima parte di mondo. È questa consapevolezza che necessita all’Occidente
cristianizzato affinché quella mala pianta non abbia ad attecchire rendendo
così un servigio alle forze più oscurantiste e nemiche del progresso e della
modernità. Ha scritto Vito Mancuso sul quotidiano la Repubblica del 22 di
gennaio 2015 – “Un nuovo spettro si
aggira per l’Europa”:
(…). È possibile che una religione o
un'ideologia totalizzante non diventi totalitaria? È possibile che le religioni
(le quali sono tutte totalizzanti, perché per meno non sarebbero religio) non
producano totalitarismi? Oppure, perché si possa dare libertà e quindi democrazia,
occorre necessariamente la destituzione del pensiero totalizzante a favore del
relativismo? Per rispondere consideriamo il cristianesimo: come mai questa
religione, che è stata totalizzante e totalitaria almeno quanto l'Islam, oggi
non lo è più? La risposta consiste nel pronome personale "io": il
cristianesimo ha permesso alla coscienza di dire "io" e con ciò di
distaccarsi dalla dimensione totalizzante di religione + politica. Lo strappo
decisivo avvenne il 18 aprile 1521 a opera del frate agostiniano Martin Lutero
che, a cospetto dell'imperatore Carlo V durante la Dieta di Worms, dopo che per
l'ennesima volta gli era stato intimato di ritrattare, disse: "Non posso e
non voglio revocare nulla, perché è pericoloso e ingiusto agire contro la
propria coscienza. Non posso diversamente. Io sto qui. Che Dio mi aiuti.
Amen". Venne poi Cartesio che nel 1637 segnò la svolta del pensiero
filosofico europeo dicendo "io penso, quindi sono" ( cogito ergo sum
), ovvero la più grande consapevolezza di me stesso in quanto uomo mi è data
dal mio essere pensante. Da qui si aprì la strada all'Illuminismo e al cammino
faticoso (e sanguinoso) verso la democrazia, dove l'io penso filosofico divenne
un io penso politico e sociale. La Chiesa cattolica si oppose sistematicamente
a questo cammino: scomunicò Lutero, mise all'Indice Cartesio e gli illuministi,
avversò ogni rivendicazione in tema di diritti umani, soprattutto la libertà di
coscienza. Alla fine però dovette cedere e finì per rivedere la sua stessa
dottrina: la libertà di coscienza, che Gregorio XVI in linea con molti altri
pontefici aveva definito un "delirio" (deliramentum), un secolo dopo,
il 7 dicembre 1965, divenne parte della dottrina cattolica con il documento
Dignitatis humanae del Vaticano II e oggi è parte integrante della predicazione
dei Pontefici. La Chiesa si è convertita? È stata costretta a convertirsi,
avendo perso lo scontro con la modernità. La quale però, non lo si dimentichi,
venne suscitata da credenti quali Lutero e Cartesio, e nutrita anche da altri
credenti tra cui gli illuministi tedeschi Lessing e Kant, e se lo sottolineo è
per evitare banali conclusioni laiciste e far comprendere quanto il discorso
sia dialetticamente molto complesso. In ogni caso l'esito del processo di
modernizzazione ci consegna oggi una religione quale quella cristiana che,
mantenendo la sua carica totalizzante per la vita individuale, non cade per
questo nel totalitarismo sociopolitico. (…). È la conoscenza del
vissuto nella storia dell’Europa religiosa e politica che costringe oggigiorno
le libere coscienze a chiedersi su quali altri incerti approdi l’evoluzione
civile dell’Europa si sarebbe conclusa senza la convergenza e la concomitanza
degli innumerevoli accadimenti storici così brillantemente enunciati dal
teologo. E tutto ciò consegna all’Europa moderna il dovere irrinunciabile di
conoscere e di capire, d’intraprendere quelle azioni che siano però consapevoli
delle enormi difficoltà d’affrancamento che intere popolazioni ancor oggi
affrontano nell’incerto percorrere la via del riscatto e della liberazione da
antiche, insopportabili costrizioni. La via è quella della razionalizzazione e
della messa in atto di tutte quelle strategie affinché anche ai popoli che
stanno al di fuori dell’Europa si possano dischiudere vie nuove di libertà e di
dignità umana. Un’impresa non facile ma non impossibile. È certo che i percorsi
virtuosi compiuti dall’Europa e dalla grande maggioranza dei paesi dell’Occidente
sono segnati nella Storia di tutti quei paesi e non sono stati per nulla
percorsi pianeggianti e facilmente percorribili, ma spesso percorsi tortuosi assai
e cosparsi d’infinite tragedie umane. Nulla è piovuto da un cielo indifferente
ai destini degli uomini. I percorsi virtuosi sono sempre gli stessi; basterebbe
cercarli senza menarsi per pericolose scorciatoie. Ha scritto il professor Umberto
Galimberti – “La vera virtù dei
cristiani è la libertà” – sul settimanale “D” del 7 di febbraio ultimo: Non è
nell'obbedienza ai precetti della Chiesa, la ragione dell'identità religiosa
dell'Occidente, ma nei valori che il Vangelo condivide con la laicità. Le
differenze (…) tra quanti, pur non concordando con le posizioni della Chiesa,
non si allontanano e sia pure con qualche riserva rimangono nel suo recinto, e
quanti invece si allontanano non condividendo le posizioni di volta in volta
assunte dal Magistero ecclesiastico, ai miei occhi non sono assolutamente
rilevanti, e neppure dipendono dall'anteporre la coscienza all'ubbidienza o
l'ubbidienza alla coscienza. Il motivo è dovuto al fatto che, prima di essere
una fede da cui discende una morale, la religione è il più importante fattore
antropologico che fonda l'identità di un popolo, per cui, per esempio, che si
creda o non si creda in Dio, noi occidentali siamo tutti cristiani, perché la
nostra antropologia è stato plasmata dai valori cristiani dell'uguaglianza
degli uomini, che prima dell'avvento del cristianesimo non era riconosciuta,
della loro libertà in contrapposizione alla diffusa schiavitù, della fraternità
che invita a trattare il prossimo come se stessi. (…). …questi valori sono
stati ripresi dall'Illuminismo e dalla Rivoluzione Francese, che i cristiani da
un lato e i laici dall'altro amano contrapporre ai principi religiosi, quando
invece con "uguaglianza, libertà e fraternità" l'Illuminismo non fa
che ribadire i valori di fondo enunciati dal cristianesimo. Ma lo stesso si può
dire del marxismo che, almeno idealmente, oltre all'uguaglianza e alla
fraternità, cerca di dare concretezza alla parola "libertà", che non
è tale se non si hanno sufficienti risorse economiche per poterne fruire. Che
il cristianesimo sia il fondamento della cultura occidentale è particolarmente
evidente oggi, mentre assistiamo quasi quotidianamente, ai massacri che il
fondamentalismo islamico compie nei confronti delle comunità cristiane in
Africa e in Medio Oriente. Non perché ce l'abbiano col Dio cristiano (che tra
l'altro è lo stesso del Dio ebraico e del Dio islamico), ma con i valori
cristiani che hanno dato forma alla cultura occidentale che loro vogliono
sopprimere. Proprio perché la religione, prima di essere una fede, è
un'antropologia che affonda le sue radici nel sentimento e nel vissuto
profondo, che sono alla base dell'identità di un popolo e della sua
appartenenza a un sistema di valori condiviso, le guerre di religioni sono le
più feroci e cruente, perché promosse non da interessi contrastanti che si
possono discutere e risolvere con strumenti razionali, ma da quel sottofondo
irrazionale in cui si radica l'identità e l'appartenenza di un popolo. Questa è
la ragione per cui, anche quando si scatenano guerre per interessi economici di
nazioni contrapposte, perché il conflitto esploda è necessario appassionare i popoli
alle simboliche che sono alla base della loro identità, di cui la religione è
la simbolica prima e la più coinvolgente. Per questo non è interessante
stabilire se si è cristiani per obbedienza o per coscienza, perché si è
cristiani comunque (atei compresi) per il solo fatto che si è occidentali.
Cristianesimo e Occidente sono nati insieme, hanno avuto nel bene e nel male la
stessa storia, avranno perciò lo stesso destino. E nell’Occidente cristianizzato
sarà importante che le libere coscienze s’impegnino a tracciare, anche per
tutti quei popoli che sinora non li hanno tracciati, tutti quei percorsi virtuosi
che hanno consentito la cristianizzazione
del mondo occidentale.
Umberto Galimberti intitola così la risposta: “La vera virtù dei cristiani è la libertà”, il che farebbe supporre che ha condiviso la mia analisi, che in fondo vuole essere una critica ai cattolici che seguono ciecamente gli insegnamenti della Chiesa, rinunciando alla libertà di pensiero. Ed ecco invece che cosa scrive tra l’altro il filosofo: “Le differenze che lei evidenzia tra quanti, pur non concordando con le posizioni della Chiesa, non si allontanano e sia pure con qualche riserva rimangono nel suo recinto, e quanti invece si allontanano non condividendo le posizioni di volta in volta assunte dal Magistero ecclesiastico, ai miei occhi non sono assolutamente rilevanti e neppure dipendono dall’anteporre la coscienza all’ubbidienza, o l’ubbidienza alla coscienza. Il motivo è dovuto al fatto che, prima di essere una fede da cui discende una morale, la religione è il più importante fattore antropologico che fonda l’identità di un popolo, per cui, per esempio, che si creda o non si creda in Dio, noi occidentali siamo tutti cristiani, perché la nostra antropologia è stata plasmata dai valori cristiani dell’uguaglianza degli uomini... della loro libertà... Per questo non è interessante stabilire se si è cristiani per obbedienza o per coscienza, perché si è cristiani comunque (atei compresi) perché si è occidentali”.
RispondiEliminaNon era questo il problema da me posto: se si è cristiani per obbedienza o per coscienza, ma se sia giusto essere cristiani e obbedire ciecamente alle direttive della propria autorità religiosa (io parlavo segnatamente dei cattolici, ma il discorso può essere esteso a tutti i cristiani), oppure essere cristiani senza rinunciare alla propria autonomia di pensiero. E la differenza non mi sembra irrilevante. Rinunciare a quella libertà cristiana di cui il filosofo stesso parla, è un fatto irrilevante? Per fare un esempio: è irrilevante stabilire la differenza tra chi è contrario all’aborto o all’eutanasia per propria “cristiana” convinzione, e chi lo è per cieca obbedienza all’autorità religiosa? E’ irrilevante?
Attilio Doni
La ringrazio Signor Attilio Dini per la Sua cortese attenzione. Concordo pienamente con il Suo dire "essere cristiani senza rinunciare alla propria autonomia di pensiero" che sta a rappresentare di una umanità compiuta.E non mi sento di aggiungere altro. Colgo l'occasione per farle omaggio di un pensiero dell'indimenticato Norberto Bobbio che sulla rivista “MicroMega” del 3 di maggio dell'anno 2000 ha scritto: "Io non sono un uomo di fede, sono un uomo di ragione e diffido di tutte le fedi, però distinguo la religione dalla religiosità. Religiosità significa per me, semplicemente, avere il senso dei propri limiti, sapere che la ragione dell’uomo è un piccolo lumicino, che illumina uno spazio infimo rispetto alla grandiosità, all’immensità dell’universo. L’unica cosa di cui sono sicuro, sempre stando nei limiti della mia ragione, (…) è semmai che io vivo il senso del mistero, che evidentemente è comune tanto all’uomo di ragione che all’uomo di fede. (…). Resta però fondamentale questo profondo senso del mistero, che ci circonda, e che è ciò che io chiamo senso di religiosità. La mia è una religiosità del dubbio, anziché delle risposte certe. Io accetto solo ciò che è nei limiti della stretta ragione, e sono limiti davvero angusti: la mia ragione si ferma dopo pochi passi mentre, volendo percorrere la strada che penetra nel mistero, la strada non ha fine. Più noi sappiamo, più sappiamo di non sapere. (…). …la mia intelligenza è umiliata. Umiliata. E io accetto questa umiliazione. La accetto. E non cerco di sfuggire a questa umiliazione con la fede, attraverso strade che non riesco a percorrere. Resto uomo della mia ragione limitata e umiliata. So di non sapere. Questo io chiamo “ la mia religiosità “. (…). …probabilmente non si riesce a resistere a questo dubitare continuo, a questo continuo non sapere, e allora ci si affida alle credenze (…). Io però, il fondo religioso della mia persona continuo ad intenderlo come questo non sapere. Ed è un fondo religioso che mi assilla, mi agita, mi tormenta". Quel "tormento e quell'assillo" di quel grande, indimenticato pensatore trovano una perfetta sintesi in quell'esilerante battuta del grande Woody Allen, che mi sento di fare mia, "Grazie a dio sono ateo". Da parte mia le lascio cordialissimi saluti. aldoettorequagliozzi
RispondiEliminaMi perdoni per il refuso Signor Doni. Ancora, carissimi saluti. aldoettorequagliozzi
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